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Alla Diaz fu tortura, Strasburgo condanna l’Italia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha constatato la violazione dell’articolo 3 della Cedu da parte dell’Italia per le violenze commesse all’interno della Diaz il 21 luglio 2001

di Francesco Ruggeri

diaz
Quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane nell’irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura”. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo chiama le cose con il loro nome. E lo fa in relazione al caso Cestaro vs. Italia, nel quale ha riscontrato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. L’Italia è stata condannata anche per non aver ancora adempiuto i propri obblighi, attraverso l’introduzione del reato di tortura all’interno del proprio codice penale.

Arnaldo ce l’ha fatta. E’ la vittima più anziana della Diaz ma non ha mai rallentato il suo impegno per denunciare le ingiustizie sociali, che siano quelle palesi sul suo territorio – vive nel Veneto leghista, governato dal sistema Galan-Zaia – oppure quelle prodotte dalla globalizzazione. La stessa molla che lo condusse a Genova nel 2001 e lo ha spinto a ricorrere alla stessa corte che ha respinto il ricorso della famiglia di Carlo Giuliani, assassinato poche ore prima dell’irruzione alla Diaz da un carabiniere.

Arnaldo, quella notte, aveva 62 anni. Era finito nel dormitorio destinato agli sfollati dalle tendopoli dopo un nubifragio. Così incappò nel blitz che doveva restituire credibilità alle forze dell’ordine e invece i vertici del Viminale, quella notte, persero i residui di credibilità proprio nella scuola in cui si compì la sanguinosa irruzione. Arnaldo, quella notte, fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. I responsabili del pestaggio, tuttavia, non furono puniti adeguatamente poiché la legislazione italiana non prevede il reato di tortura. I giudici di Strasburgo hanno così dato pienamente ragione all’uomo, riconoscendo che il trattamento subito si configura come “tortura”. Nella sentenza viene sottolineata inoltre l’inadeguatezza delle leggi italiane, che non hanno permesso di punire i colpevoli, e che lamancanza di determinati reati non permette allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle forze dell’ordine.

Questa condanna è la conferma dell’ipocrisia del governo italiano che spesso ha imposto misure violentissime in nome dell’Europa e della legalità internazionale e che invece è il primo a non rispettare nemmeno la propria Costituzione. Dopo aver ratificato il trattato sulla tortura non ha mai promulgato una legge. Il rischio è che, sull’onda emotiva di questa sentenza, possa essere approvata la pessima legge sulla tortura in discussione in Parlamento, che non riconosce la tortura come reato specifico del pubblico ufficiale, e che secondo molti osservatori sembra essere scritta sotto dettatura degli alti comandi della polizia e del Viminale. Quattordici anni dopo l’Italia non è la stessa che si indignò di fronte alla più grave sospensione dei diritti umani avvenuta in Occidente dopo la II guerra mondiale. Lo ha scritto Amnesty International.

