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Lotta dura da paura

Un Marx talmente umano da essere protagonista di un romanzo horror

di Fabio Ciabatti

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Mostro sacro o mostro tout court: l’icona di Marx, sia per i suoi ammiratori sia per i suoi detrattori, ha da sempre offuscato la complessità umana del personaggio storico realmente vissuto. Probabilmente per questo sono pochissime le opere di fiction che lo hanno visto come protagonista. Una figura marmorea, un mezzobusto in posa mal si presta a vestire i panni dell’eroe di un romanzo o di un film. Luca Cangianti salta a piè pari questo stucchevole manierismo e, amalgamando abilmente storia e finzione, fa del rivoluzionario tedesco il protagonista a tutto tondo del suo romanzo “Sangue e plusvalore”, da poco pubblicato da Imprimatur. Guardiamo il nostro eroe con gli occhi del giovane Daniel Piper, coprotagonista della storia nel ruolo di segretario del filosofo: in pochi mesi Daniel “aveva conosciuto l’intellettuale ossessionato dalla sua opera, l’alcolizzato grossolano, depresso e sull’orlo del suicidio, il sognatore fallito, l’uomo d’azione dotato di coraggio e determinazione, l’irresponsabile colmo di debiti, e ora conosceva anche il padre premuroso. Gli sembrava davvero incredibile che tutte queste tipologie potessero convivere in una persona sola”.

imagesDaniel si presenta a casa di Marx nella speranza di capire qualcosa del suicidio del padre, sodale dello stesso Marx ai tempi degli eventi rivoluzionari del ‘48. Le sue prime impressioni sono tutt’altro che positive. Siamo nel 1858, l’anno in cui il filosofo sta scrivendo i “Grundrisse”, il primo grande abbozzo di quello che sarà il Capitale. E’ anche un anno assai poco scandagliato dalle biografie di Marx. E proprio negli spazi lasciati vuoti dalla storiografia ufficiale si svolge la narrazione. Siamo a Londra, città descritta con dovizia di vividi particolari: i protagonisti attraversano la metropoli ottocentesca in cui appaiono pub, fabbriche, case signorili e bassifondi, imbattendosi in una brulicante umanità composta da venditori di frutta, di spartiti e di ogni possibile carabattola, fioraie aggressive, uomini sandwich ubriachi, monelli scalzi e prostitute dal volto butterato che a ogni ora affollano le strade odoranti di fogna. Il racconto ci fa respirare a pieni polmoni l’atmosfera dell’epoca, salvo che l’autore si diverte ogni tanto a inserire alcuni piccoli anacronismi, come a segnalare che le vicende narrate non sono poi così lontane. Basti richiamare la scena in cui gli operai fronteggiano la polizia, disposti in due file in cui ciascuno impugna gli estremi del proprio bastone e di quelli afferrati dai propri compagni a destra e a sinistra. Certo questi bastoni non vengono chiamati “Stalin” (come d’uso negli anni 70), però manca solo la parola, anche perché i manifestanti accolgono gli sbirri al grido di “Via via la po-li-zia”. Degno di nota anche il sindacalista che cerca di dissuadere gli operai dallo scioperare perché, vista la crisi, sarebbe controproducente, proponendo di sostituire la lotta con l’iscrizione al sindacato cui delegare ogni iniziativa (anche se, in questo caso, può sorgere il dubbio che l’autore voglia evocare un’invariante storica delle organizzazioni che si istituzionalizzano perdendo la linfa vivificante del contatto con la base).

Ma non sono certo queste piccole licenze cronologiche ad allontanarci dal genere del romanzo storico. Marx è infatti coinvolto in una vera e propria trama horror. L’idea è sicuramente originale ma tutt’altro che assurda. È sufficiente una breve citazione dal “Capitale” per convincersene: “Il capitale è lavoro morto, che si ravviva, come un vampiro, soltanto succhiando lavoro vivo e più vive quanto più ne succhia”. Luca Cangianti prende sul serio l’utilizzo frequente che Marx fa delle metafore orrorifiche per descrivere l’osceno metabolismo del capitale, la sua sete incessante e crescente di sfruttamento del lavoro. La metafora si fa racconto, la similitudine si materializza, la figura retorica si incarna. Così tra travestimenti, fughe precipitose, sopralluoghi notturni, agguati, scioperi, colluttazioni e maldestre sparatorie Marx ci parla di plusvalore, sfruttamento, macchinismo, intelletto generale, modo di produzione ecc. Per lo più il suo giovane segretario si rivela poco interessato a quelle che considera astruserie teoriche e molto più curioso di sapere cosa mai sia questo benedetto comunismo, salvo scoprire con un certo fastidio la scarsa disposizione del filosofo tedesco a fornire ricette per l’osteria dell’avvenire. karl_marx_by_ludilozezanje-d5equmu

