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Jobs act, cos’altro aspetta la Cgil a scioperare?

Incontro inutile tra Renzi e i sindacati concertativi. La Cisl apre al governo. Fredda la Camusso. Nuovo incontro il 27. Opposizione Cgil: «Unificare le resistenze per una nuova stagione di lotta»

di Checchino Antonini

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«L’unica vera novità dell’incontro di oggi è che ci saranno altri incontri. Le altre sono cose note», commenta, freddissima, Susanna Camusso all’uscita dall’incontro tra Renzi e le tre confederazioni. La Cisl, invece, ha aperto un credito e subito dopo fa sapere che Cisl e Uil non saranno in piazza con la Cgil il 25 ottobre.

«Incontro inutile, quello di Palazzo Chigi: Renzi tira dritto su tutto – commenta a caldo Sergio Bellavita, portavoce dell’Opposizione Cgil, l’area de “Il sindacato è un’altra cosa” che, proprio alla manifestazione del 25 reclamerà l’urgenza di uno sciopero generale.

Perché lo scontro è fortissimo e per molti versi decisivo. «Se quanto contenuto nel Jobs Act venisse approvato l’effetto sulla condizione di vita di milioni di uomini e di donne sarebbe devastante – spiega a Popoff Sergio Bellavita – L’obiettivo di fondo è aumentare lo sfruttamento, la ricattabilità e rendere il lavoro variabile dipendente assoluta dell’impresa, le modalità con cui viene perseguito sono criminali. Si pretende di cancellare il divieto di controllo a distanza dei lavoratori, perennemente tentato in tantissime grandi aziende, sia attraverso i palmari e i dispositivi satellitari sulle auto per chi si occupa di impiantistica, manutenzione e installazione nei cantieri, sia con le classiche telecamere da postazione fissa, molto spesso puntate sulle macchine del caffè e aree ristoro, quando non proprio direttamente sulla postazione di lavoro, costruendo cosi una condizione di costante intimidazione. Anche il demansionamento libero è una delle altre feroci volontà del governo. Significa consegnare nelle mani del padrone un’arma di ricatto formidabile nei confronti di un lavoratore. Scendere nella gerarchia del lavoro può significare ritrovarsi sotto mobbing, costretti a mansioni manuali non sostenibili o in ruoli mortificanti. Il quadro dello sfruttamento e della ricattabilità si completa con il cosiddetto riordino degli ammortizzatori sociali che perdono ogni funzione collettiva e solidale tra settori produttivi e lavoratori per passare ad un regime di carattere individuale inversamente proporzionale al bisogno. Così chi ha la sfortuna di vivere in un territorio colpito dalla crisi o chi ha già vissuto lunghi periodi di contribuzione figurativa dovuti a cassa integrazione,mobilità e disoccupazione e perché no anche maternità, riceverà, nel momento in cui diventasse disoccupato, molto meno di assegno di disoccupazione di chi solo sporadicamente si è imbattuto nella cassa integrazione». Ma c’è di più, Renzi fa sempre più spesso accenni al modello Marchionne, cerca lo smantellamento della contrattazione nazionale: «La realtà è che ci si predispone, in sintonia con la Confindustria, a costruire le condizioni per cancellare ciò che resta del contratto nazionale, così anche l’ultimo pezzo di strumento collettivo e solidale di difesa del lavoro sparirà per lasciare spazio alla sola contrattazione individuale», dice ancora Bellavita.

Finora la maggioranza della Cgil lo sciopero lo ha brandito blandamente come ipotesi. «La scelta della fiducia» sul Jobs act «radicalizza il fatto che non c’è un confronto con le parti sociali», dice la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, in conferenza stampa dopo l’incontro. Tra l’altro fiducia (meccanismo riservato alle questioni urgentissime) su una legge delega (che richiede tempi lunghi di attuazione) è un assurdo legislativo che da tempo serve a scavalcare il dibattito parlamentare senza che Napolitano ci trovi nulla di strano.

«Credo che nessuno oggi possa dire che si sia riaperta una stagione di concertazione», ha spiegato, parlando di «nessun concreto passo in avanti». L’atteggiamento del governo è «al massimo di ascoltare, poi decide unilateralmente. Trovano tutte conferma le necessità e le ragioni della manifestazione nazionale della Cgil del 25 ottobre». Nel tardo pomeriggio una nota della segreteria parlerà di «un percorso di mobilitazione da sviluppare e rafforzare nel tempo. A fronte della fiducia da parte del governo è necessaria un’immediata e forte risposta dai luoghi di lavoro, attraverso ordini del giorno, fermate e scioperi aziendali con assemblee».

