La vittoria della Kitarovic ha riportato l’Hdz alla Presidenza della Repubblica, dopo una campagna elettorale vuota di contenuti e infarcita di nazionalismo
di Carlo Perigli
Da ieri Il vento nazionalista è tornato ufficialmente a soffiare sulla Croazia, in seguito alla vittoria ottenuta alle elezioni presidenziali da Kolinda Grabar Kitarovic, candidata dell’Unione democratica croata (Hrvatska demokratska zajednica– Hdz), che al ballottaggio ha ottenuto il 50,74% dei voti. Finisce così la presidenza di Ivo Josipovic, candidato liberale della coalizione di centro-sinistra, rimasto al palo con il 49,26% delle preferenze.
L’Hdz riprende così la Presidenza della Repubblica, al termine di una campagna elettorale caratterizzata dalla mancanza di contenuti da entrambe le parti. Un contesto che ha indubbiamente favorito la Kitarovic, che ha così potuto attingere a piene mani dal repertorio nazionalista proprio del partito dell’Unione democratica, il partito fondato da Franjo Tudjman nel 1989 ed apertamente ispirato al regime fascio-ustascia instaurato da Ante Pavelic durante la seconda guerra mondiale. Un pizzico di retorica anti-serba, e un richiamo all’orgoglio croato, il tutto condito da vaghe promesse di ripresa economica e violà, il gioco è fatto
Una svolta a destra che, per quanto fosse ritenuta improbabile dagli analisti, era già nell’aria da qualche tempo. Dagli incidenti di Vukovar, con il crescente sostegno della popolazione nei confronti dell’estrema destra, intenta a togliere con la forza la segnaletica bilingue, all’episodio di cui si rese protagonista il capitano della Nazionale di calcio Josip Simunic, quando, al termine dell’incontro con l’Islanda, incitò il pubblico con il saluto ustascia “Za dom spremni” (per la patria pronti), l’opinione pubblica si è progressivamente mostrata sempre più sensibile ai temi cari al nazionalismo croato.
In un contesto simile, non poteva non fare breccia l’immagine di Kolinda Kitarovic, donna di prestigio che lascia un incarico presso un’organizzazione internazionale (la Nato, ma evidentemente sono dettagli) per salvare il proprio Paese sull’orlo della bancarotta, con un debito pubblico pari al 67,1% del Prodotto nazionale e una disoccupazione ormai stabilmente ancorata intorno al 20%. Poco importa se la stessa Kitarovic fosse esponente della classe politica autrice del disastro e che abbia ricoperto la carica di ministro degli Esteri del governo Sanader, condannato a nove anni per aver architettato uno schema tramite il quale fondi pubblici sono finiti nelle casse dell’Hdz, oltre che sul conto corrente dell’ex primo Ministro. Uno scandalo che coinvolse anche il tesoriere, il contabile e il portavoce del partito, condannato in sede civile a risarcire lo Stato con una cifra vicina ai 4 milioni di euro.
Roba vecchia, già caduta nel dimenticatoio e poco importa se per risolvere la crisi economica la Kitarovic sia riuscita solamente a dire che «la Croazia è in crisi perché c’è un atmosfera di pessimismo, sconforto e mancanza di immaginazione, abbiamo bisogno di unità, ottimismo e nuove idee». Slogan vuoti, simili, anche in maniera imbarazzante, alle dichiarazioni sui ‘gufi’ di casa nostra, che hanno rilanciato l’Hdz nella scena politica croata, in vista delle elezioni politiche di fine anno.