Il collettivo dei Beni comuni restituisce ai cittadini un gioiello rinascimentale del Lungarno abbandonato. «Una finestra si apre e la bellezza diventa di tutte e di tutti».
di Massimo Lauria
Il Municipio dei Beni comuni occupa palazzo Pilo Boyl, uno dei gioielli rinascimentali del lungarno di Pisa, restituendogli nuova vita. Più che occupazione però, il collettivo preferisce chiamarla “liberazione”. Da oltre sei anni, infatti, l’edificio che ospitò lo scrittore e politico risorgimentale Domenico Guerrazzi, era blindato persino alla vista dei cittadini, nascosto dietro l’impalcatura appesa alla celebre facciata. Da giugno scorso i ponteggi sono stati smontati, rivelando però il completo stato di abbandono nel quale versava.
Ecco perché il collettivo ha deciso di riaprire il palazzo alla cittadinanza, così come ha fatto negli anni scorsi con l’ex Colorificio della JColors e del Distretto 42, l’ex presidio militare abbandonato. Entrambe quelle esperienze si sono concluse con lo sgombero forzato da parte della Polizia.
La storia di Palazzo Boyl, già palazzo Grassi fino al 1841 e poi passato ai conti Agostini Veronesi della Seta, nasconde la preoccupante avventura dell’ennesimo tentativo di trasformare un edificio storico in appartamenti di lusso. Nel 2008, infatti, la struttura di 3000 mq entra nel patrimonio della società di costruzioni Tognozzi Group Spa. Da quel momento inizia l’iter di ristrutturazione. Almeno così hanno pensato i cittadini pisani.
La triste sorpresa però arriva a giugno di quest’anno. «Quando la suggestiva facciata è riemersa alla luce del sole, la scoperta è stata a dir poco sinistra. Ogni cosa era come prima, nessun intervento era stato condotto sulle mura cinquecentesche, con buona pace di ciascuno. Pochissime la voci che si sono levate dal coro muto di quanti hanno finto che tutto questo fosse normale», scrive il collettivo dei Beni comuni. «Un pezzo di storia della città sembrava destinato all’oblio e al decadimento, senza possibilità di soccorso».
La Tognozzi Group intanto intanto è fallita, nessun intervento sull’edificio è stato fatto e l’occupazione del suolo pubblico di questi anni è ancora da pagare. A Pisa Emidio Petrilli, patron della società edile è conosciuto, anche a causa delle vicissitudini giudiziarie che lo riguardano. L’imprenditore aquilano è stato molto attivo a Firenze, ma negli anni si allarga e apre filiali a Cuba e in California. La stagione giudiziaria per lui si apre già negli anni 2000. E ora Petrilli è accusato di corruzione dalla Procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto, a ottobre 2013, direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Firenze Nunzio Garagozzo. Secondo i giudici Petrilli avrebbe pagato tangenti per vedersi annullate alcune imposte relative agli anni precedenti. Da qui il sequestro di beni per un valore di 7 milioni di euro da parte della Procura.
«È stato scavalcato il dovere di recuperare e tutelare i bene culturali presenti in città», dicono ancora quelli del Municipio del Beni comuni. I soldi sottratti negli anni ai cittadini, per difendere una logica utilitaristica e di profitto, sono un’ingiustizia che Pisa non può ignorare, insistono. «Lo diciamo a chiare lettere: questa volta sarà inutile ricorrere alla retorica delle ‘mani legate’, non ci crediamo».
«La riapertura di Palazzo Boyl serve a lanciare un nuovo allarme, per ricondurre l’attenzione su di un ‘caso’, ma anche su di un ‘metodo’, che noi riteniamo letali per la democrazia. La storia di Palazzo Boyl segni il passo per rilanciare le vertenze dell’ex Colorificio toscano e del Distretto 42. Dalla finestra che guarda su quest’ansa bellissima della città, insieme a tutte le cittadine e a tutti i cittadini, noi attenderemo risposte, e soprattutto non resteremo ad aspettare inermi».