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Bello il 25 ottobre, ma ora?

Le centinaia di migliaia di persone combattive in piazza a Roma sono il segnale di una nuova sensibilità alla difesa dei propri diritti

di Andrea Martini
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SanGiovanniQualcosa inizia a muoversi in profondità nella classe lavoratrice, alcune crepe si sono aperte nel consenso alle “gesta” di Renzi, soprattutto si manifesta una crescente stanchezza, una volontà di uscire dalla rassegnazione disperata con cui si assiste da troppo tempo ad un attacco sempre più esplicito. Non è ancora certo la fine della demoralizzazione, dell’apatia che da troppi anni regna nella scena politico-sociale italiana, ma comincia a delinearsi una opposizione al governo, certo ancora confusa, circoscritta e limitata. Si vive in un clima politico e sociale che la protervia del governo e di chi gli sta dietro sta forse contribuendo a mutare.

Dopo anni di passività ci sono state fermate spontanee nelle fabbriche contro il Jobs Act, premessa della buona riuscita degli scioperi e dalle manifestazioni locali della Fiom, si sono inasprite le lotte delle aziende che chiudono, prima fra tutte quella dei lavoratori delle acciaierie di Terni. C’è stato il contributo delle iniziative dei sindacati di base, con gli scioperi della logistica, che hanno dimostrato che ancora si può vincere, con le iniziative nazionali nella scuola e in tutti gli altri settori.

Inoltre tutti coloro che erano presenti in quella piazza respiravano un’atmosfera diversa da quella mefitica e ingabbiante della quotidianità oppressiva delle politiche padronali e governative e della martellante propaganda di regime di tutti gli organi di disinformazione. Grottesco il tentativo renziano (e dei suoi numerosissimi supporter mediatici) di presentare quella piazza e il raduno paraconfindustriale riunito alla stazione Leopolda di Firenze come due facce della “società civile”. In realtà si trattava di due manifestazioni di due classi avverse e contrapposte. Purtroppo una con una capacità di iniziativa ancora molto limitata e con una rappresentanza politica e sindacale spaventosamente inadeguata, l’altra ben consapevole dei propri interessi e fin troppo ben organizzata e rappresentata.

La percezione di questo clima tendenzialmente nuovo ha influito molto sulla decisione della direzione della Cgil di indire la manifestazione nazionale. Naturalmente senza dimenticare la necessità di rispondere all’arroganza che il Presidente del consiglio esprime quotidianamente nei confronti di sindacati che pure, con la loro complicità formale e sostanziale, hanno contribuito grandemente al progressivo smantellamento delle tutele e dei diritti. Né all’interesse dell’apparato Cgil di dare una mano alla “sinistra” del PD, messa nell’angolo dalle milizie fondamentaliste di Renzi.

2014-10-25 10.37.16Certo la dimensione della mobilitazione, pur molto grande, non è ancora quella di cui ci sarebbe bisogno per sconfiggere la durezza e le determinazione dell’attacco ai diritti, alle tutele, alle condizioni di vita, ma non si può sottovalutare come il corteo di ieri dimostri la crescente percezione del carattere intollerabile e di classe delle politiche antipopolari e liberiste del governo. Sta crescendo in ampi strati di lavoratrici e di lavoratori la consapevolezza del carattere ostile e nemico di un governo che fino a poco fa si sarebbe definito “amico”. Ci sono le premesse perché si ricrei una spinta all’azione collettiva.

La manifestazione di ieri, dunque, ha portato alla luce un potenziale di opposizione nei confronti del governo e delle forze padronali la cui dimensione rivela la natura ancora più colpevole e complice della inerzia con cui i sindacati hanno consentito se non agevolato le peggiori controriforme sociali.

Per questo la manifestazione di ieri è molto importante, ma per avere effetti positivi deve essere l’inizio di una fase nuova, la premessa di una svolta tardiva ma ancora possibile.

Purtroppo le possibilità che il gruppo dirigente voglia intraprendere un percorso veramente diverso e dare continuità reale di lotta e di mobilitazione alla manifestazione del 25 ottobre sono molto remote.

La direzione della Cgil ha per tutti questi anni contribuito a sdrammatizzare la dimensione, la profondità la violenza dell’attacco in corso, si è sempre data da fare per far pensare che lo scontro importante non era mai quello in corso, ma sempre quello a venire. Ha sempre ritenuto i governi (in particolare gli ultimi tre, Monti, Letta e Renzi) come interlocutori possibili, come promotori di progetti (di “agende”) emendabili. Come soggetti animati dalla stessa volontà di risanamento del paese, anche se con ricette non del tutto condivisibili. Come se esistesse un interesse comune che possa tenere insieme l’azione del padronato (e dei suoi governi) e i bisogni delle masse lavoratrici e delle classi popolari.

Non si è voluta vedere la natura di classe di questi governi, e in particolare dell’ultimo, e dunque tanto meno progettare un percorso di lotta articolato e generale, far vivere la volontà di andare ad una prova di forza sociale, andando fino in fondo, per riuscire ad essere vincenti.

