Sarà di McDonald’s il più grande ristorante della kermesse delle multinazionali dell’alimentazione, l’Expo. Agnoletto e Molinari: «Come se Erode fosse testimonial di Unicef»
di Francesco Ruggeri
Come se Erode fosse scelto dall’Unicef come testimonial per i diritti dell’infanzia. No, l’annuncio della partecipazione alla kermesse milanese del colosso del fast food, simbolo della cattiva alimentazione globalizzata, ha scosso i settori critici della società civile come altri annunci del genere: Nestlè, acqua ufficiale di Expo, Coca Cola partner soft drink di Expo. McDonald’s sarà presente con un ristorante da 300 posti. Il più grande ristorante di Expo, e con il progetto “Fattore futuro” a sostegno della filiera italiana.
«Se la missione dichiarata dei dirigenti di Expo e dei molti, più o meno dubbiosi, aderenti a questo evento è “dare una risposta a all’esigenza vitale di garantire cibo sano, sicuro, che non produca obesità e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri”, rendere oggi questa missione compatibile con la partnership di McDonald’s e Coca Cola è cosa per stomaci molto forti», commentano Emilio Molinari e Vittorio Agnoletto, di Costituzione Beni comuni, esponenti entrambi dei movimenti anti globalizzazione.
«Sarebbe come far diventare Erode testimonial d’onore di Unicef. E’ sufficiente ricordare, a proposito dell’industria del fast food, che gran parte del mangime di soia utilizzato per far ingrassare alla velocità della luce i polli è, infatti, coltivato in Amazzonia attraverso la distruzione di rilevanti porzioni di quella foresta che resta il principale polmone del Pianeta, e che 1Kg di carne e frattaglie tritate produce diversi Kg di anidride carbonica con un disastroso equilibrio fra rendimento alimentare ed inquinamento. Inoltre non è certo un segreto il contributo che questo tipo di alimentazione fornisce all’obesità e all’ipertensione, patologie caratteristiche della nostra epoca. Speriamo sinceramente di non essere rimasti soli ad indignarci delle continue manifestazioni d’imbroglio culturale che caratterizzano Expo, dell’uso spregiudicato del termine “sostenibilità” e del furto del linguaggio dei movimenti che lo contestano, mentre si fanno scelte che vanno in direzione opposta e contraria. Sono tempi nei quali sembra non esistere più alcun tabù, ma noi vorremmo rivolgere ugualmente un appello alla riflessione a quanti, impegnati in prospettive alternative alla globalizzazione alimentare, hanno dato la loro adesione,seppure in forme diverse, al contenitore Expo, fornendole l’alibi di un impegno sociale per il bene comune del quale francamente si fatica a trovarne traccia».
Decisa dalla malapolitica, costruita dal malaffare, gestita dalle multinazionali, servita da 18500 lavoratori gratuiti: benvenuti a Milano ai tempi dell’Expo.