I 38 desaparecidos di Iguala ritrovati in sei fosse comuni. Negli assalti, polizia prima e mafiosi poi, sei morti e 25 feriti. Contro la repressione mobilitazione nazionale il prossimo 8 ottobre
da Città del Messico, Andrea Spotti
Nonostante le autorità invitino ad aspettare i risultati delle perizie, tutto sembra indicare che appartengano agli studenti normalisti scomparsi oltre una settimana fa, i resti dei corpi ritrovati ieri all’interno di tre fosse comuni ad Iguala, nello stato del Guerrero. Le vittime sono state ritrovate grazie alle dichiarazioni di uno dei poliziotti arrestati per l’assalto armato ai danni dei normalisti portato avanti nella notte tra il 26 e il 27 settembre scorsi da un gruppo di agenti municipali ed elementi legati alla criminalità organizzata. Messa in pratica con la volontà di uccidere, l’agressione ha provocato la morte di 6 persone ed il ferimento di altre 25. Molti dei 38 desaparecidos, prima di essere vittime di sparizione forzata, sono stati visti sulle volanti della polizia locale e all’interno della caserma della stessa.
I drammatici fatti di Iguala ci parlano della preoccupante situazione che vivono i movimenti sociali messicani (e la popolazione in generale), i quali, dal 2006 a questa parte (a partire cioè dall’inizio della cosiddetta guerra al narcotraffico lanciata dall’ex-presidente Calderón e continuata dal governo di Peña Nieto), si trovano stretti fra l’incudine della repressione statale ed il martello della violenza di mafie e paramilitari. In diverse zone del Paese infatti persecuzioni giudiziarie, detenzioni illegali, sparizioni forzate ed omicidi di uomini e donne legati ad organizzazioni sociali e a movimenti di lotta sono tristemente all’ordine del giorno.
Secondo la ricostruzione fatta dai normalisti, tutti tra i 17 e i 25 anni, la polizia li ha aggrediti mentre facevano ritorno ad Ayotzinapa a bordo di tre autobus occupati, alla fine di una giornata passata a raccogliere fondi per sostenere la partecipazione al tradizionale corteo del 2 ottobre in memoria degli studenti massacrati a Tlatelolco nel 1968. Gli assalti sono stati due: il primo, durante l’inseguimento, iniziato appena fuori della centrale degli autobus di Iguala; e, il secondo, una volta che le cinque pattuglie sono riuscite a bloccare e circondare i mezzi di trasporto, quando una trentina di agenti ha iniziato a sparare da diverse angolazioni. In entrambi i casi, gli spari sono partiti senza motivazioni e non sono stati preceduti da nessun preavviso. Tutto questo è successo attorno alle 21.
Verso mezzanotte, poi, mentre si trovavano fuori dalla sede del sindacato dei maestri CETEG (Coordinadora de los Trabajadores de la Educación de Guerrero) per denunciare quanto accaduto, i giovani sono stati vittime di un secondo assalto. A sparare, stavolta, non erano uomini in divisa ma membri alcune organizzazioni mafiose presenti sul territorio di Iguala. Il bilancio dei due attacchi omicidi è tragico: tre studenti uccisi, Daniel Solís, Julio César Ramírez e Julio Cesar Mondragón, ed uno gravemente ferito, Aldo Gutiérrez, cui è stata diagnosticata la morte cerebrale.
I normalisti che sono riusciti a sopravvivere parlano di diversi compagni fermati dalle forze dell’ordine, cosa che viene confermata anche dalle indagini ufficiali svolte dalla procura dello stato del Guerrero e che indica la responsabilità dei poliziotti locali rispetto alla scomparsa dei 38 normalisti. Inoltre, sebbene la polizia municipale abbia avuto un ruolo da protagonista nel feroce assalto, alcuni testimoni hanno segnalato anche la presenza delle polizie statale e federale, le quali, si sarebbero allontanate poco dopo l’inizio della sparatoria guardandosi bene dall’intervenire.
Successivamente, lungo la statale che conduce a Chilpancingo, la capitale guerrerense, la furia anti-normalista di polizia e delinquenti ha investito il pullman sul quale stava viaggiando la squadra di calcio degli Avispones, di ritorno a casa dopo la trasferta ad Iguala, colpendo anche un taxi che passava da quelle parti. Gli spari hanno ucciso il calciatore quattordicenne David Josué García, l’autista dell’autobus Victor Lugo, e la signora Blanca Montiel, che si trovava sul taxi.
Sulle intenzioni omicide di polizia e narcos non possono esserci dubbi. La durata della sparatoria che, secondo quanto raccontato da un testimone a La Jornada, è stata di circa 40 minuti, e la potenza di fuoco messa in campo lo dimostrano in modo evidente. Stando al procuratore dello stato Iñaki Blanco gli assassini hanno usato mitragliette AR-15 ed intorno agli autobus dei normalisti sono stati ritrovati circa 150 bossoli sparati da 30 diverse armi da fuoco.
Il tutto, contro un obiettivo disarmato, pacifico ed indifeso. Il quadro, inoltre, è reso ancora più tetro dal fatto che a Julio Cesar, lo studente ucciso ritrovato il giorno successivo alla strage con evidenti segni di tortura, è stata tolta la pelle dal viso, chiaro segno della partecipazione di gruppi narcos nell’operativo poliziesco e della complicità esistente tra polizia locale e mafia. Quest’ultima, come raccontano a Desinformemonos, è presente sul territorio, che è importante centro del traffico di droga, con almeno 9 cartelli.
