Ecco perché Occupy Central è un movimento reale genuino per una democrazia reale, estraneo alle macchinazioni degli Usa per contendere l’egemonia su Hong Kong
di Checchino Antonini
Farà discutere l’articolo di Franco Fracassi sui tentacoli che, da Washington, si allungherebbero fino ad alcuni personaggi attivi in Occupy Central, il movimento di massa protagonista di mobilitazioni senza precedenti nell’area compresa tra sulla costa meridionale della Cina tra il delta del Fiume delle Perle e il Mar Cinese Meridionale.
Infatti ne vorrei discutere. Perché quell’articolo rischia di ridurre un movimento di massa reale in un complotto ordito dagli Usa contro la Repubblica “Popolare” Cinese riproducendo schemi in voga al tempo della divisione del mondo in “campi”. Da qui, appunto, l’appellativo di campismo a quelle posizioni funzionali alla politica estera dell’Urss o della Cina di Mao. Già allora il campismo riduceva le rivolte operaie a Berlino Est, o in Polonia, oppure le rivoluzioni ungherese e cecoslovacca a pure macchinazioni ordite dall’imperialismo contro la gloriosa Unione sovietica.
Già allora il campismo sembrava a tantissimi una lente strabica per leggere i sommovimenti sociali che nascono dai bisogni e dai desideri delle masse oppresse. Oggi quelle posizioni sembrano riaffiorare con una piega grottesca nell’intensificarsi dei conflitti in Ucraina, Palestina, Libia, Siria. E in Cina dove un partito stato, che si fa chiamare comunista, è guidato dalla dozzina degli uomini più ricchi del pianeta.
Valgono in storie come questa, nostalgie fuori luogo e fuori tempo e anche un principio indimostrato: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Secondo il collettivo Wu Ming è il «pensiero bidimensionale» su cui si basa l’«antimperialismo degli imbecilli».
Il collettivo degli scrittori dice anche «Ma non sempre il nemico del mio nemico è *davvero* suo nemico, e a prescindere da questo, spesso è a pari modo *mio* nemico».
Titolare « Ecco come gli Stati Uniti stanno cercando di sottrarre Hong Kong alla Cina», come ha fatto il mio collega Fracassi, significa restare imprigionati dentro questa logica. Sarebbe più giusto dire che gli Stati Uniti agiscono sulla legittima aspirazione dei lavoratori di Hong Kong, degli studenti, di vasti strati di cittadini per competere con la Cina su quello schacchiere. Se sono fondamentali i contesti per capire i fatti, non è corretto e nemmeno giusto ridurre movimenti reali alle macchinazioni di una, per quanto potentissima, agenzia di inelligence.
No, non credo che Franco sia un campista. Non ne sarei socio in un’impresa bellissima e disperata come Popoff ma credo che sia utile eplicitare il punto di osservazione delle cose. Da parte mia mi sforzo sempre di partire dalla difesa dalle mobilitazioni e dai diritti democratici e sociali delle masse in tutte le terre del mondo, cerco di leggere e sostenere la loro capacità di autoorganizzazione, ragiono a partire dalle classi sociali e dai loro interessi e non dagli stati. Per questo a Hong Kong credo di vedere la mobilitazione concreta delle masse per i loro diritti, contro una dittatura.
Ma allora la Cia non c’entra? Probabilmente sì, Franco ne sa più di me. Ma sarebbe come ridurre a una congiura ordita dai “sovietici” di Breznev il gigantesco movimento per la pace che attraversò l’Europa e l’Italia contro i missili Pershing e Cruise che gli Usa volevano installare ai confini con il blocco dell’Est. Perché l’Urss finanziava alcune azioni e alcuni personaggi di quei movimenti ma l’aspirazione a un mondo senza guerra non era un desiderio né di Reagan né di Breznev e nemmeno di quei personaggi che, una volta arrivati al governo in Italia e altrove non hanno esitato a bombardare la popolazione civile di tutti i teatri di guerra.
