La lotta per la normalità di una donna per cui nulla sarebbe mai stato normale dopo l’omicidio di suo marito Giuseppe Pinelli.
di Francesco “baro” Barilli
Di Licia Pinelli mi hanno sempre colpito la dignità, la pacata fermezza, la capacità di sintesi. Tutte cose che ho ritrovato in “Dopo”, breve ma completo racconto della sua vita successiva alla tragica notte fra il 15 e il 16 dicembre 1969.
A qualcuno potrebbe venire il sospetto che la narrazione di Licia (che oggi ha 87 anni) sia mediata da un ghost writer. Chi ha il piacere di conoscerla personalmente quel dubbio non può averlo: altra caratteristica di Licia è una totale indipendenza intellettuale, e mai affiderebbe ricordi tanto intimi a un intermediario. Anche in “Una storia quasi soltanto mia” (Mondadori, 1982; ristampato e aggiornato da Feltrinelli nel 2009) la bravura di Piero Scaramucci stava nell’ascoltare e raccogliere, da giornalista abile e amico discreto quale è, la sua testimonianza, più immediata rispetto alla morte del marito. Ma pure in chi lo avesse davvero, quel dubbio sparirà non appena avrà letto “Dopo”: lo stile è proprio quello asciutto, ma non per questo meno toccante, della donna che ha dovuto aspettare quarant’anni perché lo Stato fornisse almeno un tardivo riconoscimento di “vittima innocente” a Pino Pinelli.
La storia di Giuseppe Pinelli è – almeno spero – nota a tutti quelli che mi stanno leggendo. Più volte ne ho parlato: per chi volesse approfondire segnalo solo questa mia vecchia intervista, proprio con Licia.
Giuseppe Pinelli era il ferroviere anarchico (ma a me piace ricordarlo anche come giovanissimo partigiano) che il 12 dicembre 1969 seguì spontaneamente, col proprio motorino, la polizia che lo aveva invitato in Questura. Da quell’ufficio uscirà la notte fra il 15 e il 16 dicembre, precipitando da una finestra del quarto piano. La sua memoria fu inizialmente infangata proprio dai vertici della Questura milanese, che lo dipinsero come pesantemente implicato nell’attentato di Piazza Fontana. La sua totale estraneità ai fatti fu chiara da subito… Ma non è su questo che si sofferma “Dopo”, né vuole soffermarsi questo articolo.
Il racconto di Licia parla di “una lotta per la normalità” come conseguenza di una vicenda che nulla ebbe di “normale”.
Due figlie, da crescere e proteggere da una tragedia che non è solo personale, ma intreccia i propri fili con una delle pagine più oscure della storia dell’Italia repubblicana, con un peso che avrebbe potuto schiantare chiunque. La vita deve andare avanti, innanzitutto per loro…
Poi ci sono gli incontri. Con il dottor Giulio Maccacaro, il primo a offrirle un impiego e con esso non solo un aiuto economico, ma soprattutto il ritorno a un clima di solidarietà umana. E poi quelli con Enzo Jannacci, Franca Rame, Camilla Cederna, il già citato Scaramucci e molti altri. Tutti accanto a lei, in diversa forma e misura, nella denuncia dell’ingiustizia subita, nella ricerca di verità e giustizia, nel mantenimento della memoria di Pino. Una lotta che da 45 anni Licia conduce in prima fila e che oggi vede come protagoniste anche le due figlie, Claudia e Silvia.
Nel suo pamphlet Licia riesce, con il suo stile sereno ed essenziale, a raccontare una storia che è insieme personale, familiare, politica. Arricchendola persino con sfaccettature gustose (come un certo misticismo, un lato della sua personalità che non conoscevo e mi ha sorpreso, oppure la sua partecipazione al coro del maestro Bordignon, a cui si unì come contralto).
Ma non perdete altro tempo nel leggermi: “Dopo” è disponibile in e-book (per informazioni cliccare qui): andate a scaricarlo…
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