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Ilaria Cucchi: «Per fermarmi devono uccidermi»

Il caso Cucchi non finisce qui. Lo ripetono Ilaria e Fabio Anselmo. Il giorno dopo è il giorno dell’amarezza vera o di facciata. E Giovanardi nega ci sia stato il pestaggio

di Ercole Olmi

 

«Il caso Cucchi non finisce qui», dicono Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo, legale della famiglia, il giorno dopo la sentenza che assolve tutti ma ammette tutto, la violenza e l’incuria. Proibizionismo, carcere, malapolizia e malasanità. «Ora aspetteremo le motivazioni della sentenza per preparare il nostro ricorso per Cassazione ma intraprenderemo anche un’azione legale nei confronti del ministero» della Giustizia, «affinchè si possa riconoscerne la responsabilità rispetto alla morte di Stefano». E Ilaria aggiunge: «Mi devono uccidere per fermarmi». «Non ce l’ho con i giudici di appello – aggiunge – ma adesso da cittadina comune mi aspetto il passo successivo e cioè ulteriori indagini, cosa che chiederò al procuratore capo Pignatone».

Il giorno dopo è quello dell’amarezza. Quella vera e quella di facciata. Ci sono politici e partiti che non hanno mai fatto nulla di concreto (o hanno operato per creare le peggiori condizioni) per chi rischia di trovarsi nei panni di Stefano o della sua famiglia, ma fanno i carini con Ilaria per strappare due righe di agenzia.

Ed è il giorno della volgarità, quella di Giovanardi e di quei sindacati di polizia che sono avvezzi ad applaudire chi commette violenze efferate indossando una divisa contro soggetti perlopiù inermi e debolissimi. Con la consueta disinvoltura questo statista modenese nega che ci sia stato un pestaggio e continua a lanciare messaggi «al lato oscuro di una società impaurita dalla crisi», come gli fanno notare Cristina Quintavalla, candidata presidente dell’Altra Emilia Romagna (la lista Tsipras per le imminenti regionali) e i candidati modenesi di Aer: «Mente Giovanardi, come fa spesso in vicende del genere. Mente con cinismo, con calcolo, per far parlare di sé, per parlare al lato oscuro di questa società impaurita dalla crisi. Mente perché ha disprezzo per la vita umana, per le famiglie che chiedono verità e giustizia, per gli stili di vita che non siano identici al suo. Chiunque abbia letto le carte del processo Cucchi sa che nessuno, nemmeno i secondini abituati alle squadrette nelle celle lisce, potrebbero negare che ci sia stato un pestaggio. Non è vero che non è successo niente. E’ vero che il processo è stato incapace di stabilire chi ha pestato quel ragazzo e chi lo ha seppellito nel reparto penintenziario dell’ospedale Pertini. Anche l’Emilia Romagna, intossicata dall’ideologia securitaria, oltre ad essere teatro delle volgari incursioni verbali di Giovanardi, è teatro di episodi di violenza efferata da parte di chi dovrebbe, invece, garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti. Lo raccontano i processi per l’omicidio Aldrovandi, per le violenze di alcuni vigili urbani di Parma contro i migranti, per le gesta della celere di Bologna contro studenti e operai, le denunce della violenza nel carcere di Parma, per gli sgomberi violenti delle occupazioni a scopo abitativo, e l’ordinaria repressione del dissenso (come l’obbligo di firma per gli attivisti reggiani di Aq16 colpevoli di aver contestato il leader xenofobo della Lega, Salvini)».

Puro buonsenso trasuda, invece, dalle parole di chi ogni giorno opera nelle zone grigie dello stato di diritto come le prigioni. Padre Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli, afferma all’Adnkronos: «la famiglia di Stefano ha diritto a conoscere la verità. Cercare la verità è un dovere. C’è un ragazzo che è morto, ma ancora non c’è stata nessuna risposta».

Continua Fabio Anselmo: «Durante questo faticosissimo percorso giudiziario abbiamo acquisito ulteriori elementi che potranno diversamente orientare la prosecuzione del processo. Abbiamo avuto al nostro fianco, pur nella diversità delle nostre posizioni, una Procuratore generale libero ed affamato di verità e giustizia. Auspichiamo che il suo ufficio faccia ricorso per Cassazione. Noi ci saremo. La Suprema Corte è senz’altro la miglior sede per poter far valutare la nostra richiesta di annullamento della sentenza». Secondo la difesa della famiglia Cucchi da entrambi i processi emerge che comunque un pestaggio nelle celle del Tribunale c’è stato e quindi si chiama ora in causa il ministero della Giustizia affinchè riconosca la sua responsabilità dal punto di vista di un risarcimento danni. La famiglia di Cucchi, nelle more del processo d’appello, ha già ottenuto un maxi-risarcimento da un milione e 340mila euro frutto di una accordo-transazione con i legali dell’ospedale dove Stefano morì; tant’è che nel giudizio d’appello non erano costituiti contro le parti mediche. «Non posso fare a meno di ricordare che già durante l’udienza preliminare avevo previsto questo esito. Adesso abbiamo una sentenza che certifica l’insufficienza di prove su tutto: sugli autori del pestaggio e sulle singole responsabilità di medici e infermieri. La fragilità e le imbarazzanti contraddittorietà della perizia disposta dalla Corte di primo grado mai avrebbero potuto reggere a un vaglio severo e giusto da parte dei giudici di seconda istanza».

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