Qui da noi c’è ancora chi legge, come accadde per Tien An Men, i fatti di Hong Kong come una trama dei cattivi contro i buoni: « Proprio quando le autorità locali di Hong Kong, in pieno accordo con la direzione del PCC, avevano presentato un piano per l’introduzione del suffragio universale rispetto alle elezioni locali previste a Hong Kong per il 2017, le forze anticomuniste locali e internazionali hanno scatenato il loro cinico controprogetto teso a cercare di seminare il caos nella metropoli cinese, come avvenne a Kiev e Caracas». Si tratta di un gruppo (vicino al Pdci, suppongo) di “appoggio critico al Pcc cinese” convinti che «la Repubblica Popolare Cinese svolga tutt’ora sulla scena mondiale un innegabile ruolo antimperialista seppur in modo cauto e prudente, non sfruttando alcun paese al mondo e rappresentando un notevole contrappeso multilaterale per il più potente ed aggressivo imperialismo del pianeta, quello statunitense». Per cui le aspirazioni alla libertà avrebbero un peso specifico diverso rispetto alla latitudine in cui si manifestino. Così si riescono a vedere molto bene i nazisti di Kiev ma si appanna la vista davanti agli ipernazionalisti russi e a settori della fascisteria che si sono arruolati con Putin. E i giovani di Tehran o di Mosca valgono meno degli studenti italiani quando scendono in piazza per ribellarsi all’oscurantismo dei loro governi e del rispettivo clero.
Secondo il Quotidiano del Popolo, giornale ufficiale del Partito Comunista Cinese, le manifestazioni in corso da otto giorni ad Hong Kong, che reclamano una vera democrazia nel territorio, fanno in realtà “arretrare la democrazia”. In un editoriale, il quarto dall’ inizio delle proteste di piazza, il giornale afferma che “un principio fondamentale della democrazia vuole che una piccola minoranza non abbia il diritto di violare in un sol colpo l’interesse generale e lo spazio pubblico, impiegando dei metodi illegali“. Sembra di leggere il Giornale di Feltri, Belpietro, Montanelli o la Stampa che scrive di No Tav o l’Unità ai tempi della Primavera di Praga o delle cronache italiane del ’77 o, ancora, sulle manifestazioni studentesche del 2012 a Roma.
Una lettura complottista e dietrologica dei sommovimenti sociali rischia di avallare l’idea che la storia sia fatta dai potenti, che l’azione autonoma di settori sociali autorganizzati sia utopica, velleitaria e succube di oscuri manovratori.
Con una intervista di Sid Zoichi a Sophia Chan tradotta da Lillo Cannarozzo il 13 luglio 2013 su “Socialist Alternative Link”, il sito di Sinistra Anticapitalista è stato il primo, in Italia, a dar conto che, a Hong Kong erano in corso i prodromi di un’ampia politicizzazione di massa. Che stava arrivando Occupy Central. La sono andato a rileggere.
Nei mesi precedenti Hong Kong era stata scossa da due grandi battaglie. Un massiccio sciopero di 40 giorni che ha coinvolto centinaia di gruisti e stivatori del Kwai Tsing Container Terminal, il porto di container più grande del mondo. Ai primi di maggio i lavoratori ottennero un aumento salariale del 9,8 %. La loro lotta è stato vittoriosa anche grazie al sostegno di migliaia di persone in città. Poi l’esplosione di proteste a favore della democrazia che, secondo gli organizzatori della manifestazione antigovernativa del 1° luglio 2013 ha coinvolto più di 400mila persone.
Solo 40 dei 70 seggi dell’assemblea legislativa di Hong Kong sono eletti direttamente dal popolo. Gli altri 30 sono quasi tutti espressione del mondo degli affari. Mondo degli affari che controlla totalmente anche la nomina del capo dell’esecutivo dell’isola. La Cina si è impegnata a cambiare questo sistema non prima del 2017.
