Dopo lo speronamento dei gommoni da parte della Marina militare e il ferimento di due attivisti, adesso la Spagna vuol fare la multa alla Artic Sunrise.
di Massimo Lauria
Non dev’essere andata giù alla Spagna la brutta figura che Greenpeace ha fatto fare alla Marina militare, che il 15 novembre ha speronato e ferito due attivisti. Il video dell’aggressione – pubblicato anche da Popoff – ha fatto il giro del mondo. E ora il ministero dei Trasporti e dei Lavori pubblici spagnolo ha deciso di sequestrare la Artic Sunrise, la nave degli ambientalisti, sottoponendola a fermo amministrativo. L’ipotesi di reato è la violazione del codice di navigazione marittimo, all’Art. 308 della Legge sui Porti di Stato e sulla Marina Mercantile. Insomma, lo stato iberico si vendica facendo una multa a Greenpeace.
La nave degli ambientalisti è bloccata nel porto di Arrecife a Lanzarote e sottoposta a fermo amministrativo, fino alla conclusione delle indagini in merito alla protesta pacifica contro le trivellazioni di sabato scorso al largo delle isole Canarie. Durante la dimostrazione i gommoni degli ambientalisti sono stati attaccati dall’Armada, che li ha speronati facendo cadere in mare Matilde Brunetti, l’attivista italiana di 23 anni ferita insieme ad un altro ambientalista.
Quell’azione ora potrebbe costare a Greenpeace ben trecentomila euro. In ogni caso, hanno comunicato le autorità spagnole, il fermo della nave e del capitano Joel David Stewart rimarrà tale almeno fino al pagamento di una cauzione di cinquantamila euro. Queste misure, fanno sapere da Greenpeace, sono una risposta sproporzionata a sproporzionate rispetto «a una protesta non violenta contro attività petrolifere estremamente pericolose».
«Questo provvedimento – dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – dimostra che il governo spagnolo preferisce difendere gli interessi privati di una compagnia petrolifera, la Repsol, contro un’organizzazione ambientalista e pacifista che oggi è al fianco di milioni di persone, per opporsi alla minaccia costituita delle esplorazioni petrolifere».