A Palazzo Ducale l’espressionismo tedesco in mostra fino al 12 luglio
Da Genova Claudio Marradi
Si chiama Marcella e sembra l’eroina di una graphic novel: Il viso appoggiato alla mano, lo sguardo un po’ annoiato dell’adolescenza in un giorno d’estate, una gamba accavallata sul divano e l’altra che tocca terra, stretta nel suo vestitino corto senza maniche. Il pensiero perso dietro chissà a che cosa. Accanto a lei un gatto acciambellato. E invece il suo ritratto ha 115 anni ed è l’immagine guida della mostra “Da Kirchner a Nolde. Espressionismo tedesco 1905-1913”, con la quale Palazzo Ducale di Genova apre una finestra, fino al prossimo 12 luglio, sul movimento artistico dell’inizio del secolo scorso. E proprio Ernst Ludwig Kirchner è l’autore dell’olio su tela proveniente dal Brücke-Museum di Berlino. “Brücke”, ossia ponte. Anzi, “Die Brücke“, “Il Ponte”, come si chiamava il movimento fondato il 7 giugno 1905 e che si ispirava programmaticamente a una citazione di Friedrich Nietzsche secondo il quale “l’uomo è una corda tesa tra la bestia e l’uomo nuovo, una corda che attraversa un abisso… la grandezza dell’uomo sta nel suo essere un ponte, non un fine”.
Poche righe che contengono tutta un’epoca nell’eco di suggestioni superomistiche, nella ricerca di una condizione umana in grado di gestire la potenza di una modernità tecnologica che irrompeva in una società europea avvertita come sclerotizzata in convenzioni superate. E poi la sensibilità estetica di una generazione che già intendeva la gioventù non più come semplice età della vita ma come condizione privilegiata dell’esistere e di un’avanguardia artistica che si poneva come interprete del “nuovo” in tutte le sue accezioni. Estendendo la sua poetica alla quotidianità di tutti giorni, in un manifesto di vita libera e boehmien cui presto si ispirarono anche poeti, scrittori e compositori. Arte e vita come una sola cosa, topos irrinunciabile, croce e delizia di tutte le avanguardie del Novecento.
L’utilizzo di una gamma cromatica acida e di tinte contrastanti per la resa efficace di emozioni intense come quelle che fanno riferimento all’erotismo e l’espressione di temi come il disagio esistenziale, l’angoscia e l’insofferenza verso l’ipocrisia della società borghese, divengono presto cifre connotanti della produzione artistica di un movimento che ha come riferimento illustre pittori come Munch ed Ensor e che porterà alla nascita dell’astrattismo. Ma che estenderà il suo influsso anche al di fuori del mondo della pittura, in quella forma espressiva nascente che era il cinema: dal Gabinetto del Dottor Caligari di Wiene al Nosferatu di Murnau, da Metropolis a M – Il mostro di Düsseldorf, di Lang, le asprezze taglienti delle scenografie sono eredi legittime di quella visione del mondo.
In esposizione oltre 150 opere, tutte provenienti dal museo berlinese, tra dipinti, stampe e disegni dei fondatori del gruppo. Fritz Bleyl, Erich Eckel, Karl Schmidt-Rottluff, Otto Mueller, Cuno Amiet, Emil Nolde sono gli altri protagonisti di una storia che inizia nel 1905 nello studio di Kirchner, ricavato in una ex macelleria dove gli espressionisti tenevano le loro riunioni e che termina con la lettera con cui si annunciava lo scioglimento del sodalizio creativo, scritta il 27 maggio 1913 sulla soglia di quel Primo conflitto mondiale che per tutta l’Europa sarà laboratorio “intensivo” di modernizzazione accelerata. E al quale molti dei componenti del Ponte si iscriveranno volontariamente, come tanti della loro generazione, in una scelta che più di ogni altra cosa misura la distanza tra noi e loro. La guerra degli eserciti pensata come occasione di riscatto esistenziale e di emancipazione sociale, processo di liberazione dei popoli oppressi dagli Imperi e dal grande Capitale e fucina rovente di un nuovo e più giusto ordine mondiale. Difficile persino immaginarlo ora, che tra noi e loro si è aperta la voragine che ha inghiottito i 17 milioni di morti della Prima guerra mondiale e i 55 della Seconda. E che tra noi e loro, tra il loro e il nostro immaginario, è calato lo schermo invalicabile delle foto di Auschwitz e del fungo su Hiroshima.
Così moderni e così arcaici, così vicini, così lontani, anche gli artisti del Ponte entrarono infine, come milioni di loro coetanei, per volontà o per forza, nella fornace della guerra. Proprio come succede nell’efficace installazione che chiude il percorso espositivo della mostra: un tunnel nero nel quale si entra uno alla volta e dove l’ombra del visitatore si proietta, sola, come da solo ognuno di loro si è ritrovato col suo personale destino, sullo sfondo in movimento di filmati originali di guerra di trincea.