Dal Comando generale le linee guida in caso di arresto di persone in stato di agitazione. Ignorate dai carabinieri che arrestarono Magherini. Udienza preliminare aggiornata al 3 febbraio
di Checchino Antonini
Oggi al Nuovo Palazzo di Giustizia di Firenze, l’udienza preliminare per l’omicidio di Riccardo Magherini. Undici gli indagati. Si tratta dei quattro carabinieri che effettuarono l’arresto, di cinque operatori del 118 intervenuti sul posto con ambulanza e automedica e di due centralinisti del 118 che avevano ricevuto la richiesta di intervento (tutti accusati, per ora, di omicidio colposo). L’udienza è stata aggiornata al 3 febbraio dopo la costituzione in
Il documento
“Qualora invece l’uso della forza risulti indifferibile, l’immobilizzazione deve avvenire se possibile in relazione alla situazione contingente, in collaborazione con gli operatori sanitari e con modalità che scongiurino i rischi derivanti da prolungate colluttazioni o da immobilizzazioni protratte, specie se a terra in posizione prona. Pertanto, gli operanti – in numero adeguato – devono posizionarsi ai fianchi del soggetto, trattenendolo possibilmente in piedi (per gli arti e per le mani) così da evitare impedimenti nelle funzioni vitali e lesioni collaterali. La forza deve essere sufficiente a vincere la resistenza e per il solo tempo necessario all’applicazione di strumenti di ritenzione e/o all’eventuale medicazione sedativa”.
Invece no. Chi intervenne a fermare Riccardo Magherini, la notte del 3 marzo scorso, sembra non avere la minima cognizione delle linee guida emanate il 30 gennaio dal comando generale dell’Arma dei Carabinieri. Si tratta degli “Interventi operativi nei confronti di soggetti in stato di agitazione psicofisica conseguente a patologie o causato dall’abuso di alcool e/o sostanze stupefacenti”. Quattro paginette comprensibilissime spedite ai comandanti di stazione per raccomandare una serie di accorgimenti semplici ma che, evidentemente, troppo spesso vengono ignorati da chi interviente in situazioni drammatiche come quella, finita in tragedia, in cui ha perso la vita Riccardo Magherini. “Dovranno essere illustrate a tutto il personale dipendente, in sede di rapporti settimanali e incontri periodici”. Il pm Bocciolini ha chiesto con quali mezzi e tempi siano state diffuse agli appartenenti alla Benemerita.
La morte di Riccardo Magherini si deve a «un meccanismo complesso di tipo tossico, disfunzionale cardiaco e asfittico», dirà l’autopsia. I familiari del ragazzo ucciso ancora aspettano che qualcuno dei 72 testi a favore dei carabinieri (tante sarebbero le voci prodotte nelle indagini a caldo) confermi pubblicamente che quell’intervento avvenne nei limiti previsti. Finora sono emerse solo testimonianze di persone restate senza fiato per la violenza prodotta ai danni di una persona che stava male e chiedeva aiuto. E questo documento ufficiale dell’Arma che recita, fra l’altro, che “l’incertezza delle reazioni del soggetto e la possibilità di impreviste complicazioni del suo stato di salute costituiscono fattori di occorre tenere conto al fine di ridurre al minimo i rischi per l’incolumità fisica delle persone a vario titolo coinvolti”. Il militare che riceve una segnalazione riguardante un soggetto in stato di agitazione psicofisica dovrebbe acquisire ogni possibile informazione su di lui e informare con immediatezza il proprio superiore e la centrale operativa affinché si possa disporre correttamente l’intervento. Vengono evidenziate anche delle “Procedure di attenuazione dell’alterazione emotiva” prevedendo perfino un un militare negoziatore in collegamento telefonico per facilitare il processo di normalizzazione del soggetto. Tutte cose che non dovrebbero essere eseguite schiacciando a terra il malcapitato. Anzi, si legge nelle linee guida che va evitata l’invasione dello spazio del soggetto in stato di agitazione psicofisica, che si deve stabilire un dialogo e c’è perfino il disegnino di come bisognerebbe operare.
