Parla il legale della famiglia di Giuseppe Uva: il padre di Biggioggero ha confermato quello che denuncia suo figlio ma la stampa locale scrive solo quello che dicono i legali di agenti e carabinieri
di Checchino Antonini
“Processo Uva, il superteste Biggiogero smentito dal padre… Il genitore ha dato una versione di quella sera completamente diversa da quella del figlio”. Varese è alla periferia dell’impero così, nell’indifferenza della stampa nazionale, il processo per l’omicidio di Giuseppe Uva contro una serie di carabinieri e poliziotti viene seguito quasi esclusivamente dalla stampa locale oltre che dagli osservatori di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa.
Il titolo che riportiamo in testa all’articolo fa tremare i polsi a chi guarda ai casi di “malapolizia” con gli occhi di chi è più indifeso. Con gli occhi di Lucia Uva e di tutte le vittime di abusi commessi da cittadini che indossano una divisa. Com’è realmente andata l’udienza di venerdì scorso quando, uno dopo l’altro, hanno testimoniato Alberto Biggioggero e Ferruccio, suo padre. Alberto era con Giuseppe Uva quando, una notte di giugno del 2008, i carabinieri li sorpresero a spostare delle transenne per un gesto goliardico. Ferruccio lo andò a prelevare nella caserma dove fu portato assieme all’amico.
Davvero il padre smentisce Biggio, chiede il cronista a Fabio Ambrosetti, legale di parte civile per conto di Lucia Uva, la sorella di Giuseppe? «In realtà la testimonianza di Ferruccio è importantissima e molto utile – spiega Ambrosetti a Popoff – il padre di Alberto ha confermato che suo figlio, quella notte, gli ha raccontato la stessa storia che per sei anni nessuno gli ha concesso di riferire. A partire dal fatto che i carabinieri avevano riconosciuto Giuseppe e lo chiamarono per nome. E che le botte iniziarono quando Giuseppe Uva fu sbattuto in terra prima ancora di essere caricato nell’auto. E poi le urla che Biggioggero sentì in caserma».
Dunque si conferma la tendenza di certa stampa di pendere dalle labbra delle proprie fonti, una costante in casi che vedono polizia e carabinieri sul banco degli imputati?
«In questo processo, da parte dei cronisti, si cerca solo l’opinione dell’avvocato della difesa. Il padre di Alberto ha spiegato in tribunale che suo figlio, uscendo dalla caserma, gridava: “Avete finito di massacrare il mio amico Giuseppe?”. Questo è particolarmente importante perché smonta la tesi secondo cui Biggioggero avrebbe subìto pressioni da parte di Lucia».
Ma allora dove stanno queste smentite? «Ci sono un paio di contraddizioni di dettaglio – prosegue l’avvocato – Alberto dice di aver cenato a casa sua, di aver cucinato lui stesso mentre Pino si faceva la doccia; suo padre ricorda di aver cenato a casa propria. L’altra incongruenza sta nel fatto che Alberto sostiene di aver chiamato il padre dicendo che stavano massacrando Pino e Ferruccio ricorda di averlo appreso solo andando a riprendersi il figlio. Parlare del superteste smentito dal padre è malafede».
Aggiunge ancora il legale varesino che la cosa drammatica è che il pm ha ventilato in Aula l’ipotesi di voler procedere per calunnia contro Alberto, il sospetto è che la procura sia ancora sulle posizioni per cui per anni nessuno ha creduto all’ipotesi di un omicidio maturato nelle fasi dell’arresto e della permanenza in caserma di Uva. «Mancano altri cinquanta testi e già si insinua che il primo teste non sia attendibile, sembra che sia già tutto scritto». Come ai tempi di Abate (il pm che per cinque anni s’è ostinato a perseguire i medici, a non ascoltare Biggioggero e a lasciare in pace polizia e carabinieri, ndr)? «Non proprio come Abate ma il pm ha già bollato Alberto in aula come teste inattendibile, ha ipotizzato pressioni su di lui da parte di Lucia Uva, s’è sbilanciato parecchio e non s’è mai visto, inoltre, un pm che si oppone alle domande della parte civile».
Dal 23 gennaio si ricomincia l’ascolto dei testimoni, «ma nel fascicolo ci sono tanti altri elementi a conferma dell’accusa. Ad esempio: la psichiatra che ha visitato Uva, interrogata da Abate, ha riferito che Giuseppe le disse di essere stato picchiato e che i carabinieri l’avevano chiamato per nome. Le stesse frasi fornite da Biggioggero che, da quel momento, non avrebbe più rivisto l’amico».
Ma allora si riaffaccia la tesi della malasanità, di un Uva curato male? «Quello non è possibile – conclude con amarezza Ambrosetti – i medici, ormai, sono stati assolti con un sentenze passate in giudicato. L’unica alternativa all’accusa è che Uva sia morto di freddo, come Gesù Cristo».