Reporters Sans Frontières denuncia la condizione dei giornalisti in Messico. Uccisi, fatti sparire, minacciati. Molti hanno lasciato il paese. I volti, le storie
di Marina Zenobio
“Non è il momento di fare alla comunità internazionale promesse senza futuro, ma di azioni e risultati”. E’ la richiesta dell’ong internazionale Reporters sans frontières (Rsf) presentata al governo messicano.
Dopo il terribile massacro di 3 studenti e la scomparsa di altri 43 nello Stato messicano di Guerrero, lo scorso settembre, il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, aveva assicurato: “non ci fermeremo finché non sarà fatta giustizia”. Secondo Rsf, però, le autorità del paese non riusciranno a sconfiggere la violenza generalizzata se non riusciranno a proteggere “i cani a guardia della democrazia, cioè i giornalisti, il cui lavoro consiste nel mostrare il paese per come è e non per come si sogni che fosse”.
Preda di una sorta di schizofrenia al suo apice, il Messico sta conducendo una sua “diplomazia dei diritti umani” molto convincente a livello multilaterale, ma troppo passiva a livello territoriale per quanto riguarda, ad esempio, i crimini che hanno come protagonisti giornalisti e giornaliste. “Dove sono – si chiede la presidente di Rsf Spagna, Malén Aznarez Torralvo – le promesse del governo messicano riguardo la protezione e la lotta all’impurità?”
Qualunque sia lo scenario del conflitto armato, per la stampa il Messico risulta essere uno dei paesi più pericolosi del mondo, dove si assassina il maggior numero di giornalisti nell’esercizio del loro lavoro. Secondo dati della Procura generale della Repubblica del Messico, tra il gennaio del 2000 e il settembre del 2014, 102 tra giornalisti e giornaliste sono stati assassinati e 17 sono scomparsi, ed stata provata la connessione tra la loro attività professionale e il crimine di cui sono state vittime.
Il direttore della rivista Nueva Prensa, José Antonio Gamboa Uria, trovato ucciso nello stato messicano di Sinaloa il 23 ottobre scorso, è stato il settimo giornalista, o collaboratore di mezzi di comunicazione, ad essere assassinato dall’inizio dell’anno, in Messico. Omicidi, sequestri, aggressioni, minacce: le aggressioni si moltiplicano in clima di quasi totale impunità. La complicità del crimine organizzato con certe autorità politiche e amministrative locali ostacolano il buon governo e la giustizia su tutti i livelli del paese.
La maggior parte dei percorsi investigativi sono stati chiusi frettolosamente oppure sono stati frenati dalle lentezze burocratiche. Come nel caso della giornalista María Esther Aguilar Cansimbe, corrispondente del quotidiano Cambio nello stato di Michoacàn, scomparsa l’11 novembre del 2009.
Intimidazioni provengono anche dalle autorità federali e statali, denuncia Rsf. All’inizio del 2013, raccontano, a San Luis Potosì, alcuni giornalisti del quotidiano Pulso sono state vittime di una campagna di odio veicolata sui social dalle autorità governative, dopo la pubblicazione di articoli non graditi dal governo locale.
Per la Commissione nazionale dei diritti umani l’89% dei delitti contro giornalisti e giornaliste restano impuniti. Purtroppo né la Procura speciale di attenzione ai delitti contro la libertà di espressione, né il Meccanismo per la protezione dei giornalisti e degli attivisti dei diritti umani sono serviti a migliorare la situazione. Il Meccanismo non possiede l’efficacia, la flessibilità né la rapidità richiesti per rispondere alle necessità dei giornalisti che si trovano in pericolo. Riguardo alla Procura, dal 2006 il suo lavoro ha dato come risultato un una sentenza, nonostante l’allarmante numero di aggressioni compiute ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici dell’informazione. “Risultati inaccettabili” sentenzia Rsf.
Al dramma umano delle famiglie delle vittime si somma quello dell’impunità, che genera un clima di paura e autocensura molto pregiudizievole per l’attività giornalistica. Molti media hanno ufficialmente rinunciato a coprire temi come il narcotraffico per timore di violente rappresaglie.
Altri giornalisti sono stati obbligati a fuggire, in esilio, insieme alle loro famiglie, dopo aver ricevuto minacce di morte. Il giornalista e dissidente birmano Win Tin affermava con ragione che “la libertà di informazione è la libertà che permette di constare l’esistenza di tutte le altre libertà”. Una affermazione che si può applicare non solo alle dittature. Quando si zittisce un giornalista ciò che si assassina è il diritto di tutti e tutte ad avere una vita degna, a fare scelte individuali e collettive con consapevolezza. Non combattendo attivamente l’impunità, lo Stato permette agli autori dei crimini di continuare la sua opera alimentando così, direttamente o indirettamente, le violazioni dei diritti umani.
Lo scorso 5 novembre Reporters sans frontières ha per la prima volta consegnato il premio di “Giornalista dell’anno” ad una messicana: Sanjuana Martínez, giornalista freelance che lavora a favore dei bambini vittime di maltrattamenti e abusi sessuali. Nel ritirare il premio Sanjuana ha dichiarato che “l’impunità è la regola e la protezione a giornalisti e giornaliste è una chimera nell’attuale contesto messicano”.