Ma il 25 sarà una manifestazione, non lo sciopero di cui ci sarebbe bisogno per costruire una relazione tra i soggetti colpiti dalla crisi e dalle “riforne” di questo governo, tra le resistenze sociali – che pure ci sono ma scontano una solitudine senza precedenti – : pubblico impiego, scuola, lavoro dipendente, galassia del precariato, conoscenza, territori. Unire le resistenze, appunto, non autorappresentarsi (come rischia di ripetere chi proclama scioperi autoreferenziali) costruire ponti di solidarietà efficace tra le lotte e i settori più combattivi, e non alludere a coalizioni a venire e su obiettivi minimali, si direbbe compatibili con il quadro dato dei rapporti di forza. «Non è sufficiente denunciare che queste ricette economiche hanno fallito – avverte ancora Bellavita – lo sanno benissimo “lor signori” che la loro azione di governo creerà nuova disoccupazione, impoverimento e precarietà e che è destinata a peggiorare ulteriormente i conti pubblici perché mortificherà la domanda deprimendo l’economia. Per cambiare dovrebbero entrare in conflitto con i potentati economici, con la troika, con confindustria. E questo davvero non lo hanno messo in conto. Non è l’ora del pietismo sulla condizione sociale, è l’ora di ri-costruire un grande movimento di massa contro le loro politiche. Un movimento che si emancipi da ogni ridicola vicinanza al centrosinistra ed alla Ue per aderire al conflitto vero, non alla sua rappresentazione mediatica. Il sindacato, la Fiom, la Cgil, il sindacalismo conflittuale e i movimenti sociali sono chiamati a impedire che questo modello si affermi. Lo scontro sul Jobs Act può rappresentare la chiave di volta. Lo sciopero della scuola, quello dei facchini, la manifestazione Fiom che ora è di tutta la Cgil, sebbene insufficiente rispetto al necessario sciopero generale, e il 14 novembre con lo sciopero sociale, potrebbero far saltare il tappo e aprire una nuova stagione di lotte. Proviamoci davvero».

La maggioranza Cgil, però, è ancora fredda quando conferma «il giudizio negativo sul modo in cui si sta componendo l’intervento sul lavoro», il Jobs act, ed il «totale dissenso» sulle modifiche all’articolo 18 e sul demansionamento. Solo valutazioni tecniche e politiche, nemmeno l’allusione alla necessità di uno sciopero generale. «Dal punto di vista dei contenuti, sono state ripetute cose note che non determinano un cambiamento della valutazione. Registriamo una disponibilità del premier a discutere sulla rappresentanza sindacale ma su tutto il resto non abbiamo registrato una disponibilità». Prossimo appuntamento il 27 ottobre, dopo che i tre milioni di lavoratori verranno a manifestare a Roma, ha detto Renzi alla fine dell’incontro e prima di vedere le controparti imprenditoriali a cui avrebbe detto di voler salvare le 3T, Termini, Taranto e Terni e di aspettare il placet delle pmi per la faccenda controversa del Tfr in busta paga. Camusso, in conferenza, spiega ancora che bisogna smetterla di dire che l’anticipo del Tfr in busta paga è un bonus. È salario, sono soldi dei lavoratori. La segretaria Cgil ha affermato che ci deve essere comunque la salvaguardia della previdenza complementare (alimentata in gran parte dal Tfr, ndr) e nessun aumento dell’imposizione fiscale rispetto agli altri usi della liquidazione.

Su un punto Usb (che ha convocato il suo sciopero generale il 24, alla vigilia della manifestazione Cgil, ha pienamente ragione: «il Governo Renzi infrange i più elementari principi democratici convocando esclusivamente Cgil, Cisl e Uil – denuncia il segretario Tomaselli – d’altra parte, visti i tempi dell’incontro, ci sembra chiaro che non di un confronto si è trattato, ma di una semplice comunicazione notarile su ciò che il Governo presenterà in Senato sotto la scure della fiducia, per arrivare al vertice europeo di domani con risultati tangibili contro il mondo del lavoro». Tomaselli torna sulla necessità di una legge che riporti la democrazia nei posti di lavoro «ma non possiamo non sottolineare la nostra estrema preoccupazione rispetto ai suoi possibili contenuti. Noi siamo per una legge democratica – sottolinea Tomaselli – che abbia come perno la libertà sindacale dei lavoratori, e non vorremmo invece scoprire che per dare un contentino a Cgil Cisl Uil, Renzi e Poletti pensino ad una legge che accolga e accompagni l’accordo del 10 gennaio 2014 tra queste sigle e Confindustria, accordo che vuole escludere il sindacato di base e conflittuale perché scomodo».

«Gli ultimi atti del governo sono vergognosi – dice anche Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc – mentre il governo francese disobbedisce ai trattati e pone le condizioni per cambiare le politiche economiche europee, il governo Renzi pone la fiducia sulla demolizione dell’articolo 18 per assecondare la Merkel: è un governo di servi contro cui occorre dichiarare subito lo sciopero generale. Il tempo delle scelte per cambiare le politiche europee è ora, mentre c’è una contraddizione tra Francia e Germania, e non bastano più le chiacchiere, nè da parte di Renzi nè da parte della Camusso che alle giuste critiche deve far seguire i fatti. Serve lo sciopero generale per obbligare Renzi ad un radicale mutamento delle politiche economiche, per allargare i diritti dei lavoratori invece di restringerli».

Da parte sua, Sel ha appena annunciato il ritiro di almeno 300 dei 350 emendamenti al Jobs act «per sfidare» il governo a non mettere la fiducia e confrontarsi concretamente su pochi punti qualificanti, a cominciare dall’«allargamento delle tutele».

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