La provocazione di Salvini nel luogo in cui sono ospitati i cittadini bolognesi parenti delle vittime della Uno Bianca ma il sindaco Pd annuncia lo sfratto dei centri sociali cattivi
da Bologna, Ercole Olmi
Da domani, in Giunta comunale, parte una “verifica sulle convenzioni con 40 centri sociali, per distinguere quelli che fanno effettivamente cultura o musica dagli altri, una verifica amministrativa da consegnare poi alla magistratura”, annuncia il sindaco di Bologna, Virginio Merola, a margine del Consiglio comunale, durante il quale ha svolto un lungo intervento sui fatti di sabato scorso. Merola spara sui centri sociali proprio nel giorno in cui il sindacato degli inquilini, Asia, e il comitato Acqua pubblica di Bologna hanno presentato un esposto in procura per il taglio delle utenze agli occupanti delle ex scuole Ferrari. Nel documento si chiama in causa la mancata applicazione dell’articolo 1 della legge regionale 23 del 23 dicembre 2011, in cui si afferma il dovere per la pubblica amministrazione di garantire ai cittadini l’accesso all’acqua potabile. «Il sindaco deve prendere consapevolezza che togliendo l’acqua non riconosce la vita, il diritto di queste persone ad esistere. L’acqua è un diritto a cui devono avere accesso tutti», hanno dichiarato i promotori dell’esposto che chiede “alla Procura di porre fine a questa violazione dei diritti umani”, come spiega Claudia Candeloro, esponente del comitato referendario e candidata al Consiglio regionale con l’Altra Emilia-Romagna.
L’attacco ai centri sociali è il primo vero risultato politico della provocazione leghista di sabato scorso quando il leader nazionale del Carroccio, Salvini, è voluto tornare a “visitare” il campo sinti (abitato esclusivamente da cittadini bolognesi) di Via Erbosa, a Bologna. Una provocazione annunciata dopo un’altra “visita” da parte di Fabbri, candidato presidente alle regionali per la Lega e una sua collega di lista. “Visita” finita a schiaffoni da parte dei residenti in via Erbosa con i leghisti che strepitavano e giuravano vendetta. Fabbri ha deciso di giocarsi la campagna in chiave razzistoide in linea con la svolta lepenista della Lega che qui si presenta con Forza Italia e ruba continuamente la scena agli alleati tanto da irritarli un bel po’.
Il programma della Lega, «radere al suolo – come ha detto e ridetto Fabbri – i campi degli zingari» sembra ispirarsi alla Uno Bianca. Infatti, da 23 anni, sono proprio i familiari delle vittime di una delle più sanguinose stragi di quella banda, nel 1990, ad essere ospitati in Via Erbosa (dovevano poco tempo prima dell’assegnazione di alloggi ERP. Sono ancora lì) dal comune di Bologna che ha memoria labile e preferisce inseguire la Lega sul terreno dell’emergenza sicuritaria e, appunto, regolare i conti con le realtà antagoniste. L’ultra padano Calderoli rispolvera il poco padano codice di Hammurabi e giura che nulla resterà impunito, «occhio per occhio, dente per dente».
Come ricorda anche il sito bolognese Zic.it, era il 10 dicembre 1990 quando, a Santa Caterina di Quarto, in un accampamento di rom e sinti, la Banda dei fratelli Savi sparò all’impazzata colpi di mitraglietta contro le roulotte, provocando il ferimento di nove persone. Il 23 dicembre 1990 i killer della Uno Bianca tornarono a sparare contro gli zingari, al campo di Via Gobetti, uccidendo Rodolfo Bellinati e Patrizia della Santina e ferendo anche un’altra donna. Pochi giorni dopo la sparatoria, una zingara, presente nel campo al momento dell’agguato, fu chiamata in Questura a testimoniare. Tra i poliziotti presenti in Piazza Galileo riconobbe uno degli aggressori: era Roberto Savi, ma nessuno le diede ascolto. «Tutti uguali davanti alla morte, ma non davanti agli inquirenti: la testimonianza portata in quell’occasione fu ascoltata come si fa con un bambino che sostiene di aver visto il lupo mannaro. Ai funerali dei due nomadi uccisi dai killer della Uno Bianca erano presenti poche centinaia di persone. Fu una vergogna per Bologna. In quel momento affiorò visibilmente l’indifferenza sociale e il razzismo perbenista alla petroniana. E il freddo di una giornata terribile e triste si trasformò subito in gelo: forse per i più non valeva rendere omaggio a una coppia di zingari “brutti sporchi e cattivi”».
Salvini si gode la solidarietà trasversale perfino della Kyenge e risuona il tamburo di guerra contro i settori più deboli della società. Solo l’Altra Emilia Romagna si smarca dal coro di dichiarazioni di sostegno a Salvini e mette l’accento sul clima da svolta autoritaria che si respira nel Paese: «Da un lato Napolitano che equipara l’antagonismo al terrorismo, dall’altro le gazzarre della Lega e dei fascisti per “radere al suolo” i luoghi dei migranti», avverte Cristina Quintavalla, candidata presidente per l’Altra Emilia Romagna.
«Non abbiamo mai pensato di tornare oggi al campo dei rom ma ci torneremo, non diremo niente a nessuno perchè non vogliamo che ci vadano di mezzo i ragazzi delle forze dell’ordine», dice ancora Salvini che proprio oggi è tornato nel Bolognese, sul luogo dei delitti, dopo la clamorosa provocazione di sabato scorso finita con un’auto della Lega sfasciata e un cronista ferito dagli anarchici a margine delle tensioni.
Questa mattina, al fianco del solito Alan Fabbri e a una decina di “fazzoletti verdi” ha messo in scena un presidio, con tanto di striscione ‘stop invasione’ e fatto visita al centro immigrati ‘La Pascola’ di Imola.
Anche qui Salvini è stato contestato da alcuni cittadini, ma non si è verificato alcun incidente e lo stesso Carroccio stavolta smentisce le voci di aggressioni.
Ma quello che eccita la stampa locale è il fatto se la polizia fosse o non fosse al corrente della messinscena di via Erbosa. Così Salvini: «I centri sociali ed i giornalisti lo sapevano benissimo dov’ero, la polizia no». «Le Prefetture dovrebbero essere chiuse e i poteri dati ai sindaci e ai governatori con un risparmio di un miliardo a prescindere dall’episodio di sabato e poi difendo sempre i ragazzi che portano la divisa e se qualcuno ha sbagliato sta più su».
Bisogna dire che non aiutano a ragionare episodi come l’aggressione di un giornalista del Resto del Carlino avvenuta a corredo della manifestazione che ha contestato Salvini, sabato a Bologna.