Dissesto, a rischio il 95% dei comuni emiliani. Quintavalla (Aer): «Basta grandi opere e sblocca Italia, sblocchiamo la prevenzione e la manutenzione del territorio»
da Bologna, Ercole Olmi
Il 95% dei comuni dell’Emilia Romagna (e l’82% dei comuni italiani) è a rischio frane e dissesto per abbandono, degrado, cementificazione, consumo di suolo, abusivismo, disboscamento e incendi. Seicento i cittadini residenti nelle aree golenali a rischio di allagamento già evacuati a causa dell’ondata di piena del Po e più di 500 sono in attesa di essere trasferiti nei comuni rivieraschi delle province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Ferrara.
«Da un lato un paese che affoga ogni volta che piove, dall’altro un governo che con lo Sblocca Italia ne programma la cementificazione – dice Cristina Quintavalla, candidata presidente per l’Altra Emilia Romagna, commentando i dati di Legambiente e Protezione civile appena diffusi – l’unica grande opera utile è la messa in sicurezza del territorio, con una seria manutenzione ordinaria e politiche reali di prevenzione, ma chi governa preferisce le autostrade e i TAV facendo pagare il vantaggio economico di pochi potenti a tutti i cittadini».
Gran parte della campagna elettorale di Cristina Quintavalla, infatti, è stata occupata dall’ascolto delle preoccupazioni di cittadini e comitati per la conversione in legge di quel decreto. «Un autentico “mostro” politico e giuridico che tradisce lo spirito neoliberista che anima l’azione del Governo. Esso apre ad un modello di sviluppo economico non più sostenibile, che fa compiere all’Italia un salto indietro di cent’anni. Speculazione edilizia, corruzione, inceneritori, inquinamento, trivellazioni, progressiva dismissione del patrimonio pubblico: questo è il futuro che ci attende!».
Coerentemente con il programma elettorale dell’Altra Emilia Romagna, Quintavalla s’è impegnata, qualora fosse eletta, a promuovere il ricorso dinanzi alla Corte costituzionale. Ma la lista e i comitati pensano anche a un referendum abrogativo per fermare lo scempio.
Le conseguenze, provincia per provincia dello sblocca Italia
Tutto ciò anche in Emilia avrà delle conseguenze specifiche. Quintavalla, dopo essersi consultata con i candidati locali e con i comitati dell’Altra Emilia Romagna, ha provato a stilare una panoramica dei punti caldi.
Novantadue richieste di coltivazioni in terra e 50 permessi di ricerca in mare: ecco i progetti di trivellazione in attesa in Emilia Romagna. Lo “Sblocca Italia” concede al ministero dell’Ambiente ogni tipo di decisione sulle concessioni che possono arrivare fino a 30 anni e allungarsi poi di altri 20. Le Regioni potranno fare solo osservazioni, ma decade il principio dell’eventuale diniego vincolante.
Riguardano tutte le città, con tempi e modi variabili, i meccanismi infernali che andranno a sanzionare chi ha ripubblicizzato il servizio idrico o sta per farlo. Dovranno essere eliminati gli affidamenti minori in virtù dell’obbligo di avere un unico gestore per Ato. Si bloccano così i processi in corso a Piacenza e Reggio e si apriranno problemi nelle aree reggiana, ferrarese, bolognese, modenese. In Romagna c’è già una spa pubblica che vende l’acqua a Hera che la distribuisce. Anche qui, però, il progetto dei movimenti locali di affidare la distribuzione a Romagna Acque si blocca dopo anni di ostracismo del Pd, vero braccio politico di Hera.
Questa norma andrà letta intrecciata con le misure della legge di stabilità, il cui combinato disposto va a comporre un quadro normativo che spinge verso la privatizzazione in favore delle aziende multiutuilty quotate in borsa. Il Pd, per ora, punterebbe a una società per azioni che, anche se fosse davvero interamente pubblica, risponderebbe a logiche di profitto diametralmente opposte a quelle della legge scaturita dal referendum. In questo contesto il meccanismo degli oneri finanziari (che sostituisce la remunerazione del capitale bocciata dal referendum) verrebbe agito da una spa qualunque sia il suo proprietario.