“È una sentenza importante per due aspetti – spiega a Radio Città Fujiko, Simone Sabattini, avvocato di parte civile al processo Diaz-Bolzaneto – in primo luogo perchè sono molti i ricorsi pendenti su quegli episodi da parte di altre vittime, e quindi è prassi ordinaria considerare i ricorsi successivi come figli del primo con identico risultato. È poi una sentenza che si rivolge allo Stato perché non ha posto in essere quei provvedimenti necessari per punire i colpevoli e quindi evitare in futuro il ripertersi di fatti così gravi“.
PARLA IL PM DELLA DIAZ
“E’ una decisione presa all’unanimità quella della Corte europea di Strasburgo e non è certamente mia intenzione sminuirla, ma devo dire che questa è stata una decisione fra le più scontate”, dice il pg di Genova, Enrico Zucca. Zucca, insieme al collega Cardona Albini, ha sostenuto l’accusa in primo e secondo grado contro i pubblici ufficiali identificati come responsabili dell’irruzione alla scuola e della costrizione del falso che ne seguì. “La Diaz e Bolzaneto sono un concentrato della violazione della convenzione europea – ha spiegato il magistrato – non è scontato e non doveva essere scontato l’atteggiamento del governo e delle istituzioni italiane. Di fronte all’esemplarità delle violazioni, hanno ignorato non solo le pronunce dei giudici nazionali ma anche hanno ignorato le richieste che provenivano dalla corte a livello informativo”. “La Corte – spiega Zucca – ha ricordato i punti critici che abbiamo calpestato con il nostro sistema e che sono quelli che per fatti di questo genere non è ammessa la prescrizione e noi l’abbiamo ammessa, non sono ammissibili condoni o grazia e noi abbiamo avuto l’indulto. La corte poi ci ha ricordato che i funzionari che sono semplicemente mandati a giudizio devono essere sospesi, e nessuno è stato sospeso, e devono essere destituiti e nessuno è stato destituito”. “L’aspetto molto grave è che questi fatti sono gravissimi per l’italia perché sono fatti che hanno visto coinvolti i vertici delle forze di polizia, che hanno ricevuto in questi anni soltanto attestazioni di stima e solidarietà. Mi rifiuto di credere che lo stato italiano non abbia funzionari migliori di quelli che sono stati condannati. Bisogna riuscire a prevenire fatti di questo genere e in Italia non abbiamo antidoti all’interno del corpo di appartenenza. Le dichiarazioni fatte dopo la sentenza definitiva dall’allora capo della polizia Manganelli non sono solo insufficienti ma dimostrano la mancata presa di coscienza di quello che è successo. Lui fece delle scuse, sì, ma parlando di pochi errori di singoli, senza riflettere sulla vastità del fenomeno”.
Anche per Vittorio Agnoletto, all’epoca portavoce del Genoa Social Forum, la condanna è un atto doveroso e condivisibile: «Una vergogna annunciata: nell’indifferenza del mondo politico italiano la Corte Europea ci condanna, giustamente, per il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali. A 14 anni dal G8 di Genova e ad oltre trent’anni dalla firma della convenzione internazionale contro la tortura tale reato non e’ ancora stato inserito nel nostro codice». «Il  reato di tortura come fattispecie specifica per i funzionari pubblici è previsto nella grande maggioranza dei Paesi europei ed è a tutela non di una parte politica,ma di tutti i cittadini. Una polizia che agisce nella legalità non dovrebbe avere alcun timore dall’istituzione di tale reato; altrimenti significa dare per scontato che le forze dell’ordine nel compiere il proprio lavoro agiscano contro e al di sopra della legge, e questo e’ inaccettabile in qualunque stato di diritto».
ANCHE L’OMICIDIO ALDROVANDI FU TORTURA
 Nel giorno della sentenza  «abbiamo l’ennesima conferenza stampa del SAP  con le sue strabilianti interpretazioni relative al procedimento contabile giurisdizionale presso la corte dei conti regione Emilia Romagna che si è concluso con una sentenza che definirei esemplare», avverte anche Fabio Anselmo, legale di parte civile in molti casi di malapolizia. «Rispetto a quanto mi viene riportato essere stato dichiarato dai responsabili del SAP oggi,  la corte dei conti ha stabilito quanto segue: il comportamento degli agenti è “stato gravemente anti doveroso incontestabilmente e inequivocabilmente gravemente contrario ai propri doveri d’ufficio”  e si è rifatta integralmente agli ambiti già delineati in modo definitivo dal Giudice penale. Che vi è palese discordanza tra modello comportamentale a cui fare riferimento e quello concreto adottato dagli agenti di polizia che avrebbe necessitato maggiore auto controllo e maggior ponderazione degli elementi causali presenti e maggiore capacità di adottare la migliore e meno dannosa soluzione comportamentale, con condotte (citando la corte di cassazione) specificatamente incaute e drammaticamente lesive “ individuate “da un lato da una serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo accompagnate dalla protratta pressione esercitata sul suo tronco”. “Le condotte (parole esplicitamente e letteralmente richiamate ancora dalla sentenza della cassazione penale) poste in essere dagli agenti di polizia, come accertate dai Giudici di merito, in riferimento alla specifica situazione in cui versava Federico Aldrovandi nel momento in cui incontrò i quattro pubblici funzionari all’alba del 25 settembre del 2005, evidenziano allora che gli agenti non agirono affatto perché costretti dalla necessità di difendere un proprio diritto. La corte dei conti ha ridotto il risarcimento del ministero a carico degli a genti riconoscendo una corresponsabilità del primo nei terribili fatti occorsi nei  termini di inadeguata preparazione professionale e psicologica e d in tema di organizzazione del servizio. Non ve chi non veda l’altissimo valore politico di questa sentenza che cestina inesorabilmente la metafora difensivistica spesso adottata delle cosi dette mele marce.  Federico Aldrovandi aveva sul suo povero corpo 54 lesioni inferte dai colpi subiti “ciascuna suscettibile di autonomo procedimento pensale”. Ben 2 manganelli sono stati spezzati durante quell’intervento. Lo stesso condannato Pontani in una telefonata con la centrale operativa agli atti parla in termini l’abbiamo bastonato di brutto per mezz’ora . Non v’è dubbio alcuno che proprio ai sensi della corte europea dei diritti dell’uomo di cui oggi si parla, quegli atti e comportamenti avrebbero un nome solo a loro definizione : Tortura».

