Non è stato Carminati a traviare il Pd. Sgomberi a tappeto, logica dell’emergenza, intreccio con le coop che poi finanziavano le campane elettorali. Tutto cominciò con Veltroni
di Federico Bonadonna
L’aberrazione delle politiche sociali in favore delle persone in condizione di marginalità ha avuto origine nel sistema di sgomberi a tappeto inaugurato dal modello Roma di Veltroni all’inizio del millennio. A meno che se non si voglia credere alla narrazione del PD che furono Carminati, i Nar, la Banda della Magliana, insomma l’incarnazione del male, a traviare quel pezzo di sinistra oggi coinvolto nell’inchiesta Mondo di Mezzo. Perché qui di nero c’è soprattutto la marea di soldi distribuiti a politici, dirigenti e funzionari pubblici sottratti ai servizi per senza tetto, rifugiati, Rom. Per questo un repulisti di facciata senza intervenire sul modello rischia di produrre l’effetto opposto: alimentare la cosiddetta antipolitica, che in realtà è la misura della distanza tra politica e società, cioè il fallimento stesso della politica.
Dunque il Modello Roma. Esso si basava sul principio di una Capitale senza conflitti sociali. Una “pax veltroniana” come quella di Augusto. Perché al tempo Veltroni era il dominus della politica romana. Infatti impose una linea di accoglienza a tutti e a tutti i costi. L’altra faccia dell’accoglienza prevedeva sgomberi forzosi a raffica di campi spontanei, occupazioni e baraccopoli. Non si sa di quanti sgomberi si tratti. Un manifesto del centro sinistra per le elezioni comunali 2006 recitava: “Alemanno fa demagogia, mentre la giunta Veltroni ha trasferito 4.000 persone in cinque anni”. Secondo l’associazione 21 Luglio uno sgombero costa 1000 euro a persona. E ad ogni sgombero il Campidoglio apriva una nuova struttura per accogliere parte degli sfollati mentre gli altri si arrangiano in una nuova occupazione abusiva. Lungi dal risolvere il problema socio-abitativo, gli sgomberi lo espandono per la città.
Il sistema degli sgomberi a tappeto segue la logica dell’emergenza sociale e inizia appunto con Veltroni, con il suo braccio operativo Luca Odevaine e con alcune cooperative coinvolte nell’inchiesta tra cui quelle di Buzzi. L’emergenza sociale è un’invenzione che non c’entra nulla con il welfare perché segue una logica da protezione civile. Grazie a questa trovata sono stati aperti i mega centri per la “segregazione amichevole” di Rom e migranti, sottraendo risorse preziose a politiche sociali e abitative degne di questo nome. Parasfrasando Petroselli il quale diceva che Roma non è sporca, ma è sporcata, si può dire che le risorse non mancano, sono mal spese. Per di più i centri per migranti e i campi Rom dove bruciano copertoni che sprigionano diossina senza che le autorità intervengano, sono stati allestiti nelle periferie già al collasso dove possono diventare un facile capro espiatorio.
Nella stagione degli sgomberi forsennati del Modello Roma spicca, tra gli infiniti altri, quello dell’estate 2004, il cosiddetto Hotel Africa, un plesso abbandonato dalle FS e occupato da seicento persone. Per accoglierne duecento, il comune trasformò l’ex vetreria di via Cupa in un centro di accoglienza, il Baobab, gestito dal consorzio Eriches di Buzzi. Moltissimi politici, romani e non, frequentavano sia il Baobab sia il Buzzi, anche se non si chiedevano come facesse quest’ultimo ad incrementare vertiginosamente i suoi introiti che poi andavano a finanziare le campagne elettorali di molti di loro.
A Natale 2004 toccò al complesso industriale abbandonato Snia sulla Prenestina (occupato da una parte degli sfollati di Casilino 700 nel 1998), dove vivevano circa mille persone. Duecento nuclei con centinaia di bambini furono trasferiti nel primo “villaggio della solidarietà” allestito per l’occasione, il Roman River,sulla via Tiberina, per una spesa iniziale superiore al milione di euro l’anno.
Proprio in quel periodo Veltroni promosse il convegno “Roma 2015” per ipotizzare gli scenari futuri della città. Agli atti resta un unico intervento critico che sottolinea il pericolo della politica degli sgomberi senza un progetto integrato.
Sei mesi dopo fu la volta di vicolo Savini, il campo di rom bosniaci e montenegrini da oltre trent’anni in un’area di Roma 3 in XI° municipio. I vertici capitolini identificarono in emergenza una zona vincolata a verde pubblico al chilometro 22 della via Pontina, nell’area naturale protetta di Decima-Malafede. Con un’autorizzazione provvisoria dell’allora presidente Marrazzo, nell’agosto 2005 nacque il villaggio di Castel Romano. «“Se vai in quella pozzanghera, vomiti per tre giorni”. Kemo Hamidovic, 17 anni, racconta con un sorriso il miracolo dell’addio al campo nomadi di vicolo Savini» (La Repubblica, 15 settembre 2005).Il miracolo è di Veltroni, perché quelli erano i termini per descrivere l’ideatore del modello Roma. «L’addio alla favela sarà il punto di partenza per provare a vivere all’italiana (sic!), godendone i benefici e rispettandone le regole. “È una delle cose più importanti che abbiamo fatto in questi quattro anni – commenta Veltroni – […] Grazie a dialogo e partecipazione stiamo spostando 850 persone senza tensioni. Per noi è un modello nel merito e nel metodo”».
“Vivere all’italiana”: chiunque facesse allusioni simili rispetto ai rom sarebbe tacciato di razzismo. E il miracolo del modello Roma sta nel farci credere che esista una via italiana alla legalità.
