Due documenti statunitensi evidenziano ulteriori criticità negli F-35, in particolare per quanto riguarda il motore e il software del sistema di manutenzione. Ma il governo italiano prosegue nell’acquisto
Di Carlo Perigli
Gli F-35 continuano a collezionare problemi, ma niente paura, li compreremo ugualmente. Eppure stavolta non era difficile cedere alla tentazione di uscire dal programma JSF e destinare ad altri settori una cifra che al 2012 veniva stimata intorno ai “12,2 miliardi di euro entro il 2047”.
Già, perché le polemiche questa volta nascono da problemi che alcuni controlli hanno riscontrato al motore dei costosi velivoli. In particolare, sono due i documenti all’interno dei quali vengono segnalate le anomalie: il primo è stato pubblicato dallo US Government Accountability Office (Gao) il 14 aprile, e chiarisce senza mezzi termini che «il funzionamento del velivolo è stato limitato dalla scarsa affidabilità del motore, il quale necessiterà di ulteriore tempo e risorse per il raggiungimento degli obiettivi di affidabilità». Toni analoghi a quelli tenuti tredici giorni dopo dall’ispettore generale del Pentagono, che nel corso dei controlli sul programma motori ha rilevato 61 «non conformità» tecniche con le norme previste dal Dipartimento della Difesa e con i protocolli di gestione e sicurezza.
Insomma, entrambi i documenti concordano sull’inaffidabilità dei motori degli F-35, nonostante i costi dei prodotti siano in continua crescita. Ma non solo, perché il rapporto GAO sottolinea altresì che nessuno dei 36 velivoli del produttore Lockheed Martin nel 2014 è stato consegnato con “capacità di combattimento” e che il software del sistema di manutenzione del jet dà letture false otto volte su dieci.
Sarà per tutti questi motivi che alcuni Paesi come Olanda e Canada hanno deciso di annullare l’acquisto o di riconsiderarne tempi e termini. Una possibilità valutata anche dall’Italia nel settembre 2014, quando il Parlamento ha approvato una mozione volta a dimezzare il budget da destinare agli F-35, in considerazione delle difficoltà e della necessità di «ragionare sulle risorse disponibili», come disse il ministro della Difesa Pinotti.
Davvero? No, perché quella decisione è già stata completamente rovesciata dallo stesso governo, che ha rinnovato la fiducia al programma Joint Strike Fighter attraverso un piano di rateizzazione della spesa. Una formula che, secondo la dottrina dei ritorni elaborata all’interno del Libro Bianco della Difesa, consentirà allo Stato di recuperare metà della spesa totale. Un bel risparmio, che però, secondo gli addetti ai lavori, non finirà nelle casse dello Stato, ma in quelle di Finmeccanica, l’industria aeronautica nazionale. Contenti?