“Non è momento di false promesse per indorare la pillola alla Comunità internazionale, è il momento di agire e di vedere risultati – scrive il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire aggiungendo – Perché il male non trionfi è necessario che esista una reale volontà polita dei poteri esecutivo, legislativo e giuridio, così come poter contare su risorse umane e finanziarie su scala federale e statale. Altrimenti – conclude Deloire – a forza di non dire nulla, riprendendo le parole di Martin Niemöller, alla fine non rimarrà nessuno a protestare. E sarà troppo tardi”
Le foto e le storie di alcuni dei giornalisti-giornaliste uccise
Gregorio Jimenez (Veracruz)
Dopo aver pubblicato diversi articoli sul traffico e sequestro di migranti su Notisur e Liberal del Sur, Gregorio è stato rapito il 5 febbraio del 2014. Dopo sei giorni il suo corpo è stato ritrovato in una fosse clandestina.
Alberto López Bello (Oaxaca)
Ucciso il 17 luglio 2013. Scriveva di criminalità organizzata per El Imparcial e la catena Radiorama. Prima di essere assassinato aveva scritto alcuni articoli sulla vendita di droga nella capitale dello stato di Oaxaca.
Daniel Alejandro Martínez Balzaldúa (Coahuila)
Il 24 aprile 2013 è stato ritrovato in una strada di Saltillo (Coahuila) il corpo mutilato di Daniel Alejandro, fotoreporter del quotidiano Vanguardia. Aveva 22 anni, lo aspettavano ad una assemblea pubblica ma non è mai arrivato. Aveva fotografato qualcosa di troppo. Un gruppo criminale ha rivendicato la sua uccisione lasciando un messaggio accanto al suo corpo.
Regina Martínez Pérez (Veracruz)
Regina è stata assassinata il 28 aprile 2012. Corrispondente della rivista Proceso di Xalapa, su cui aveva pubblicato reportage sul crimine organizzato, sulla corruzione politica e interna alla polizia.
Irasema Becerra, Guillermo Luna Varela, Gabriel Huge Córdova y Esteban Rodríguez, (Veracruz)
Il 2 maggio del 2012, Irasema, impiegata al quotidiano El Dictamen, così come i fotoreporter freelance Guillermo, Gabriel e Esteban sono stati sequestrati da un gruppo armato a Boca del Rio. I loro corpi ritrovati il giorno dopo in un canale di acque reflue, smembrati e con evidenti segni di tortura. I tre fotoreporter si interessavano di cronaca giudiziaria. Sono stati indicati come responsabili della strade una cellula del Cartello di Jalisco, Nueva Generacion.
María Elízabeth Macías Castro (Tamaulipas)
Il suo corpo è stato trovato nel settembre del 2011, decapitata e abbandonata sulla strada che va a Nuevo Laredo. Accanto una lettera un biglietto “sono qui a cauda dei miei reportage”. Oltre ad appartenere al Movimento laico rimbambiniscano e a sostenere la Casa del Migrante di Nuove Varedo, Maria Elisabetta condivideva informazioni sull’insicurezza a Tagliapasta attraverso l’account Twitter Nuove Varedo ne Vivo, con lo pseudonimo di “Presegnalando”. Si ritiene sia stato il primo caso mondiale di persona assassinata per diffondere informazioni di interesse pubblico tramite socia network.
Umberto Millenni Salazar (Isoalina)
Conduceva un programma su Radio Formula ed era colonnista per il portale informativo A Discussioni. Ha denunciato casi di corruzione politica e delinquenza organizzata fino al 24 agosto 2011, quando è stato sequestrato da uomini armati a bordo di una camionetta. Il suo corpo è stato ritrovato il giorno dopo a Culinari, Isoalina, ucciso con un colpo di pistola alla nuca.
Yolanda Orda (Veracruz)
Yolanda era considerata una reporter “veterana” nel campo della giudiziaria, e quanto fu sequestrata, il 27 luglio del 2011, lavorava per il quotidiano Veritiero. Yolanda fu rapita all’uscita di casa e due giorno dopo il suo corpo, decapitato, è stato ritrovato nelle vicinanze del quotidiano Imagen de Veracruz, con un messaggio “Anche gli amici possono tradire”.
Luis Emmanuel Ruiz Carrillo (Nuevo León)
Giovanissimo fotoreporter di 21 anni, lavorava per il quotidinao La Prensa quando fu sequestrato il 24 marzo 2011, insieme a José Luis Cerda, presentore di Televisa-Monterrey conosciuto come La Gata. Entrambi sono stati trovati morti assassinati. Il corpo del presentatore di Televisa è stato poi trafugato da un gruppo armato grazie ad azioni omissiva della polizia.
Luis Carlos Santiago Orozco, Chihuahua
Il 16 settembre del 2010 Luis Carlos, fotoreporter del periodico El Diario fu attaccato da un gruppo armato insieme ad un giovane di 18 anni che si chiamava Carlos Sanchez Colunga. Erano dentro un auto appartenente all’attivista per i diritti umani Gustavo de la Rosa. Il giorno dopo El Diario pubblicò un editoriale per annunciare ai gruppi criminali di Chihuahua che rinunciava a pubblicare alcuni articoli per garantire la vita ai suoi dipendenti.