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No, non sono tutti Charlie Hebdo

L’amore per la satira, da parte di chi è razzista o sta inasprendo le pene per i giornalisti, è fasullo come una banconota da sette euro. Impariamo a memoria i nomi e i mestieri dei morti di Parigi

di Checchino Antonini

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Ecco tutti i nomi delle persone assassinate nell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo.

Stephane Charbonnier, alias Charb, vignettista e direttore; Georges Wolinski, vignettista; Jean Cabut, alias Cabu, vignettista; Bernard Verlhac, alias Tignous, vignettista; Philippe Honorè, vignettista; Bernard Maris, economista ed editorialista; Elsa Cayat, psicologa e giornalista; Michel Renaud, ex consigliere del sindaco di Clermont Ferrand; Mustapha Ourrad, correttore di bozze; Frèderic Boisseau, addetto alla portineria; Franck Brinsolaro, poliziotto; Ahmed Merabet, poliziotto. Li ho riletti per tornare con i piedi per terra dopo ore e ore di retorica insopportabile, li ho scritti per ricordare che erano donne e uomini in carne e sangue, che non erano [solo] fumetti e fumettisti.

Faruq Tariq, marxista pakistano, con un articolo comparso su Europe Solidaire Sans Frontières, metteva in guardia poche settimane fa dai “nuovi fascismi con una potenziale base di massa”, “una delle prime conseguenze del grande potere destabilizzante della globalizzazione capitalista … Alcuni prendono forme relativamente classiche, con caratteristiche xenofobe e su base identitaria, come Alba Dorata in Grecia. Ma il fenomeno ora dominante è l’affermarsi di correnti fasciste a base religiosa e senza il tradizionale riferimento ai concetti di popolo/Stato, razza e nazione. Attualmente questi nuovi fascismi costituiscono una minaccia reale in stati come l’India, il Pakistan, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, lo Sri Lanka e vari altri paesi dell’Africa e dell’Asia”. E non solo lì, come l’orrore al numero 10 di rue Nicolas Appert, ci ha rivelato in queste ore.

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E’ giusto ricordare, con Alessio Spataro, vignettista e romanziere a fumetti, che «praticamente i paladini difensori della libertà di stampa da noi sono: un governo che inasprisce le pene per diffamazione; un razzista che attribuisce ai musulmani l’istinto criminale; una fascista collezionista di angioletti che come una pagana eretica ulula alla luna ogni solstizio d’inverno coi suoi amici nazisti e che ha come faro le radici cristiane dell’Europa (cioè stragi, roghi e torture); un pugno di burattini fascisti che obbediscono a un ex comico ricco ed evasore allergico alle critiche e che mette all’indice giornalisti, vignettisti e dissidenti interni e che per bocca del loro responsabile esteri ammettono la creazione di stati su base etnica tra la Siria e l’Iraq; un mafioso pedofilo che si circonda da leccaculo censori che quando possono licenziano giornalisti (e che per ora è il meno offensivo comunque). Fanno passare la voglia di disegnare (quasi)».

Spataro, solo una manciata di anni fa, fu al centro di una serie di interrogazioni parlamentari per le sue vignette su Benedetto XVI e la “ministronza” Meloni. A lanciare la fatwa, tra gli altri, Rosi Bindi e il direttore di Liberazione Dino Greco oltre ai soliti Kossiga e co.

Anche Gianfranco Manfredi, poliedrica figura di scrittore, sceneggiatore, cantautore, osserva in queste ore che «l’improvviso slancio universale a sostegno della libertà d’espressione stride violentemente con le dichiarazioni lette e sentite in altre circostanze a proposito dei fumetti che inciterebbero alla violenza (vedi l’infame caso del puttanaio giornalistico anti-fumetto scatenatosi dopo l’attentato di un matto alla prima di Batman). Stavolta , certo, siamo di fronte a qualcosa di diverso, cioè a un attentato organizzato non riducibile a un singolo e a un’azione militare compiuta all’interno di una logica di guerra. Ma i detrattori del fumetto qualche domanda seria dovrebbero porsela».

