Sette anni fa l’omicidio di Nicola Tommasoli da parte di giovani legati all’estremismo di destra. Tutti condannati ma la galassia nera in città governa e mena
da Treviso, Enrico Baldin
Ricorrono in questi giorni i sette anni dalla morte di Nicola Tommasoli, il 29enne grafico di Negrar che nella notte tra il 30 aprile e l’1 maggio venne malmenato fino a trovare la morte alcuni giorni dopo nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Verona.
Nel febbraio scorso, dopo anni di processi, sono state comminate le condanne in corte di appello. L’ipotesi accusatoria era di omicidio preterintenzionale, la sentenza – accolta positivamente dai genitori di Nicola – ha sancito oltre 44 anni di carcere per cinque ragazzi (alcuni dei quali con precedenti) poco più che maggiorenni all’epoca dei fatti vicini all’estrema destra veronese e frequentatori della curva dell’Hellas Verona. Uno di loro, Raffaele Dalle Donne, si costituì mentre gli altri quattro vennero individuati successivamente. Due di essi erano nel frattempo fuggiti all’estero. In quella notte di violenza il pestaggio nei confronti del povero Tommasoli risultò particolarmente stucchevole perché motivato dal rifiuto di offrire una sigaretta agli aggressori.
Verona si svegliò sbalordita da tanta immotivata brutalità. Gli episodi di violenza di matrice politica nera non erano mancati nei mesi e negli anni precedenti, ma stavolta c’era scappato il morto. Le organizzazioni di estrema destra si dissociarono, ma non sfuggì il fatto che tre degli aggressori erano dei frequentatori della curva dell’Hellas e avevano precedenti per violazione della legge Mancino, istigazione all’odio razziale e per alcuni scontri a margine di partite di calcio della squadra gialloblu. Il comandante della Digos li definì dei “cani sciolti” della galassia neofascista veronese.
«In quell’occasione ci fu una risposta della Verona antifascista e democratica» ricorda Enrico Bertelli, collaboratore di Radio Popolare Verona, raccontando di un corteo con 10mila persone in solidarietà alla famiglia. La fotografia della Verona di oggi però stenta a far credere che la lezione data da quel grave fatto sia stata completamente recepita. Nella città di Giulietta infatti, episodi di violenza ed intolleranza a marchio neofascista non sono mancati in questi sette anni. A snocciolare i fatti succedutisi è stata la rete delle organizzazioni antifasciste che negli scorsi mesi hanno stilato un dettagliato dossier su quanto accaduto in città dal 2001 in poi. Non solo una interminabile lista di decine tra aggressioni ed intimidazioni, anche i legami dell’estrema destra con l’amministrazione comunale destano preoccupazione.
Proprio nel 2007 venne eletto come sindaco di Verona il leghista Flavio Tosi, che alcuni anni prima era divenuto celebre con la mobilitazione “Firma anche tu per cacciare i sinti”, che gli costò anche una condanna per istigazione all’odio razziale. Da quando il municipio scaligero ha visto insediarsi l’attuale concorrente per la poltrona di governatore del Veneto, l’estrema destra è potuta accedere alla politica che conta, istituzionalizzandosi. Consiglieri comunali, consiglieri di circoscrizione, presidenti di municipalizzate: Tosi ha garantito e offerto posti a quella galassia nera che ha contribuito ad aiutarlo alla sua elezione. Andrea Miglioranzi ad esempio è presidente della municipalizzata che gestisce i servizi ecologici, ma ha una lunga militanza nel Veneto Fronte Skinheads e nella Fiamma Tricolore: nonostante la sua impresentabilità fu nominato presidente dell’Istituto storico della resistenza, carica da cui si dimise in seguito a proteste arrivate da tutta Italia. Fu l’esempio più eclatante, ma la serie di personaggi “discutibili” a cui Tosi ha trovato il posticino potrebbe proseguire.