A Bologna, l’Arpa ha appena presentato uno studio per evidenziare il rischio «reale e tangibile» di esondazione del torrente Ravone nel caso di precipitazioni superiori ai 70 mm in due ore. E, come dice anche Legambiente, «lo Sblocca Italia è legge, ma non prevede le opere più urgenti e utili per il nostro Paese». La prevenzione del dissesto idrogeologico, come dimostra l’alluvione di Genova, è tra quelle opere concrete chiuse nei cassetti da inadempienze della pubblica amministrazione, da conflitti di competenza, dal patto di stabilità, da inciampi burocratici, dalla mancanza di volontà politica e legge appena approvata non ne fa nemmeno menzione. E vale anche per bonifiche, depurazione, riqualificazione urbana, sicurezza sismica, abbattimento di manufatti abusivi, impianti per chiudere il ciclo dei rifiuti, riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, trasporti ferroviari per pendolari e trasporto pubblico locale.
Il ministro Galletti è appena passato da Rimini dov’è in corso Ecomondo, la fiera dell’ambiente, del riciclo, dell’innovazione. Qui gl’è stato fatto presente dai sindaci che non serve bruciare più rifiuti, come prevede il collegato ambientale della legge di stabilità ma è necessario un piano nazionale per gli impianti di trattamento centrato sulla riduzione dei rifiuti e sull’aumento della differenziata e del riciclo rendendoli più convenienti di quanto siano ora. Si aumentino notevolmente le percentuali di raccolta differenziata e si crei lavoro nella filiera del riciclo e dell’innovazione. Il collegato ambiente al contrario punta alla risoluzione di un problema dettato dall’inflazione UE sulla circolazione dei rifiuti e non tanto alla strategia finale, scaricando per altro sui comuni i costi maggiori per l’aumento della RD e comunque i costi di smaltimento tramite incenerimento che ricadono sui cittadini. La legge di stabilità svela la volontà del Pd di non voler superare mai il sistema dell’incenerimento.
Sullo Sblocca Italia la parola chiave del ministro è la sburocratizzazione, la tesi è paradossale: «Sblocca italia aiuta sburocratizzazione e migliora ambiente, perché i vincoli ambientali non sempre aiutano a tutelare l’ambiente». In arrivo deroghe e commissariamenti. Le mafie ringraziano.
Ferrara teme per il famigerato articolo 35 del collegato ambientale che considera gli inceneritori “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”, e di fatto “esautora gli Enti Locali dalla programmazione in tema di rifiuti” vanificando gli sforzi ultradecennali delle amministrazioni per una corretta pianificazione delle politiche di riduzione, riuso, riciclo e smaltimento dei rifiuti a livello territoriale, nonché di limitazione dell’ uso delle risorse fossili per una generale riduzione delle emissioni di CO2 obiettivo primario della politica ambientale a livello mondiale come stabilito nei protocolli di Kyoto e seguenti. La rende rende irrealizzabili gli impegni presi per progressiva riduzione della quantità di rifiuti non recuperati e quindi inviati allo smaltimento e la massima limitazione dell’impatto ambientale sul territorio e sulla popolazione e delle emissioni in atmosfera legate al trattamento dei rifiuti Ma lo sblocca Italia prevede maggiori sforzi per la ricerca di idrocarburi, soprattutto considerando le peculiarità del territorio ferrarese che potrebbe essere messo a dura prova perché soggetto sia a fenomeni di subsidenza conclamata che alla necessità di provvedere al sollevamento meccanico delle acque superficiali.
A Parma, esiste un famoso inceneritore, quello che ha fatto vincere le comunali al grillino Pizzarotti che non è stato in grado di spegnerlo. Ora funziona al 40% ma i rifiuti liberalizzati da Renzi lo faranno schizzare al 100% delle capacità velenose. Il cittadino di Parma, si troverebbe così nella situazione paradossale di sacrificarsi per la raccolta differenziata (che AER considera il vero sistema di smaltimento, assieme alla riduzione dei rifiuti alla fonte) e subire livelli di inquinamento come se tale raccolta non fosse realizzata. Il tutto senza un riconoscimento in tariffa. Lo sblocca Italia, anche a Parma, conferma il passaggio a un gestore unico del servizio idrico su scala provinciale, come già espresso nella legge di stabilità. Dai 3 gestori attuali (IREN, Montagna 2000, Emiliambiente) a un gestore unico, con forte vantaggio per IREN. La cessione delle quote azionarie dei comuni ai privati è, inoltre, incentivata con la promessa di utilizzare questi introiti fuori dal patto di stabilità. Una direzione assolutamente in controtendenza rispetto agli esiti referendari, per il cui rispetto si batte AER. Inoltre, all’affidamento a un gestore unico di ambito è subordinata la possibilità di fruire delle risorse accumulate in apposito Fondo destinato al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche. Dalla Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico appositamente istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è assegnata alle Regioni, la somma complessiva di 110 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2007-2013 per interventi di sistemazione idraulica dei corsi d’acqua. Tale sistemazione dovrebbe essere improntata a criteri di progettazione rispettosi della direttiva Europea sullo stato ecologico dei corsi d’acqua ma nulla è specificato in merito nel decreto, lasciando ampia discrezione sulla tipologia degli interventi.