Ogni anno, il 1° luglio si svolge una manifestazione per reclamare i diritti democratici, compresi quelli dei lavoratori, quelli delle minoranze e e quelli riguardanti la libertà di parola oltre ovviamente alla rivendicazione del suffragio universale. Sid Zoichi è redattore di “Red Flag” (il mensile di Socialist Alternative, organizzazione australiana legata alla Quarta Internazionale) ha incontrato allora Sophia Chan, attivista di Left 21 (Sinistra 21) una nuova organizzazione fondata nel 2010. La militante ha raccontato che la situazione per la sinistra stava migliorando. «La gente di Hong Kong è stata sempre particolarmente allergica alle idee di sinistra in considerazione del fatto che una parte delle ultime generazioni sono costituite da rifugiati dalla Repubblica Popolare venuti nell’isola per sfuggire alla devastazione politica e sociale instaurata dal Partito Comunista Cinese.
Ma con il crescere della disuguaglianza economica (abbiamo raggiunto il primo posto al mondo nella classifica del coefficiente Gini fra i paesi sviluppati; il coefficiente Gini è la misura della diseguaglianza di una distribuzione; viene spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza, ndr) in aggiunta al netto peggioramento delle condizioni di vita in settori chiave come il diritto alla casa ed all’istruzione, la popolazione di Hong Kong, specialmente quella più giovane, si mostra sempre più disillusa e scettica nei confronti della retorica capitalista della mobilità sociale e del raggiungimento del benessere». Ma, di fronte all’evidente corruzione negli ambienti governativi, sempre più giovani sono attratti verso idee di sinistra e rivendicano, ad esempio, un sistema pensionistico universale e una legislazione di protezione del lavoro che preveda il diritto alla contrattazione collettiva, la limitazione della durata massima della giornata lavorativa.
Lo sciopero dei portuali è stata davvero la più grande azione di lotta di lavoratori industriali degli ultimi anni. «Il movimento operaio – diceva Chan – era stato impopolare fra il pubblico di Hong Kong ed ha sempre stentato a guadagnare forza. I diritti sindacali sono estremamente deboli in assenza del diritto alla contrattazione collettiva cosicché i padroni possono permettersi semplicemente di ignorare i lavoratori che si uniscono per avanzare rivendicazioni. Lo sciopero dei portuali ha avuto un significato storico in quanto ha suscitato un’attenzione mediatica ed una solidarietà diffusa di dimensioni prima sconosciute. Il comitato di sciopero ha potuto gestire un ammontare di donazioni di più di 8 milioni di dollari di Hong Kong (circa 790.000 €) in 40 giorni e le organizzazioni studentesche, sia delle scuole superiori che delle università, hanno attivamente sostenuto la campagna di solidarietà. Sono stati, inoltre, mobilitati membri della società civile e del pubblico, con manifestazioni a favore dei lavoratori in sciopero. Tutti i mass media più diffusi, inoltre, hanno dato, tra le notizie principali, quella dello sciopero, per molti giorni fino alla sua fine.
Per i lavoratori, questo è stato anche un importante momento di reintegrazione politica, e dopo lo sciopero hanno continuato a partecipare in altri eventi politici, come la manifestazione del primo luglio con la richiesta del diritto alla contrattazione collettiva. Tutto questo, crediamo, indica un significativo spostamento a sinistra nella società civile di Hong Kong. Il risultato dello sciopero tuttavia non è stato una vittoria totale. La compagnia non ha riconosciuto la legittimità del sindacato, e non ha concesso appieno le richieste dei lavoratori. Ma l’aumento dei salari del 9.8 % significa senza dubbio un miglioramento per i lavoratori, e dopo lo sciopero, le condizioni di lavoro sono anche visibilmente migliorate». Un effetto più importante è quello che ha reso i lavoratori portuali capaci di vedere l’azione collettiva come una possibilità di lotta contro l’ingiustizia economica e l’oppressione, e che ha anche permesso alla società civile di porre una maggiore attenzione ai problemi di ingiustizia sociale affrontati dai lavoratori ogni giorno.