LA SENTENZA NEL DETTAGLIO

Ma ecco nel dettaglio la sentenza: La Corte ha riscontrato che, secondo la Cassazione, gli atti di violenza all’interno della scuola Diaz-Pertini sono stati perpetrati con “un fine punitivo, di rappresaglia, con l’obiettivo di causare l’umiliazione e la sofferenza fisica e mentale delle vittime” e che tali atti rientrano nella definizione di tortura data dall’articolo della Convenzione contro la tortura del 1984. Innegabili gli atti di violenza subiti da Cestaro, che gli hanno causato diverse fratture multiple e danni permanenti a braccio gamba destra, così come non vanno sottostimate l’ansia e la paura vissute dal ricorrente. Le violenze subite da Cestaro vanno considerate come inflitte in maniera del tutto gratuita, non essendo nessun collegamento causale tra il comportamento del ricorrente e l’uso della forza da parte della polizia. Non sono altresì catalogabili come mezzi proporzionati per raggiungere l’obiettivo in questione. La Corte ha riscontrato che i maltrattamenti subiti dal ricorrente durante l’irruzione alla Diaz configurano il reato di tortura, secondo il significato dato dall’articolo 3 della Convenzione. Ha altresì notato che gli agenti che colpirono Cestaro non sono mai stati identificati, non sono mai stati soggetti ad un’indagine e sono rimasti impuniti. Secondo la Corte, tale mancanza è dovuta sia dalle difficoltà oggettive riscontrate dalla procura nell’identificazione, sia dalla mancanza di cooperazione delle forze di polizia. La Corte ha espresso disapprovazione verso il rifiuto, con impunità, posto dalla polizia italiana di fornire alle autorità competenti la cooperazione necessaria per l’identificazione degli agenti che potrebbero essere coinvolti in atti di tortura. La Corte ha osservato che i reati di calunnia, abuso dell’autorità pubblica e lesioni personali gravi e traumatiche sono scaduti prima della decisione dell’Appello. Di conseguenza, i procedimenti penali non hanno portato ad alcuna condanna per i maltrattamenti subiti da Cestaro. La Corte ha pertanto constatato che le autorità non hanno reagito tempestivamente in risposta a tali gravi atti. Di conseguenza, la reazione è stata incompatibile con gli obblighi procedurali previsti dall’articolo 3. Questo risultato non va imputato alla negligenza del pubblico ministero o delle corti italiane, ma alla legislazione penale applicata al caso, che si è dimostrata sia inadeguata alla punizione del reato di tortura sia priva del necessario effetto deterrente volto a prevenire altre violazioni dell’articolo 3 in futuro. La Corte ha pertanto ravvisato una violazione dell’articolo 3 per via sia dei maltrattamenti subiti da Cestaro, sia per l’inadeguatezza della legislazione penale relativa al reato di tortura. Per quanto riguarda gli obblighi positivi dello Stato italiano, la Corte ha sottolineato il dovere di introdurre un quadro giuridico adeguato, che includa in particolare, norme penali effettive, che assicurino una punizione appropriata per i perpetratori di atti di tortura ai sensi dell’articolo 3 e di prevenire che tali individui possano beneficiare di misure in contraddizione con la casistica della Corte in materia.

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