A Padova se un immigrato desidera tornare nel suo Paese può richiedere che gli venga pagato il biglietto. A patto che non ritorni più.
di Edoardo Bettella
Ci sono i sindaci che nel proprio Comune creano fondi per il sostegno delle imprese. Chi per il sostegno delle famiglie in difficoltà, chi per contrastare la crisi. E poi c’è Massimo Bitonci, leghista, primo cittadino di Padova. Lui ha creato il “Fondo per il sostegno al rimpatrio”, per far ritornare al Paese d’origine gli immigrati clandestini che lo desiderano. Ma solo dopo una dichiarazione morale di intenti a non ritornare più. E così, un po’ alla volta, mette in pratica lo slogan della sua campagna elettorale: «Via da qui!».
«Non saranno i contribuenti a pagare, ma chiunque, esclusivamente a titolo personale, vorrà contribuire al rientro degli immigrati comunitari che vivono a Padova», ha spiegato Bitonci in riferimento al fondo istituito.
Tutto è cominciato i primi giorni di dicembre. In seguito all’ennesimo sgombero eseguito dalle forze dell’ordine, due cittadini romeni hanno espresso la volontà di ritornare in patria. Dormivano all’ex foro boario di Padova, in condizioni disumane. Bitonci, che sostiene il rimpatrio come unica forma di integrazione, non si è fatto sfuggire l’occasione di mano. «Sono disposto a sostenere personalmente, senza utilizzare soldi pubblici, il costo del loro viaggio di ritorno», ha dichiarato. E da qui è partita l’idea del fondo.
«Questa iniziativa non sarà isolata. Inaugurerò, con un mio versamento, un fondo, a contribuzione privata e volontaria, quindi senza esborsi per la comunità padovana, dedicato a sostenere il rientro nel Paese di provenienza di tutti gli stranieri comunitari, occupanti abusivi di aree o immobili pubblici e privati che, dopo averli sgomberati e ripuliti, li rimettano a disposizione dei legittimi proprietari. Un versamento verrà effettuato anche dagli assessori».
Il conto sarà aperto presso la Cassa di risparmio del Veneto, banca che fa da tesoreria comunale e nella quale è possibile avviare conti correnti di raccolta fondi a scopi umanitari senza oneri a carico dell’amministrazione.
«Non si può impedire a uno straniero comunitario di recarsi nel nostro Paese», ha detto, quasi amareggiato, Massimo Bitonci. Ma lo si può rimandare da dove è venuto, e fare in modo che non torni. Infatti, la clausola per poter esercitare questo “diritto” è quella di non ritornare. «Il fondo non elargirà denaro direttamente agli interessati, ma alimenterà l’acquisto di biglietti nominali, per tratte specifiche e di sola andata, in favore di chi avrà ripulito e liberato le aree occupate e avrà sottoscritto un impegno morale a non ritornare più».
Questo è solo l’ultimo atto delle politiche che la giunta patavina presieduta dal sindaco leghista ha intrapreso nei confronti degli immigrati.
Atto primo: in un videomessaggio pubblicato lo scorso ottobre sul suo profilo Facebook, Bitonci dichiarava il varo dell’ordinanza anti-ebola. «Chi viene nei nostri territori dall’Africa, dovrà avere un certificato medico. Altrimenti, verrà segnalato alla Prefettura. Dobbiamo difendere la nostra gente».
Il videomessaggio, pubblicato sulla sua pagina Facebook, in cui Massimo Bitonci illustra il varo della cosiddetta “ordinanza anti-ebola”.
Atto secondo: in seguito al videomessaggio, l’ex ministra per le politiche dell’integrazione Cécile Kyenge era giunta a Padova in compagnia del giornalista di “Matrix” Davide Parenzo, per esporre le sue perplessità al sindaco. Incontro rifiutato con un post su Facebook: «Se l’ex ministro Kyenge vuole parlarmi, invece di presentarsi di soppiatto a palazzo Moroni, quando sono impegnato altrove, con un codazzo composto da teleoperatori e showman, faccia come tutti gli altri cittadini: prenda la residenza nel Quartiere II, venga al PalaSpiller e aspetti il suo turno».
Atto terzo: arriva a Padova Ahmed El Khdar, console del Marocco, dopo aver invitato Bitonci a un incontro per discutere sulle modalità di celebrazione del Ramadan in città. Prima, la dichiarazione sul sindaco sui social network con tanto di hashtag #centriislamiciacasavostra e il post «Nessuna palestra pubblica per il Ramadan». Poi, il rifiuto di incontrare il console marocchino, espresso sempre attraverso Facebook: «Con il Marocco non c’è reciprocità. Quando nel mondo islamico i cristiani saranno rispettati e non perseguitati, allora ci parleremo».
Adesso, sotto Natale, è tempo di regali. Un bel biglietto di sola andata per chi se ne vuole tornare a casa. A patto ovviamente, che lì ci rimanga e che non torni più. A costo di metterci i soldi di tasca propria.