«Hong Kong avrà senza dubbio un ruolo cruciale nel cambiamento politico in Cina. La nostra città è tradizionalmente sempre stata rifugio di rivoluzionari, da Sun Yat-Sen fino ai molti capi del 4 Giugno, ripiegati ad Hong Kong dopo il massacro di Tienanmen. Anche se noi non avremo un ruolo così cruciale in futuro, Hong Kong è, ad oggi, l’unico posto in Cina dove la gente può apertamente criticare e rifiutare il sistema statale monopartitico e lottare per la democrazia. Ad ora, un’innovativa campagna chiamata Occupy Central è in preparazione. Lanciata da un professore di legge all’Università di Hong Kong, questa campagna per la democrazia ha raccolto con successo l’adesione di partiti politici e di molti grandi gruppi e organizzazioni della società civile. La campagna, con differenti fasi di discussioni pubbliche sulla democrazia e sul cambiamento politico, culminerà in atti di disobbedienza civile se Pechino non permetterà un vero sistema politico democratico in Hong Kong, realizzando gli ideali della democrazia deliberativa».
Ora, procedono a rilento, informa l’Ansa, le trattative tra gli studenti e il governo di Hong Kong, concordate lunedì scorso per mettere fine al movimento di disobbedienza civile Occupy Central che ha portato decine di migliaia di persone a manifestare per la democrazia bloccando il centro della metropoli. Al momento continuano discussioni definite “preliminari” dalle due parti. E per strada rimangono centinaia di persone, sparse per i tre presidi di Admiralty, Causeway Bay (sull’isola di Hong Kong) e Mongkok (penisola di Kowloon).
Si è registrata una sostanziale ripresa delle attività grazie a una parziale smobilitazione dei manifestanti pro democrazia, che, dopo una settimana di proteste, non hanno ottenuto alcuna concessione e appaiono divisi sul futuro del movimento. Anche se alcune di centinaia di manifestanti sono ancora nelle strade. Intanto, la conferenza sullo stato del pianeta che da oggi avrebbe dovuto vedere riuniti a Hong Kong una decina di premi Nobel, è stata annullata. Lo hanno reso noto gli organizzatori – l’Istituto di Potsdam per la ricerca Climate Impact (Pik) e l’Asia Society di Hong Kong – spiegando che la “difficile” decisione è legata ai “problemi” e ai disordini in corso nella città.
I manifestanti hanno ottenuto di tenere colloqui col governo del territorio su una “nuova fase” di riforme politiche, ma l’odiato “chief executive” – corrotto capo del governo locale – Leung Chun-ying, rimane al suo posto, anche se fortemente indebolito, nonostante le ripetute richieste di dimissioni. E il governo di Pechino, primo destinatario delle proteste per i limiti che ha imposto alle prossime elezioni del chief executive, previste per il 2017, non ha accennato a possibili marce indietro. Alex Chow, uno studente di 24 anni, tra i leader del movimento per la democrazia, ha sostenuto che «la gente ha bisogno di riposare, ma ritornerà».
articoli come questo si sono letti dopo maidan, dopo il cairo, dopo bengasi, dopo la siria… solo che in seguito i fatti hanno dato ragione alla tesi di fracassi. succederà anche questa volta, stanne certo.
Mi pare che Antonini in questo articolo più che dimostrare che il movimento di Hong kong sia “genuino” e “per la democrazia reale”, abbia preso l’occasione per sbeffeggiare degli ambienti politici che gli stanno antipatici.
Bisognerebbe indagare, per parlare seriamente di Occupy Central, quanto questo movimento sia attraversato dalla tendenza a pensare che operai e contadini della Cina continentale siano troppo arretrati per meritarsi la democrazia e quindi debbano essere lasciati a loro stessi. Bisognerebbe capire quanto si immaginino un futuro fatto di una Cina unita oppure fatto di tante città indipendenti sulla costa. Bisognerebbe capire se la democrazia che si immaginano è quella autoritaria di Singapore, se chiedono solo che ci possano essere più partiti o se chiedono anche che si possa esprimere democrazia sui luoghi di lavoro. Bisognerebbe capire se per questi sono democratiche solo le elezioni in cui vincono loro o anche quelle in cui vincono i pro-Beijing. Bisognerebbe capire quanti nel movimento sono daccordo con coloro che vogliono lo scontro a tutti i costi e quanti invece sono disposti a trattare.
Purtroppo di queste cose l’articolo di Antonini non parla.