Il mandante della strage, secondo quanto ricostruito fino ad oggi, è il sindaco di Iguala, José Luis Abarca, conosciuto nella zona per le sue relazioni con gruppi criminali e in passato accusato di omicidio. Abarca, appartenente al progressista Partido de la Revolución Democratica (PRD), era convinto che i normalisti fossero giunti in città per contestare l’evento in cui sua moglie, sorella di uno dei luogotenenti del cartel dei Beltran Leyva, avrebbe presentato la sua seconda relazione annuale in quanto presidenta del DIF (ente per lo sviluppo della famiglia). Sarebbe dunque stato per evitare che i normalisti facessero casini, per usare le parole del sindaco, rovinando così la festa alla futura candidata alla carica di primo cittadino, che gli autobus su cui viaggiavano gli studenti e gli Avispones sono stati crivellati di proiettili.
Dopo aver inizialmente cercato di sabotare le indagini, cercando perfino di colpevolizzare i normalisti, il sindaco ha in seguito lasciato temporaneamente il suo incarico dicendo di voler facilitare il lavoro degli investigatori per poi scegliere, dopo essere stato scaricato dal suo partito e dal govenatore Angel Aguirre, la via della latitanza. Oggi è ricercato con l’accusa di sparizione forzata, mentre 22 agenti di Iguala sono in stato di arresto ad Acapulco e per 16 di loro è stata confermata la partecipazione alla sparatoria.
Sebbene la responsabilità diretta in quelle che compagni e parenti delle vittime definiscono come vere e proprie esecuzioni sommarie sia molto probabilmente del sindaco è difficile non pensare anche alle colpe dei governi statale e federale, le cui polizie non hanno mai dimostrato tenerezza alcuna nei confronti degli studenti normalisti dello stato, i quali al contrario sono sempre stati criminalizzati sia dallo stato che dai media che li descrivono come violenti trattandoli come un pericolo pubblico. Tutto questo a causa di una tradizione di lotta che dura almeno dagli anni ’30 e di un combattivo presente che resiste al tentativo in atto da qualche decennio di eliminare quest’anomalia dal sistema scolastico messicano.
Di conseguenza, per quanto Aguirre abbia condannato l’aggressione prendendo le distanze dal sindaco e offrendo una ricompensa di un milione di pesos per chiunque fornisca notizie utili a ritrovare i giovani scomparsi, questi atti vanno considerati come una risposta mediatica che ha forse come obiettivo quello di far dimenticare all’opinione pubblica il fatto che la polizia del governatore in questione, il quale presiede un governo di centro sinistra dal 2011, coadiuvata dal quella federale, aveva già fatto fuoco sui normalisti nel dicembre del 2011, uccidendo gli studenti Jorge Alexis Herrera e Gabriel Echeverría, mentre altri due vennero investiti e uccisi sulla statale Acapulco-Zihuatanejo il 7 gennaio del 2013, senza che nessuno abbia mai pagato per questo.
Insomma, al di là dell’improvviso interesse da parte del governatore per i normalisti, determinato dall’attenzione mediatica, gli attacchi nei loro confronti e la rerpressione dura delle loro mobilitazioni sono stati la constante durante l’amministrazione di Aguirre, che si è caratterizzata per perseguitare attivisti sociali, difensori dei diritti umani e membri della CRAC (Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias), la ormai storica organizzazione indigena guerrerense. La situazione è tale che un gruppo di 74 organizzazioni sociali di 22 stati del Paese sostiene che i fatti di Iguala dimostano “la gravità della crisi umanitaria che affronta lo stato del Guerrero e la decomposizione delle sue forze di polizia”.
Nei giorni successivi all’assalto, la rezione degli studenti è stata determinata. Tutte le normali del Paese si sono mobilitate e nel Guerrero è stata bloccata l’autostrada del sole, mentre il 2 ottobre migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Chilpancingo chiedendo giustizia e la “restitución con vida” dei desaparecidos. La solidarietà è arrivata anche dal tradizionale dal partecipatissimo corteo di Città del Messico.
Nonostante la strage di Iguala rappresenti un crimine che lascia senza parole ed il ritrovamento dei corpi faccia tremare la vene ai polsi, casi del genere non sono affatto infrequenti in Messico. Solo la settimana scorsa sono state trovate fosse comuni a Xalapa, Veracruz, mentre in Chiapas tre ejidatarios del Bachajón aderenti alla Sexta zapatista, dopo essere stati arrestati illegalmente sono stati torturati ed infine denunciati per aggressione a pubblico ufficiale. Le carceri del Paese inoltre si stanno riempiendo di detenuti politici, il più delle volte si tratta di attivisti in difesa del territorio di origine indigene a campesina. Mentre la sparizione forzata e la morte sono un rischio che corrono sempre più spesso giornalisti indipendenti, attivisti per la difesa dei diritti umani o dell’ambiente, sindacalisti scomodi, e chiunque possa mettere in discussione gli interessi del potente di turno, dal sindaco alla multinazionale, dall’impresa mineraria al crimine organizzato.
Mentre scriviamo queste ultime righe, sui portali dei principali siti dei giornali messicani cambiano le cifre e si inizia a parlare di 6 fosse comuni ed è sempre più forte, sebbene non ci siano ancora conferme ufficiali, il sospetto che si tratti dei normalisti desaparecidos. Rabbia e indignazione crescono sulle reti sociali. Di fronte all’enormità dei fatti e del loro impatto mediatico, e dopo aver dato tempo al governo nazionale di speculare politicamente sulla tragedia, la Procura della Repubblica ha finalmente deciso di attrarre a sé il caso. In serata, familiari e compagni degli studenti normalisti hanno lanciato una giornata nazionale di mobilitazione per il prossimo 8 ottobre. Non sarebbe male – e non solo per le vittime di questa carneficina di stato ma per tutto il Messico de abajo, martoriato da 8 anni di guerra e militarizzazione, se ci fossero mobilitazioni solidali anche in altre parti del mondo.