Ma per il difensore dei carabinieri la causa principale di morte è l’uso dello stupefacente, e «una parte residuale marginale di causazione dovuta a difficoltà respiratoria, che può essa stessa derivare dall’uso dello stupefacente». E le fratture e altri segni sarebbero «collegabili all’attività di rianimazione, penso che debba essere riconsiderato e rivalutato il tanto contestato intervento dei carabinieri, che è avvenuto secondo protocollo». Un film già visto, per alcuni, a Ferrara e in altri casi di malapolizia.
Così la scheda compilata da Acad, l’Associazione contro gli abusi in divisa, che stamani sarà sotto il tribunale per testimoniare la solidarietà con i familiari: Era un giovane uomo di quarant’anni che amava la vita e amava sorridere. Marito di Rozangela e padre di Brando, un bambino di due anni. Piccolo imprenditore fiorentino, ed ex giocatore della Fiorentina, abitava nel popolare quartiere di San Frediano a Firenze. Quella notte, nel tragitto verso casa succede qualcosa che lo spaventa, scende dal taxi visibilmente agitato e lascia sull’auto tutti suoi effetti personali: è in preda ad un attacco di panico. Arriva nel suo quartiere – Borgo San Frediano – cercando e gridando AIUTO. Molte persone chiamano allora i carabinieri per segnalare quella che non è altro che la semplice ed accorata richiesta di soccorso di una persona in difficoltà. Una volta giunti sul posto, i carabinieri immobilizzano Riccardo e lo ammanettano tenendolo a terra in posizione prona. Il tutto avviene per strada, davanti a molti testimoni che raccontano di calci sferrati a Riccardo mentre era immobilizzato a terra. Alcune persone si affacciano alla finestra e assistono alla scena filmando il tutto. Si sente Riccardo che grida “aiuto”, “mi sparano”, “aiuto aiuto sto morendo” qualcuno grida “no i calci no!”. In seguito, nella ricostruzione dei concitati momenti dell’intervento, le lacune non tardano ad evidenziarsi: all’1,21 uno dei militari chiama la centrale operativa spiegando che sono intervenuti su una persona “completamente di fuori, a petto nudo, che urla”. All’1,24, il 118 invia una ambulanza. Parte un mezzo dalla vicina sede della Croce Rossa, con tre volontari a bordo. All’1,31 , la centrale operativa dei carabinieri chiama di nuovo il 118 perché si sente la sirena ma l’ambulanza non è ancora arrivata e l’arrestato “fa ancora come un matto”. All’1,32, il 118 contatta la sede della Croce Rossa e un minuto più tardi, uno dei volontari chiama il 118, annuncia di essere sul posto e spiega che l’uomo “ha reagito in maniera violenta, gli sono addosso in due per tenerlo fermo e vogliono il medico” e che il medico è necessario per sedare l’arrestato. Si saprà poi che all’arrivo di quella prima ambulanza, Riccardo che giace a terra, è oramai immobile e silenzioso. Condizione, la sua, di cui il volontario non fa cenno, anzi, omette di specificarla alla centrale del 118, che all’1,35 contatta l’automedica. La situazione, invece, si profila immediatamente difficile e viene trascurata fino al tragico epilogo, tanto che l’ operatrice scherza, non avendo il minimo sentore del dramma incombente: “Ci vogliono due uomini forti, c’è uno che ha tirato le manette a un carabiniere, freddo non gli prende perché c’ha due carabinieri sopra”.