E non parla non perchè Antonini non sia un bravo giornalista, non parla perchè saper leggere le dinamiche di un paese straniere e per di più di una città come Hong Kong non è cosa che possa essere fatta senza aver vissuto lì, senza avere fonti locali, senza aver studiato a lungo. E invece Antonini in questo articolo monta una polemica a uso e consumo delle organizzazioni politiche italiane.
gentile soldato, grazie per le critiche dure ma espresse con un tono garbato (almeno non m’hai detto che sono un nostalgico del colonialismo britannico). probabilmente è vero che l’urgenza del pezzo (io mi occupo rararamente di esteri) era dettata dalla polemica con le posizioni neocampiste e rossobrune che infestano il web, da una differenza di impostazione con lo stile di FF ma anche gli altri elementi a disposizione nel pezzo parlano di un movimento vero e dunque attraversato da tendenze diverse a volte contraddittorie, com’è accaduto al Cairo, a Maidan, e ovunque. la risposta è nei rapporti di forza, come sempre. buona lettura e, se hai contributi da indicarci non lesinarli.
Ricordiamo che Gramsci in un articolo de “L’Unità”, del 26 giugno 1925 dal titolo “Volontà delle masse e volontà dei capi opportunisti” scriveva che: “sottomettersi all’istintivo è sottomettersi alla ideologia borghese poiché nella società contemporanea la prima ideologia è sempre l’ideologia borghese. E’ quello che ha sempre fatto il Partito socialista in Italia: sottomettersi alla “volontà istintiva” delle masse, senza essere mai capace di portare queste masse sotto l’ala del marxismo rivoluzionario. ” (…) ”Ecco perché il compito di noi comunisti è di combattere la spontaneità, di deviare il movimento operaio da quest’aspirazione spontanea che ha il trade-unionismo di rifugiarsi sotto le ali della borghesia, e di attirarlo al contrario sotto l’ala del marxismo-rivoluzionario, cioè del comunismo”.
Partendo da queste considerazioni “i desideri delle masse oppresse”, come li definisce Checchino, dovrebbero ispirare a noi comunisti riflessioni e analisi che vanno al di là di accuse più o meno scellerate di campismo, io apprezzo tantissimo Franco Fracassi e il suo lavoro; ricordo che la storia chiunque la faccia viene poi raccontata dai vincitori, e che anche fra i compagni alcuni non credono ancora che esistano i nazisti a Kiev … e sulla strage di Odessa hanno postato su siti della sinistra radicale e anticapitalista scritti orribili, fra i quali uno di un tale che si firma Sergei, una cosa questa che meriterebbe ben altre riflessioni che il giochino “se non la pensi come me sei campista o addirittura neo stalinista” …
Difficile leggere tante sciocchezze (analitiche, metodologiche, ideologiche, perfino cronistiche) tutte insieme nello stesso srticolo. Pura reazione…
Personalmente quoto Franco Fracassi.
Torniamo agli albori della scienza economica.
I fattori della produzione sono tre: terra, capitale e lavoro.
Ognuno dei tre fattori riceve una remunerazione: rendita, profitto, salario.
La terra (da intendersi adesso come finanza, non a caso la remunerazione si chiama rendita) si sta impossessando di tutto e gioca a mettere il lavoro contro il capitale.
Questa è la chiave di lettura con cui dovrebbero essere analizzati gli attuali eventi.
Infine, un suggerimento ad entrambi, Fracassi ed Antonini: cominciate a scrivere anche di signoraggio valutario e di paradisi fiscali.
Hong Kong era un paradiso fiscale sotto i britannici, è rimasto tale sotto i cinesi, che si sono ben guardati, sul punto, dal modificare le cose.
Grazie.
Antonini parla di libertà nel suo articolo ma il mio commento è rimasto visibile solo per poco e, poi, è stato censurato… Obiettavo solo dell’impreparazione storiografica di chi ha scritto l’articolo e suggerivo la lettura di un libro ben documentato e la visione di un video su youtube per capire chi fossero i trotskisti nella storia. Mi guarderò bene dal ri-citare per evitare ulteriori tacitazioni… Tutto ciò non fa altro che confermare i miei dubbi e le perplessità sulla reale genuinità delle buone intenzioni del vergante. Averne, invece, di Fracassi.