In Basilicata mentre le multinazionali estraggono senza sosta il petrolio il Pil cresce sempre meno e i disoccupati sempre di più.
di Edoardo Bettella
Che cosa comporta essere la regione con il più grande giacimento di idrocarburi d’Europa? In Norvegia, millecinquecento nuove assunzioni in un anno, stipendi da ottomila euro al mese, servizi efficienti. In una parola, welfare. In Guinea Equatoriale, picchi di crescita del Pil del sessanta per cento. In Basilicata, più disoccupazione, meno ricchezza e una terra distrutta. E un governo che autorizza trivellazioni sempre più intensive, senza salvaguardare il territorio.
In Basilicata si trivella ormai da più di vent’anni. Eppure, continua a essere una delle regioni più povere d’Italia, con uno dei tassi di disoccupazione più alti. Secondo Urbistat, il tasso di disoccupazione è del quindici per cento, e, tra i giovani, solo due su cinque hanno un lavoro. Il reddito pro capite è di poco più di tredicimila euro. Più del sette per cento dei lucani, però, guadagna meno di 650 euro al mese e il dodici per cento tra i 650 e gli 800 euro al mese.
Prendiamo la Guinea Equatoriale. Sebbene terra delle disuguaglianze e amministrata da un dittatore travestito da democratico, possiede la più grande riserva di idrocarburi dell’Africa sub-sahariana. E i risultati, infatti, si sono visti. Negli ultimi quindici anni, il Pil è sempre cresciuto. E neanche di poco: nel 2001 c’è stato un picco del sessantatré per cento e nel 2004 del trentotto per cento. Inoltre, è il Paese con il reddito pro capite più alto dell’Africa, anche se non distribuito equamente tra la popolazione.
La Basilicata rimane la “regione mille euro”, ma solo per ora: infatti, se la situazione non cambierà, il Pil continuerà a scendere. Nel 2012 è sceso del 2,9 per cento, nel 2013 del 3,1. Allo stesso modo, nel 2012 è calata anche la produzione industriale, del dieci per cento e il mercato delle esportazioni, del diciassette per cento.
Questi dati sembrano non quadrare con le quantità di petrolio che ogni giorno vengono estratte, pari a circa centomila barili. E di certo non si può contare sulle royalties, le tasse che le compagnie petrolifere pagano allo stato per sfruttare i giacimenti del sottosuolo. In Italia sono del dieci per cento, tra le più basse del mondo (in Libia sono del novanta per cento, in Canada del quarantacinque). Il tre per cento di questa tassa è gestita direttamente dallo Stato, che ha creato per i lucani una carta per lo sconto sul carburante, pari a cento euro a testa. Praticamente, neanche due pieni.
Il restante sette per cento viene gestito dai Comuni (quindici per cento) e dalla Regione (ottantacinque per cento). La Regione amministrata prima da Vito De Filippo e ora da Marcello Pittella. Il primo è lo stesso che, ora sottosegretario alla salute, non ha mosso un dito in seguito alle denunce dei cittadini in merito al disastroso stato della Val d’Agri; il secondo, invece, si è mostrato entusiasta del nuovo decreto Sblocca Italia, che in realtà non avrà altro effetto se non aumentare le trivellazioni.
Al posto della carta carburante, forse si sarebbe potuto fare come la Norvegia, che è uno dei maggiori esportatori di petrolio al mondo. Nel 1990, il governo istituì il “Fondo petrolio norvegese”, gestito dalla Norges Bank, la banca di Stato. Si tratta di un enorme fondo pensione petrolifero di carattere pubblico. Ad oggi, è il secondo fondo sovrano maggiore al mondo, dopo quello di Abu Dhab. Vale circa quattrocento miliardi di dollari, e la sua funzione è di gestire, senza sperperi, i proventi del petrolio, anche a fronte di impegni finanziari futuri. Il Pil della Norvegia è di circa trecento miliardi di euro, ed è stato proprio il petrolio a fare in modo che diventasse uno dei Paesi più ricchi ed avanzati al mondo.
Certo, nello Sblocca Italia è previsto che una parte delle royalties della Basilicata non rientrino nel patto di stabilità, quindi non debbano servire a risanare il debito pubblico. Ci mancherebbe, visto che sono l’unico compenso per avere una terra snaturata della sua storia, della sua identità e gravemente inquinata. Questo, però, al prezzo di dare carta bianca alle compagnie petrolifere per nuove ricerche di giacimenti e nuove trivellazioni. «Non bisogna legare la questione dei tumori alle estrazioni petrolifere», ha dichiarato l’assessore regionale alla salute. Come per dire che è già tanto quello che si è ottenuto. Che non bisogna pretendere troppo.
Purtroppo, però, la Basilicata sta crollando. Economicamente, socialmente, produttivamente. Il continuo aumento della disoccupazione e calo del Pil non sono congetture. E nemmeno lo sono il Pertusillo inquinato, le aziende agricole che chiudono e gli animali che muoiono. Nessuno pensa mai che, chi quelle terre le abita, forse non va in giro fiero di abitare nella “Lucania Saudita”, nel “Texas italiano”, nella “Libia di casa nostra”. Forse vorrebbe solo uno Stato che pensa ai provvedimenti, prima di prenderli.