A Verona Casa Pound si è data un profilo più istituzionale, avendo sostenuto Tosi alle elezioni nella sua lista civica, anche se non sono mancati episodi di violenza provenienti da suoi esponenti, come l’aggressione attribuita a Marcello Ruffo che oltre ad essere coordinatore di Casa Pound a Verona è anche consigliere di circoscrizione. Forza Nuova invece, pur aggirandosi ancora su percentuali basse, alle ultime elezioni ha guadagnato rispetto alle precedenti quasi 300 voti candidandosi contro Tosi. L’estrema destra veronese è separata e la logica delle varie componenti è di competizione.
Enrico Bertelli però, fiduciosamente, intravede l’inizio della discesa della parabola dell’estrema destra veronese: «Il fatto che l’amministrazione comunale e Tosi stesso siano politicamente in crisi e abbiano perso consenso, toglie agibilità politica anche all’estrema destra veronese». La giunta Tosi ultimamente ha perso pezzi dopo la condanna del vicesindaco Giacino e le dimissioni dell’assessore Giorlo. Peraltro le ombre dell’inchiesta giornalistica di Report su Flavio Tosi e sui presunti contatti con la ‘ndrangheta gettano ulteriormente in cattiva luce la giunta veronese, che però rimane ancora in piedi. Tosi ultimamente si è spostato un po’al centro, si è trovato fuori dalla Lega e si accompagna meno a certe figure imbarazzanti del panorama politico veronese. Ma non manca comunque di dare coperture istituzionali. Fiorenzo Fasoli, segretario locale di Rifondazione, ci ricorda come recentemente l’istituto di edilizia popolare ATER abbia dato ospitalità in una sala pubblica ad un convegno dall’eloquente titolo “Dio patria famiglia” con la presenza di Roberto Fiore – leader di Forza Nuova già condannato per associazione sovversiva e banda armata – e di un portavoce della NPD tedesca, partito di estrema destra tedesco considerato erede del partito nazista.
«La realtà è che la destra estrema qui ha cittadinanza ed è stata messa in posti chiave della vita amministrativa» – ci dice Paola Bonatelli, a lungo corrispondente del Manifesto – «E comunque, anche se si cambiasse amministrazione non cambierebbe la cultura di cui è impregnata Verona. Cultura che è terreno fertile per certe pulsioni». La Bonatelli ricorda che anche prima di Tosi con l’ex sindaco di Forza Italia Sironi, la destra estrema era ben inserita nelle istituzioni. Gianni Zardini, del circolo glbt “Pink”, punta il dito sul connubio tra estrema destra e integralismo cattolico corredati dalla presenza di un vescovo che dire poco progressista è un eufemismo. «Qui il problema è culturale: a Verona per fortuna i fascisti picchiano meno, ma stanno battendo sul tasto dei temi religiosi», afferma Zardini. E la chiesa pare avere una forza molto importante. «La curia, le scuole cattoliche, danno spazio a convegni omofobi e dal sapore medievale a cui presenziano personaggi dubbi».
Molto a Verona pare parlare di fascismo: la storia innanzitutto, dalla RSI alla presenza forte dell’MSI, agli omicidi commessi tra gli anni ‘70 e ‘80 da Ludwig, pseudonimo usato da due ragazzi della Verona ricca per rivendicare gli assassinii di stampo neonazista che commisero. Per non parlare della cronaca: dai frequenti episodi di razzismo collegati ai tifosi dell’Hellas Verona, passando per l’irruzione squadrista avvenuta in diretta televisiva ad una rete locale con l’aggressione ad un rappresentante della comunità islamica. Oltre alla “cacciata” dei 99 Posse cui venne di fatto impedito di suonare. E poi in città – nelle strade, negli autobus, all’interno degli esercizi commerciali – si respira un clima pessimo: non è infrequente imbattersi in episodi di latente e quasi normalizzata xenofobia.
«Dopo la morte di Nicola le aggressioni sono diminuite, tuttavia non si è fatto un ragionamento più ampio su come superare questo clima di intolleranza e di odio verso il diverso» aggiunge Gianni Zardini. I movimenti e le reti antifasciste sono volenterosi e ci provano, ma il loro isolamento pesa. Anche consultando il dossier da loro redatto, l’omicidio di Tommasoli pare essere stato uno spartiacque: dopo di esso le acque della violenza nera si sono relativamente calmate. Anche se nessuno pare disposto a scommettere che quanto accaduto non si ripeterà più.
Mai stato a Verona.