E il comizio conclusivo della manifestazione del 25 ottobre, il discorso di Susanna Camusso, ha perfettamente espresso la continuità con questa mancanza di volontà, con quell’analisi interclassista e perdente. Ha volutamente perso l’occasione di proclamare uno sciopero generale vero dal palco di fronte a centinaia di migliaia di lavoratrici, di lavoratori, di giovani, di pensionati esasperati dalla brutale aggressione di Renzi e dei governi precedenti, fornendo un’indicazione per dare seguito alla rabbia e all’entusiasmo di quella giornata. Si è limitata a tentare di evitare contestazioni e accuse evocando solo una vaga continuazione della lotta, “anche con lo sciopero generale”, evitando accuratamente di indicarlo come naturale estensione e sviluppo della riuscita giornata di ieri, ma subordinandolo ad altri inutili momenti di confronto con il governo e, soprattutto, a un deleterio tentativo di costruire la prosecuzione della lotta “unitariamente” con Cisl e Uil.

Al momento non sappiamo se questo sciopero generale ci sarà. Domani 27 ottobre è convocato l’esecutivo nazionale della Cgil (il reale, informale organismo di direzione allargata della confederazione). Vedremo che cosa ne scaturirà. Ma è chiaro che, tanto più si ritarderà nel dare indicazione sul se e sul come dare prosecuzione alla lotta, tanto più i progetti governativi (Jobs Act, legge di stabilità, controriforme istituzionali…) andranno avanti, tanto più i sintomi di risveglio sociale di queste settimane potrebbero ripiegare nella delusione e nel senso di sconfitta, di ineluttabilità delle politiche di austerità.

Ecco perché il relativo successo quantitativo e qualitativo della giornata del 25 ottobre deve spingerci a intensificare le iniziative di mobilitazione e di lotta, sia perché è sempre bene e in qualunque forma esprimere il dissenso netto nei confronti della politica governativa, sia perché a far muovere la Cgil, più che la durezza dell’attacco avversario, è la paura di perdere il controllo della situazione, il terrore che possano prodursi mobilitazioni ampie e generalizzate che sfuggano alla sua direzione.

La Cgil, nonostante la gravità della sua crisi e la profondità dell’inadeguatezza della sua proposta, è consapevole di essere pur sempre e di gran lunga la principale organizzazione di massa del paese, del fatto che settori consistenti di lavoratrici e lavoratori sono ancora disponibili a rispondere a una sua proposta di mobilitazione, nonostante le sue troppe malefatte e/o la sua inerzia. Sa che il governo continuerà ed aggraverà la sua politica di austerità e che i fenomeni di risposta e di ribellione potrebbero estendersi e moltiplicarsi.

Se si producesse questo senza attivare le sue capacità di recupero e di controllo, la sua crisi di irrilevanza, che pure già esiste ed è profonda, potrebbe esplodere. Ecco perché l’apparato inizia a mimare un comportamento più combattivo.

Ecco perché è molto importante la battaglia che conduce l’area “Il sindacato è un’altra cosa-Opposizione Cgil”, che ieri con uno spezzone numeroso e combattivo di oltre mille compagne e compagni ha ben caratterizzato una parte della manifestazione, in sintonia peraltro con tanti altri spezzoni di fabbrica o di azienda che avevano anch’essi parole d’ordine e modalità di esprimerle molto più radicali da quelle tuttora impacciate ed incerte dell’apparato.

La richiesta di uno sciopero generale vero, come momento reale di radicalizzazione e di coinvolgimento di più larghi settori della classe lavoratrice, richiesta che ha caratterizzato la presenza dell’opposizione Cgil, era molto diffusa in gran parte dei cortei.

E la partita nelle prossime settimane, sfruttando il successo della manifestazione, si gioca proprio su questo terreno. Come attivare tutte le disponibilità ed energie per mantenere in piedi una mobilitazione, una pluralità di iniziative di lotta, costruendo così anche concretamente non solo l’indizione dello sciopero generale, ma anche e soprattutto le condizioni della sua riuscita reale.

Per questo resta pienamente valida la giornata del 14 novembre, come giornata di lotta e di sciopero che sappia coinvolgere lavoratori, precari, disoccupati, e il lavoro che stanno facendo nella prospettiva del 14N le correnti sindacali di classe e significativi settori dei movimento sociali.

Tra i tanti nemici da battere noi insistiamo in particolare su uno: la frammentazione delle iniziative, il loro moltiplicarsi e contrapporsi l’una all’altra, il non capire che in una lotta così difficile la prima cosa da fare è quella di creare la massima convergenza, di sottolineare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide, la sostanziale rassegnazione che un atteggiamento di questo tipo sottintende.

La concorrenzialità e la contrapposizione partono dall’idea che la battaglia contro l’avversario governativo e padronale sia perduta e che valga di più la pena di concentrarsi nella battaglia contro le altre correnti che agiscono nel mondo del lavoro, per spartirsi la fetta migliore di una torta che però sta diventando sempre più piccola.

Chiunque parli con i lavoratori sa bene che questa non è solo una necessità obiettiva, ma anche una loro richiesta esplicita.

E’ l’impegno che le/i militanti della nostra organizzazione hanno già espresso nelle scorse settimane e che più che mai rinnoveranno nei prossimi giorni.

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