Ciò non toglie, vale la pena ribadirlo, che Marx non viene dipinto come il freddo teorico della rivoluzione. Piuttosto è come se venisse rappresentato, nella sua persona, l’inquieto avvicendarsi tra la corrente fredda e la corrente calda del marxismo di cui parla Bloch. Quello che emerge dalle pagine di “Sangue e plusvalore”, infatti, non è solo lo scienziato sociale dedito allo studio e all’analisi, ma anche un uomo fedele all’evento rivoluzionario del ’48, per utilizzare il linguaggio di Badiou. Un evento che sconvolge la sua vita così come quella di molti personaggi che si avvicendano nelle pagine romanzo, non ultimo il padre suicida di Daniel. Uno spartiacque esistenziale che segna, spesso tragicamente, l’impossibilità di tornare indietro, di ritrovare quiete nella vita di tutti i giorni. Un’esperienza totale che spinge chi l’ha vissuta a lottare caparbiamente per ritrovare la pienezza dell’evento rivoluzionario. Ci troviamo dunque di fronte a un Marx combattente (per riprendere il titolo del libro di Laval recentemente tradotto in italiano) che potrebbe benissimo appartenere alla generazione degli anni 70 del secolo scorso. Un combattente, però, che male si adatta al ruolo dell’eroe solitario che lotta contro il male, come vorrebbe il tipico copione del romanzo di genere. Negli snodi fondamentali del racconto, infatti, la narrazione si fa corale facendo emergere in primo piano un soggetto collettivo operaio fatto di uomini dagli “animi callosi” e dai “volti anneriti” che, sebbene “sporchi, brutti e ottusi” agli occhi di benpensanti, possono diventare “persone nuove capaci di ogni virtù” se temprati dagli eventi. Se il male è la personificazione del capitale, nessun individuo eccezionale potrà sconfiggerlo, neanche Marx. Non è stato forse lui a dire che l’emancipazione della classe operaia deve essere opera dei lavoratori stessi?

Il Marx di cui ci parla il romanzo, è già stato accennato, lo conosciamo soprattutto attraverso il punto di vista di Daniel che, come un giovane contemporaneo (o come un lettore qualsiasi), poco sa del rivoluzionario tedesco e della sua opera. E quel poco che sa lo rende diffidente. Ma alla fine della sua avventura con il filosofo, Daniel scopre con sorpresa che “a quest’uomo pieno di cicatrici, speranze impossibili e difetti imperdonabili, lui oramai voleva bene”. E, soprattutto, anni dopo, trovandosi sull’ultima barricata della Comune di Parigi e raccontando a un comunardo ferito la sua assurda storia, Daniel finalmente capisce il significato di ciò che aveva vissuto e di ciò che, in fin dei conti, gli aveva insegnato la conoscenza di Marx: “quando si scopre che i mostri esistono anche fuori dagli incubi non si può tornare a casa, non si può condurre un’esistenza normale, sposarsi e avere figli facendo finta di nulla. Puoi cercare di nasconderti dietro al lavoro, metterti a levigare un legno che non sarà mai liscio, fotografare un movimento sempre più veloce. Puoi ubriacarti, cercare conforto nella pornografia, nella religione, nelle passeggiate lungo il fiume. Puoi anche decidere di farla finita. Oppure accettare che essi esistono e combatterli”. marx-7

Daniel, sarà coerente fino in fondo con questa sua “scoperta”. Ma se è vero che egli, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe rappresentare il lettore generico, “Sangue e plusvalore” è soprattutto un modo originale, forse bizzarro, sicuramente appassionato, divertente e scevro da ogni moralismo, per invitare tutti noi a fare altrettanto.

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