Anche su Forlì incombe l’inceneritore di Hera, il colosso multiutility, che trarrà nuovo vigore dalla possibilità – prevista dallo Sblocca Italia – di importare rifiuti da fuori regione. Bisogna produrre meno rifiuti non bruciarne di più anche se arriveranno più soldi com’è venuto a promettere il ministro Galletti. La provincia non dormirà sonni tranquilli nemmeno dal punto di vista del dissesto idrogeologico reso più probabile dalla deregulation renziana. Già Cocercoli e Modigliana sono state teatro di alluvioni dovute all’incuria, nel secondo caso, e a un cantiere senza autorizzazioni nel primo caso su cui sta indagando la magistratura.
A Ravenna arriveranno i cantieri della Orte-Mestre, ennesima inutile arteria autostradale, ma c’è anche l’abbassamento di sei metri dell’alveo del porto canale, un’opera costosa e inutile perché la marea ristabilirà immediatamente il livello precedente. Ma sulla città incombe anche Matrix, l’impianto per gestire le ceneri dell’inceneritore da trasformare in materiale edile.
Gli inceneritori sono una costante, tra le ricadute regionali di questa legge, Piacenza (dove l’attuale impianto potrebbe trasformarsi nel 2020 in inceneritore di rifiuti speciali) e Reggio Emilia non fanno eccezione: se ne vuole costruire in montagna, a Carpineti e Poiatica e, sempre sull’Appennino si sente già il frastuono delle trivellazioni, dalla Val d’Enza e oltre. La Cispadana, inoltre, prevede un casello anche a Reggiolo e la Sassuolo-Campo Galliano, tutta in territorio modenese, si allungherà verso Reggio con uscite a Dinazzano e Marzaglia.
Modena anche soffrirà su più fronti: sarà obbligatorio riautorizzare gli impianti esistenti alla massima capacità termica nominale che, in termini quantitativi, è equivalente, per la sola attuale quarta linea, a una quantità tra le 198.400 e le 268.000 tonnellate. Nel caso di Modena pesa l’estensione già concessa nell’ultima modifica dell’autorizzazione integrata ambientale soggetta al ricorso al Tar e quindi Hera potrebbero avere un gioco più agevole: tutto da valutare è se l’incremento della quantità oltre le 240.000 tonnellate o una estensione del territorio andranno poi almeno assoggettate a verifica di Via, benchè quest’ultimo aspetto sia stato implicitamente negato nella ultima Aia.
Sarà solo il ministero dell’Ambiente a decidere, assogettato all’interesse strategico nazionale, sulla vertenza sul maxi-stoccaggio gas nel deposito di Rivara. Tre ricorsi al Tar della società inglese che vuole il progetto e pende anche l’impugnativa alla Via iniziale che potrebbe risultare decisiva nella conclusione della battaglia della Bassa. L’Altra Emilia-Romagna farà di tutto in Regione per fermare lo stoccaggio gas a Rivara.
Lo Stato, inoltre, subentrerà nei rapporti con il concessionario che realizzerà la Cispadana, considerata ormai opera strategica. «Le lobby del cemento e delle bonifiche, degli inceneritori e del petrolio, assieme ai privatizzatori del servizio idrico integrato non avranno vita facile a far applicare questa legge per i loro profitti. Tantissimi cittadini si stanno mobilitando e continueranno a lottare contro questa attacco finale alla salute, alla qualità dell’ambiente e all’economia diffusa basata su turismo, accoglienza ed enogastronomia».