Liberismo, speculazione edilizia, crisi del welfare urbano, deturpazione dei territori, assenza di regole. La battaglia dei comitati territoriali per il diritto alla casa e i beni comuni
di Isabella Borghese
E’ una storia lunga vent’anni quella del nostro paese e che Paolo Berdini racconta nel suo ultimo lavoro, Le città fallite. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano, con prefazione di Paolo Maddalena (Donzelli editore, pagine 159, euro 19,50). Saltano all’occhio parole chiave, nel testo, che in qualche modo, purtroppo, raccontano la storia di un paese che ha maltrattato e maltratta la sua stessa terra.
Questa Italia sottomessa alle logiche di un potere che nel corso degli anni ha scelto di costruire senza regole. “Basta con le regole”, è infatti uno slogan che negli anni di tangentopoli la grande proprietà immobiliare ha imposto per raggiungere i suoi interessi. Da lì un susseguirsi di scelte che hanno contribuito nel tempo a determinare il fallimento delle città italiane. Berdini racconta i fatti dagli anni del condono del 1985, dall’affermazione della deroga urbanistica negli interventi per realizzare nuovi quartieri, a cui poi seguiranno i due condoni del governo Berlusconi.
Non tralascia l’istituzione della deroga, legata agli interventi nei centri storici per realizzare parcheggi urbani. Ricorda “le divisioni dei grandi interventi pubblici”, di fatto consorzi di impresa che non hanno partecipato a gare trasparenti. Nel caso specifico l’urbanista come esempio cita il caso di Intermetro: per il prolungamento della metro A le imprese raggruppate vanno da Cogefar, condotte d’Acqua, Breda Ferroviaria, Impresit, Fiat ferroviaria, Marelli, gruppi pubblici (Ansaldo) e Isituti di credito (Imi).
Insomma, tutto fa affermare che gli interessi economici hanno preso il sopravvento sugli interessi territoriali. Le istituzioni hanno deciso di imporsi dando priorità al denaro, che mette sempre in accordo costruttori e amministratori, e il cui dictat pare sia: distruggere i territori.
Arriva poi la disamina di casi specifici e Berdini ne sceglie diversi. Tra i non trascurabili, Genova, “il caso più preoccupante”, viene definito così dall’urbanista. Una città che per favorire la speculazione edilizia, non ha tenuto conto neanche degli alvei fuviali, e il vero dramma si quantifica oggi ogni volta che arriva un alluvione. A seguire L’Aquila, che dopo il terremoto del 2009 ha visto la costruzione di immobili fatiscenti per altro al costi di circa 2800 euro a metro quadrato, tre volte il prezzo di un’abitazione normale. Ma tra i casi ricordati vale la pena leggere anche quelli di Torino, Alessandria, Roma, Parma.
Negli anni alle istituzioni si è contrapposta la forza di comitati territoriali, associazioni, tutte realtà necessarie, in lotta per riappropriarsi della città come bene comune, per combattere la speculazione, e affermare l’importanza del diritto alla casa. Purtroppo sono realtà mancanti di potere, come anche prive di rappresentanza istituzionale e politica. “Bisogna ricostruire”, scrive Berdini. E farlo a partire da due importanti contributi, rispettivamente uno di Salvatore Settis, l’altro Paolo Maddalena. E’ Salvatore Settis a ricordare che i beni pubblici sono un tutt’uno con l’esercizio della sovranità popolare, Paolo Maddalena a ribadire che il territorio è un bene comune unitario formato da più beni comuni. Popolo e territorio sono parte della stessa comunità. Dev’essere dunque il potere pubblico a “disporre pienamente della titolarità di perseguire il futuro di una comunità”. Insomma, spiega Maddalena, “i diritti edificatori non esistono”, e l’Italia in questioni di territorio, tutela dell’ambiente, diritto alla casa, dovrebbe ricominciare dando valore a tutto questo.