Da questa frase, è evidente piuttosto, che almeno due carabinieri continuano a stare sul corpo di Riccardo anche dopo che quest’ultimo ha smesso di urlare e divincolarsi: Riccardo è già morto. E i necessari primi soccorsi di fatto vengono impediti. La famiglia, ha deciso di sporgere denuncia verso i 4 carabinieri per omicidio preterintenzionale e verso gli operatori del 118 per omicidio colposo. I testimoni infatti hanno affermato che per immobilizzare Riccardo i 4 agenti abbiano usato – come si legge nella denuncia sporta dal fratello e dal padre – “un uso della forza non previsto e contemplato nelle tecniche di immobilizzazione delle forze dell’ordine, fra cui: presa e stretta del collo con le mani; calci quantomeno ai fianchi-addome anche nel momento in cui era già steso prono a terra; prolungata pressione di più agenti sul suo corpo, compreso il tronco, in posizione prona sull’asfalto”. Inoltre, in attesa dell’ambulanza con il medico, durante l’intervento dei primi sanitari sul posto «non hanno provveduto nemmeno a rimuovere Riccardo da quella posizione (peraltro con l’addome scoperto appoggiato sull’asfalto freddo) né a liberarlo dalle manette, al fine di consentirgli quantomeno una migliore respirazione» i 4 agenti – non trovavano – le chiavi delle manette. E’ importante sottolineare, che nel verbale autoptico redatto dalla procura fiorentina, si esclude che la morte sia stata causata in forma esclusiva da overdose di cocaina come altresì sostenuto dai legali della difesa, dal momento che nel sangue è stato trovato un quantitativo di coca pari a 0,3 mg. L’autopsia indica che le concause della morte, sono la disfunzione cardiaca dovuta allo stato di agitazione e stress procurati dalla situazione che stava vivendo Riccardo in quel momento e all’ASFISSIA, che di certo non si è procurato da solo. Sul corpo di Riccardo sono stati inoltre rinvenuti, numerosi segni della violenza subita quella notte, dalla “frattura costale e dello sterno con aspetti di vitalità”, alle varie emorragie interne tra cui quella al fegato in corrispondenza dei calci subiti. Da subito parte un tentativo organizzato di insabbiamento e depistaggio su quanto accaduto. I 4 agenti coinvolti provvedono ad esporre denuncia contro Riccardo stesso, e a farsi refertare i presunti danni subiti in una presunta colluttazione, Riccardo viene denunciato per resistenza a pubblico ufficiale, violenze, furto di un telefonino ( lo aveva preso proprio per chiedere AIUTO).
Le persone presenti, che hanno riferito delle percosse e delle vicende che quella notte, hanno condotto alla morte di Riccardo, sono state intimidite e minacciate. Addirittura, si annuncia un processo per direttissima, in cui si omette di comunicare ai testimoni della morte dell’ ”imputato”. Infine, non tutto il materiale audio fornito dal 118 è stato prodotto dalla procura, tant’è che risulta mancante proprio un colloquio telefonico in cui si rileva come i soccorsi siano stati impediti dagli agenti presenti. E continua, in un seguito grottesco: non soddisfatti del verbale autoptico firmato da tutti i periti, il tossicologo nominato dalla procura Prof. Mari (anch’egli firmatario del verbale!), chiede di essere affiancato per una consulenza tossicologica dalla Prof.ssa Bertol (SUA MOGLIE!!), al fine di sottolineare e avvalorare la tesi della morte provocata dalla assunzione di sostanze stupefacenti. In definitiva, solo per l’azione decisa e ferma della famiglia Magherini, che da subito ha rivendicato il diritto ad una verità che sembrava negata dalle autorità, affiancata dall’avvocato Fabio Anselmo, e sostenuta dalla mobilitazione, cresciuta in città – e non solo – a seguito dell’emergere di elementi che raccontavano una storia totalmente diversa da quella “ufficiale”, hanno impedito che la morte di Riccardo finisse nel troppo lungo elenco di quelle dimenticate e negate.
Riccardo muore schiacciato sull’asfalto, “Aiuto, ho un figliolo, basta”. Muore quando il primo 118 arriva senza medico a bordo; muore perché la seconda ambulanza giunge dopo quindici minuti e la manovra di rianimazione è oramai inutile. Muore per la paura, per le percosse, perché non riesce a respirare; muore perché il cuore, in tali condizioni, lotta ma poi cede. Muore di ABUSO, muore di TORTURA, muore di forze dell’ordine che non lo proteggono da quel loro assurdo operato, disumano e senza motivo…muore ammanettato e muore di Stato.
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