Così duecento famiglie Rom furono ospitate in una tendopoli della Protezione Civile. Nel frattempo il comune acquistò i prefabbricati, anche se il campo avrebbe dovuto essere di transito perché quella era un’area vincolata. E invece adesso è ancora più esteso perché, come diceva Andreotti, in Italia il provvisorio è permanente. E poi perché la cooperativa ora al centro dell’indagine, acquistò quei terreni per affittarli al comune di Roma, sicuramente per profitto, ma anche perché altrimenti il Campidoglio avrebbe dovuto fare un altro sgombero.
L’altra faccia del Modello Roma
Nell’estate 2007 il Modello Roma mostrava il lato feroce della sua facciata buonista mentre in Italia montava la protesta contro gli stranieri fomentata dalla destra e da parte del centrosinistra. Dopo aver svolto una funzione attrattiva per molti migranti che a Roma trovavano almeno un rifugio tollerante, Veltroni invertì la rotta siglando un protocollo con la Romania che prevedeva rimpatri assistiti (e forzati) e la collaborazione con la polizia rumena per il controllo dei campi zingari della Capitale.
Alla fine del 2007 l’omicidio di una donna da parte di un rumeno fu il casus belli – forse atteso per via del sondaggio Ipsos che dava il sindaco in caduta libera – per scatenare la crisi politica. Veltroni chiese e ottenne dal governo Prodi «iniziative straordinarie e d’urgenza sulpiano legislativo in materia di sicurezza», ricordandoche Roma era la città più sicura del mondo «prima dell’ingresso dellaRomania nell’Ue». Il presidente della Repubblica, Prodi e i ministri della sinistra radicale erano d’accordo sulcontenuto del decreto legge.«I prefetti devono poter espellere i cittadini comunitari che hanno commesso reati contro cose e persone […] L’Italia deve porre la questione riguardo ai flussi migratori dalla Romania in sede europea. L’Europa deve chiamare in causa le autorità romene […] In Europa bisogna starci a certe regole: non si può aprire i boccaporti e mandare migliaia di persone da un Paese all’altro», disse Veltroni. Che poi precisò di non fare generalizzazioni verso un singolo Paese, ricordando tuttavia che «il 75% di arresti effettuati hanno riguardato i romeni» (La Repubblica del 31 ottobre 2007).
Marco Pannella commentò: «Il dolce Veltroni ha ispirato una cosa da non credere, un romeno ammazza una persona e il nostro governo si rivolge all’Unione Europea e al governo romeno come se questo fosse il rappresentante dell’aggressore».
Fino al momento dell’omicidio – per altro in linea con la tendenza delittuosa molto bassa della Capitale – Veltroni aveva sostenuto un atteggiamento di eccessiva tolleranza verso le situazioni di degrado sociale (come detto oltre a essere esosi, gli sgomberi a tappeto sono dannosi perché diffondono i problemi senza risolverli). Tanto che il delitto avvenne in un contesto degradato, spiegabile solo con una gestione del territorio patologica, all’uscita della stazione di Tor di Quinto, in una strada dissestata e mal illuminata seppure molto frequentata, nei cui pressi c’era una baraccopoli. Eppure la gestione del territorio è un elemento essenziale per le politiche sociali. Agli amministratori si chiede di investire il denaro pubblico per curare la città, non per alimentare la paura come invece fece il leder del neonato PD che, promuovendo il decreto-sicurezza si candidò alle elezioni anticipate, spostando l’attenzione dal piano del progetto della città a quello dell’emergenza. Anche se pochi ricordano, come nella scena finale del Caimano di Moretti ma al contrario, in quei giorni Roma fu insanguinata da atti criminali di italiani contro rumeni.
Poco dopo cadde il secondo governo Prodi anche per le polemiche sulla sicurezza alimentate dalla destra e da chi a sinistra voleva le urne. Il centrosinistra perse il governo nazionale e quello romano dopo quindici anni. Così fu la volta di Alemanno. Era il 2008, la spesa per i Rom sfiorava già i 12 milioni di euro. Sette anni dopo è raddoppiata, come emerge dall’indagine Mondo di Mezzo.
Contrariamente a quello che dice oggi il PD, i fatti emersi dall’indagine riguardanti la gestione aberrante di campi e centri era conosciuta. Alcune cooperative sociali, anche aderenti alla stessa Lega Coop,Padre Lamanna del Centro Astalli, il direttore del Cir e tantissimi altri, denunciarono pubblicamente gli affidamenti milionari spesso senza gara sempre agli stessi soggetti.
Marino o chi gli succederà dovrà rimediare al profondo danno originato dal Modello Roma alle politiche sociali e poi aggravato dalla gestione Alemanno. Perché l’indagine in corso rischia di far apparire esorbitanti i costi per l’accoglienza di senza tetto, rifugiati e immigrati. Il problema non sono i costi in sé, ma la qualità del progetto e dei servizi erogati la cui valutazione è assai complessa e richiede il lavoro qualificato di professionisti del welfare, assistenti sociali, educatori, psicologi e non di esperti improvvisati. I soldi utilizzati per l’arricchimento personale e per il finanziamento a politici e amministratori corrotti dovevano essere investiti per la gestione di servizi di qualità e per pagare gli stipendi ai lavoratori del settore. Non è un caso che nei centri di accoglienza spolpati dalla corruzione, spesso lavorino persone con semplici mansioni di guardiania. Perché il problema non sono i servizi, ma i criminali che sottraggono beni della collettività. Anche per questo motivo il PD non può nascondersi dietro Marino che ieri voleva esautorare, né giocare alle mele marce o al Gattopardo.