Nelle motivazioni della controversa sentenza che aveva assolto tutti si chiede di riaprire le indagini perché è innegabile che Cucchi fu pestato
di Checchino Antonini
La Procura della Repubblica di Roma dovrà riaprire le indagini sul caso Cucchi. E’ quello che avevano chiesto le parti civili, la famglia di Stefano e ora è scritto nelle motivazioni della controversa sentenza di II grado che i giudici della Corte di Assise d’Appello hanno appena depositato dopo che il 31 ottobre dello scorso anno hanno assolto tutti, guardie carcerarie, medici e personale paramedico del Pertini, dove Cucchi dove morì dopo una settimana di calvario tra guardine dei carabinieri, Regina Coeli, Fatebenefratelli e repartino penitenziario di quell’ospedale. Secondo i giudici non ci sono dubbi che qualcuno abbia infierito sul giovane arrestato nell’ottobre del 2009. Alla Procura ora è affidato il compito di approfondire la posizione di persone diverse dalle tre guardie carcerarie imputate e condannate in primo grado ma poi assolte in appello. E la nuova indagine dovrà necessariamente riguardare anche i carabinieri che ebbero in custodia Cucchi dopo che fu arrestato per droga al termine di una perquisizione nella sua abitazione. Rimettendo gli atti alla Procura della Repubblica la Corte dispone che venga valutata «la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse dagli agenti di polizia penitenziaria giudicati da questa Corte».
Nella motivazione di 67 pagine il presidente Mario Lucio D’Andria, il giudice a latere Agatella Giuffrida insieme con i componenti della giuria popolare sottolineano che «le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate ad un’azione di percosse e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento».
Sempre per quanto riguarda le lesioni provocate a Cucchi la Corte sottolinea che «non può essere definita un’astratta congiuntura l’ipotesi emersa in primo grado secondo la quale l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi nella fase successiva alla perquisizione domiciliare» e ciò perchè l’ipotesi si fonda su concrete circostanze testimoniali dalle quali emerge che «già prima di arrivare in Tribunale Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare ad un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte».
Altri passi della sentenza sono più insidiosi: l’attività di medici e infermieri su Stefano Cucchi “non è stata di apparente cura del paziente ma di concreta attenzione nei suoi riguardi», si legge ancora. E rispetto alla causa stessa del decesso – si sottolinea – che “non c’è alcuna certezza” e, conseguentemente, “non è possibile individuare le condotte corrette che gli imputati avrebbero dovuto adottare”.
Inoltre “le quattro diverse ipotesi avanzate al riguardo, da parte dei periti d’ufficio (morte per sindrome da inanizione), dai consulenti del pubblico ministero (morte per insufficienza cardio-circolatoria acuta per brachicardia), delle parti civili (morte per esiti di vescica neurologica) e degli imputati (morte cardiaca improvvisa), tutti esperti di chiara fama – si spiega – non hanno fornito una spiegazione esaustiva e convincente del decesso di Stefano Cucchi. Dalla mancanza di certezze, non può che derivare il dubbio sulla sussistenza di un nesso di causalità tra le condotte degli imputati e l’evento”.
« Ora le nuove indagini siano vere – auspica Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, da sempre attento sul caso Cucchi – e si vada avanti nella ricerca di verità e giustizia per la morte di Stefano. Noi continuiamo a stare dalla parte di Ilaria Cucchi e della sua famiglia. Per impedire che crimini del genere abbiano a ripetersi, in Italia bisogna introdurre il reato di tortura e i codici identificativi per le forze dell’ordine»