Domani l’Uruguay al voto per eleggere il nuovo presidente della repubblica. Comunque vada rimpiangeremo Pepe.
di Marina Zenobio
Domani, mentre Dilma Rousseff e Aécio Neves dovranno affrontare il ballottaggio per la presidenza del paese carioca, in Uruguay si celebrerà quello che, secondo i sondaggi, sarà sicuramente il primo round elettorale per decidere, anche qui, il presidente della repubblica nonché il rinnovo del parlamento.
Di sicuro dobbiamo dire addio all’amato Pepe Mujica, perché la legge uruguayana non prevede un secondo mandato presidenziale. I candidati abbondano, sono ben sette, ma solo tre hanno qualche possibilità di riscontrarsi al ballottaggio del 30 novembre: l’ex presidente Tabaré Vázquez del Frente Amplio (lo stesso di Mujica), Luis Lacalle Pou del Partito Nazionale, figlio dell’ex presidente Lacalle Herrera, e Pedro Bordaberry del Partito Colorato, con un pesante cognome perché figlio del dittatore Juan María Bordaberry, che guidò il colpo di stato del 1973.
Nelle ultime due elezioni generali che si sono tenute in Uruguay nel 2004 e nel 2009, i candidati del Frente Amplio (FA) si sono imposti come forza maggioritaria, riuscendo così a stabilire una continuità del proprio progetto di paese, mettendo in atto politiche dirette ad uscire dal debito sociale ereditato da anni di neoliberismo, ridurre l’alto tasso di disoccupazione, di povertà e indigenza. Pur tuttavia con delle differenze tra la presidenza di Vasquez e quella di Mujica.
Dopo aver vinto il ballottaggio nel 2010, Josè “Pepe” Mujica (nella foto), ex guerrigliero tupamaros, assunse la carica di presidente della Repubblica, affrontando in forma molto più radicale quelle stesse politiche economiche, politiche, sociali e scommettendo con maggior entusiasmo sull’integrazione regionale e sulla sovranità del Sud America, facendo fare al paese grandi passi avanti in materia di salute, educazione e inclusione sociale, con una significativa riduzione del tasso di disoccupazione e della povertà. Anche se Mujica è diventato internazionalmente popolare per la legge che ha legalizzato la coltivazione e il consumo controllato della marijuana. Ma, come già detto, Mujica per la legge uruguayana non ha potuto ricandidarsi e il Fronte Amplio, coalizione di sinistra nata nel 1971, si è compattato a fianco del già presidente Tabarè Vasquez. E potrebbero esserci delle sgradite sorprese.
Nella sua campagna elettorale Vasquez ha assicurato, da un lato, la continuità con il progetto-paese di Pepe Mujica, rilanciando un volto nuovo nella politica del paese ma dal nome suggestivo, Raul Sendic (nome completo Raul Fernando Sendic), figlio di uno dei grandi leader del Movimento di Liberazione Nazionale-Tuparamos, che in caso di vittoria del FA potrebbe diventare vice-presidente della repubblica e presidente del parlamento. Le loro proposte si basano su una maggiore inclusione democratica, maggiori servizi pubblici, fonti di lavoro qualificati, più valore aggiunto alla produzione e al consolidamento di un sistema economico capace di generare ricchezza da ripartire con giustizia sociale.
D’altra parte però, il medico oncologo candidato presidente Tabaré Vasquez, retrocede anni luci dalle politiche portate avanti da Mujica, in particolare per quanto riguarda la depenalizzazione dell’aborto, l’input sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la legalizzazione della marijuana. In questo senso Vasquez ha dichiarato che sono temi da valutare criticamente e, nel caso, non gli mancherà il polso per rivisitare la legge e la sua regolamentazione.
Il secondo candidato alla presidenza dell’Uruguay è Luis Lacalle Pou, del Partito Nazionale (o bianco), figlio dell’ex presidente Luis Alberto Lacalle (1990-1995) che governò il paese con un programma apertamente neoliberista. Ha portato avanti una campagna elettorale all’insegna del rinnovamento e del dialogo. Ma al di là della retorica, il suo programma si fonda nelle stesse idee che sono il nucleo dell’egemonia neoliberista, la stessa che trascinò il paese in una profonda crisi economica e sociale. Il suo slogan: uscire dall’Uruguay dell’“assistenzialismo” per entrare nel paese delle “opportunità”, e argomenta che “la povertà non solo genera vulnerabilità ma anche dipendenza e questa si combatte con l’educazione non con piani sociali (!)”. Per questo, secondo Lacalle Pou, è necessario rivedere tutte le politiche sociali attuate dal Fronte Amplio. Propugna un modello economico più aperto al capitale privato, accusa la politica del FA di essere troppo statalista e poco efficiente, e per quanto riguarda la politica estera, propone di “ deideologizzare” le relazioni internazionali e aprire il paese agli investimenti stranieri, insomma un ritorno dell’Uruguay al neoliberismo.
Il terzo candidato, con scarse opzioni (secondo i sondaggi) di arrivare al ballottaggio, è Pedro Bordaberry del Partito Colorato, figlio del dittatore Bordaberry.L’anno scorso il Partito Colorato, insieme al Partito Nazionale, ha raccolto 35 mila firme per indire un referendum (che si terrà domani, contestualmente alle elezioni generali) che chiede la promulgazione di una legge che abbassi l’età di impunibilità. Il suo programma è centrato sulla questione della sicurezza, cavallo di battaglia dell’intera campagna elettorale. In tema economico, i colorati propongono un modello che permetta all’Uruguay di “essere più integrato con il mondo”, cosa che nei fatti si traduce in una maggiore apertura commerciale e l’entrata del paese in trattati commerciali che permettano di attirare capitali stranieri, come la firma di un trattato di libero commercio con gli Stati Uniti.
Gli altri candidati che, sempre stando ai sondaggi, non hanno alcuna possibilità di accedere alla presidenza della repubblica, sono: Pablo Mieres (Partito Independiente), Gonzalo Abella (Unidad Popular), Cesar Vega (Partito Ecologista Radical Intransigente) e Rafael Fernandez (Partito de los Trabajadores).