Il giornalista angolano Rafael Marques de Morais rischia 14 anni di carcere per aver scritto un libro sulle violazioni dei diritti umani
di Marina Zenobio
Lo scorso 20 marzo ha ricevuto il premio “Libertà di espressione” dall’organizzazione Index on Censorship per la difesa della libertà di parola, ma questo non impedirà al giornalista angolano Rafael Marques de Morais di salire alla sbarra, il prossimo 23 aprile a Luanda, per rispondere dell’accusa di diffamazione e di altri 15 capi di accusa tra cui danno alla reputazione internazionale dell’Angola.
La sua colpa principale è quella di aver scritto un libro Diamantes de Sangue: Tortura e Corrupçao em Angola (Diamanti di sangue: tortura e corruzione in Angola), in cui denuncia assassinii e torture perpetrate dall’Esercito del paese africano.
Il libro è stato pubblicato nel 2011 in Portogallo e documenta non meno di 100 casi di uccisioni e 500 casi di torture, oltre allo sgombero forzato e ad intimidazioni da parte delle Forze armate angolane nei contro degli abitanti delle zone adiacenti alle miniere di diamanti nella regione di Lundas.
Cinque anni prima, quando ancora lavorava al settimanale angolano Agora, Rafael Maquez de Morais pubblicò un articolo molto provocatorio dal titolo Il rossetto della dittatura, con riferimento allo slang portoghese che definisce il manganello della polizia “rossetto”. L’articolo – costato il posto di lavoro al giornalista angolano – conteneva un duro attacco all’ancora presidente della repubblica di Angola, José Eduardo dos Santos (nella foto), definendolo come “un brutale dittatore che incoraggia il degrado morale, la corruzione e la violenza”.
E’ proprio per queste coraggiose denunce che Marques de Morais ha ricevuto il premio da Index Censored, ed anche altre organizzazioni internazionali questa settimana si sono unite al Committee to Protect Journalists (CPJ) e pubblicato un comunicato in cui si chiede alle autorità angolane di ritirare le accuse contro il giornalista.
Secondo Sue Valentine, responsabile del l’Africa del CPJ, i procedimenti giudiziari hanno violato i diritti umani di Marques de Morais “in particolare quelli protetti dalla Carta africana dei diritti umani e dalla Dichiarazione universale”.
Anche se l’Angola è membro dell’Unione Africana (UA) e la sua Costituzione garantisca la libertà di espressione, una nota pubblicata questo mese dalla Federazione internazionale di diritti umani ha denunciato che, in Angola, giornalisti e attivisti sociali a difesa delle libertà subiscono una “persecuzione giudiziaria e amministrativa con intimidazioni e minacce”.
Rafael Maques de Morais è oggetto da anni di persecuzioni da parte delle autorità angolane, ha dichirato Sue Valentine precisando anche che nel 2000 gli fu vietato di lasciare il paese dopo una condanna, annullata successivamente dall’Alta Corte, proprio per le presunte diffamazioni al presidente dos Santos.
Un anno fa l’Unità per il crimine organizzato della polizia angolana ha notificato a Marques de Morais le nuove accuse per diffamazione. Ma questa volta le autorità del paese non vogliono correre il rischio di un altro annullamento della sentenza così il coup de théâtre c’è stato alla prima udienza del processo, lo scorso 25 marzo, quando il giudice del Tribunale di Luanda ha aggiunto alla accusa di diffamazione altri 15 capi d’accusa tra cui danno alla reputazione internazionale del Paese, imputazioni gravi che prevedono fino a 14 anni di carcere.
Secondo una ricerca del CPJ quello di Marques de Morais è il caso più eclatante, ma sono tanti i giornalisti indipendenti angolani che fanno farto della rete contro la corruzione Maka Angola e denunciati dallo Stato per diffamazione.
Per quanto riguarda il libro Diamantes de Sangue: Tortura e Corrupçao em Angola, è stato pubblicato solo in Portogallo ma, prima dell’inizio del processo, Marques de Morais ne ha distribuite 200 copie in Angola, qualcuno o ha messe in rete e si può scaricare gratuitamente qui.
Scrive Rafael Marques de Morais in un articolo pubblicato sulla rivista Sin Permiso:
“La vita umana – a meno che non si tratti di un membro della élite dominante – non vale niente in Angola. Questo paese rientra tra le dieci economie con la crescita più rapida nel coso degli ultimi anni, fino al 2014. Ora ha il maggio tasso di mortalità del mondo. A causa della sua abbondanza di petrolio e diamanti, utilizzati per la corruzione e le pubbliche relazioni, un paradosso che non sembra interessare nessuno, né il paese né all’estero.
Dove né i dirigenti politici né la gente rispettare la vita umana, si può fare ben poco per il bene comune. Perpetua lo scollamento tra chi è al timone, le persone e la realtà; e i governanti si sentono in diritto di abusare del potere, di saccheggiare le risorse nazionali e diffondere l’oppressione.
Lotto contro la corruzione perché è l’arma più sofisticata del regime per sottomettere la società. Essere giornalista in Angola comporta molti problemi, da qualsiasi punto di vista. Per la maggioranza che lavora per media controllati dallo Stato, la propaganda è la guida per il loro lavoro. Il regime tratta con generosità chi fa propaganda, anche se questi sono detestati dal pubblico.
Ci sono anche giornalisti dei media piccoli, privati, la maggior parte sotto controllo indiretto del regime grazie alle connessioni familiari tra i proprietari dei media e la élite politica. Ciò che definisce questo giornalismo è l’autocensura, ciò che permette ai protagonisti di vivere bene.
Poi c’è la categoria dei disadattati, quelli che apertamente e costantemente sfidano il regime, e sono figure polarizzanti. Tuttavia, cercare di distinguere i fatti delle invenzioni nei media angolane è un esercizio quotidiano. Si diffida di questi giornalisti, ma mi sono impegno in un giornalismo investigativo per contribuire ad un modello di professionalità e per creare spazio alla loro indipendenza.”
forse son la prima lettrice … mi piace che Popoff si occupi anche di questo!
Grazie