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Sul suo profilo facebook il bolognese Roberto Sassi ha aggiunto 3 foto di copertine del Male spiegando che: «Ah, la libertà di satira!
una storia educativa. Nel 1978, durante il sequestro Moro, la rivista satirica “il Male” (che aveva il grande Wolinski fra i collaboratori) pubblicò un poster con la foto -ampiamente diffusa da tutti i media nazionali- che ritraeva il sequestrato sotto uno striscione delle Brigate Rosse, con l’aggiunta di un fumetto, che riprendeva lo slogan pubblicitario di una famosa industria tessile: “scusate, abitualmente vesto Marzotto”.Quando lo vidi, mi sbellicai dalle risate e me lo attaccai in camera. Ghignavo ancor più grassamente quando sentivo il coro di unanime sdegno istituzionale per l’affronto al padre della patria.I redattori del Male iscritti al PCI (fra cui Vauro e Mannelli) e Pablo Echaurren (di LC) abbandonarono la redazione, indignati.Il direttore, Vincenzo Sparagna, venne arrestato e perquisite le abitazioni dei redattori: Scozzari, Pazienza, Tamburini e Mattioli.Oggi tutti difendono il sacro valore della libertà di satira, pilastro dello stato di diritto liberale, della civiltà occidentale eblablabla…Qualche se e qualche ma se lo tengono nel cassetto, che può sempre servire…

No, non siamo tutti Charlie. Anzi non sono tutti Charlie. I fascisti certamente no, anche quelli senza barbone e caffetano, e quelli col doppiopetto che mangiano con coltello e forchetta.

Giorgia Meloni twitta così:L’Europa che rinnega le proprie radici non sa opporsi ai suoi nemici. Ora basta buonismo e ipocrisie” 

«Considerato che nelle radici della Meloni non ci sono certo la Rivoluzione Francese o la Resistenza antifascista – ribatte il dirigente del Prc, Maurizio Acerbo – vien da chiedersi se le radici che invoca siano l’Inquisizione, il colonialismo, l’antisemitismo, le leggi razziali, le guerre mondiali, i campi di concentramento»

Eugenia Foddai, da Brescia, scrive che con le vittime di Parigi «muore il senso critico, l’immagine sinottica, la frase caustica che affrontavano il cinismo di un’epoca, la nostra, in cui i fondamentalismi di ogni dove impongono pensieri via via unici, nel senso che l’unico pensiero invadendo tutto, come lo straripamento di un fiume in piena, impedisce, censura, blocca, punisce, uccide lo sguardo irriverente, lo spirito autenticamente critico, il gusto del paradosso, del confronto, della libertà interiore, del respiro dell’intelligenza. Ma perché tutto questo? Ce lo spiega Ambrogio Donini nel libro “Breve storia delle religioni”:

“I membri di una società divisa in classi, proiettando nel campo dell’ideologia quelli che sono dei rapporti di struttura economica e sociale, non possono ammettere che vi sia altra libertà che la loro libertà, altra morale che la loro morale, altra giustizia che la loro giustizia, altra religione che la loro religione. Ogni dottrina religiosa si è sempre basata sul più rigoroso classismo e la posizione ufficiale delle stesse gerarchie cattoliche non vi fa affatto eccezione.
Es : “Rispondono pienamente ai disegni del Creatore sia la molteplicità delle classi, sia le differenze di questo nome” Lettera di Pio XII alla XXXI settimana sociale a Bari, 1958…
L’intolleranza religiosa, come tutte le tristi e sanguinose vicende che l’hanno caratterizzata sin dai tempi più antichi e che riaffiorano troppo spesso anche ai nostri giorni, è dunque frutto della struttura di classe e come tale va affrontata.”

L’orrore di ciò che accaduto a Parigi ci ricorda che i demoni del monoteismo ci perseguitano perché le società diversamente teistiche hanno tutte strutture classiste, dunque i germi dell’intolleranza risolta con la violenza delle armi possono riattecchire anche nella nostra società tanto quanto altrove. Sto leggendo il dossier “A Verona tutta l’erba è uno (s)fascio” sugli accadimenti veronesi dal 2001 al 2014 e trovo dei legami spaventosi fra Forza Nuova, Casa Pound e gli integralisti cattolici veronesi che propugnano il ritorno ad uno stato aristocratico, antiegualitario, anticomunista, razzista, integralista, gerarchizzato, ostile nei confronti di ogni debole e diverso, neofeudale … insomma pre rivoluzione francese!».

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