Avviso di fine indagine per l’omicidio di Davide Bifolco. Altraeconomia: almeno un centinaio gli agenti indagati o condannati ogni anno ma mancano statistiche ufficiali
di Checchino Antonini
Uccise con una pistolettata un ragazzino incensurato, Davide Bifolco, dopo aver tamponato il motorino sul quale il diciassettenne viaggiava con altri due amici. Secondo il pm fu per «imprudenza, negligenza, imperizia nonché inosservanza di regolamenti e discipline» come l’obbligo «di sicura padronanza e di adeguata capacità di impiego delle armi in dotazione». Avviso di conclusione indagini, in gergo Acip, per il carabiniere MG, 33 anni fra un mese, appuntato in servizio a Napoli, al nucleo radiomobile. Ora il militare ha venti giorni di tempo per depositare memorie, documenti o presentarsi per rilasciare dichiarazione. Poi l’udienza preliminare stabilirà se ci sarà un processo pubblico per l’omicidio colposo, stando al capo d’imputazione ipotizzato, con «l’aggravante di aver commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio». Era il 5 settembre del 2014, la gazzella della Benemerita si aggirava al Rione Traiano a caccia di un latitante, ricercato per essere evaso dai domiciliari, e i carabinieri si sarebbero fatti persuasi che il “loro” uomo fosse a bordo dello scooter che, secondo il racconto degli amici della vittima – accolto dalla descrizione del pm – fu speronato dalla vettura dell’Arma.
Lo sdegno in città e nel resto del paese è stato notevole. Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, s’è immediatamente mobilitata con i movimenti napoletani a fianco della famiglia Bifolco. Le redazioni locali di Repubblica e Corriere della Sera si sono date molto da fare per provare a screditare l’attivismo dei movimenti contro l’ennesimo caso di “malapolizia”, spulciando le pagine Facebook a caccia dei “segretissimi ” legami tra disoccupati, movimenti e una nuova categoria sociale. “gli amici di Davide”.
Molti i lati oscuri di questa vicenda che solo un processo potrebbe provare a chiarire, a cominciare dalla misteriosa sparizione del bossolo dalla scena del delitto, dal mancato tracciato delle sagomature sulla stessa, e l’irruzione (documentata da un video) di uno dei due carabinieri, arma alla mano in una sala giochi a pochi metri dall’omicidio. Le indagini, come non smette mai di segnalare il legale dei Bifolco, Fabio Anselmo, sono state affidate allo stesso corpo di cui fa parte l’imputato.
Nel corso del 2014, riporta la rivista Altraeconomia, sono almeno un centinaio gli agenti indagati, rinviati a giudizio o condannati per reati, dal furto aggravato allo stupro. Secondo Donatella Della Porta, docente di Sociologia presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, invece, “la parte di fenomeno che diventa visibile è molto minore rispetto a quella reale”, data la strutturale “omertà di corpo” che caratterizza i comparti interessati. “Un altro fattore da tenere in considerazione -prosegue Della Porta- è la difficoltà incontrata da quelle persone che faticano a denunciare arbitrii a loro danno. Sia questo il delinquente, la prostituta o il migrante. Soggetti cioè considerati poco affidabili”. Per le sigle sindacali dei corpi interessati, interpellate da Ae, gli episodi sarebbero sporadici e fin troppo sottolineati dai media. “Il numero di casi che vedono coinvolti gli operatori di polizia in reati che siano scollegati all’attività di servizio è talmente limitato da ritenersi un fatto fisiologico in un’organizzazione così grande e complessa”, secondo il leader del Siulp, il maggiore sindacato del comparto. Così “fisiologico”, sottolinea la rivista, da non richiedere una misurazione indipendente, trasparente e consultabile.