A dispetto di molti lavori precedenti, la ricostruzione che Seymour Hersh fa dell’uccisione di Osama bin Laden non appare confermata da alcuna prova tangibile
Di Carlo Perigli
Osama bin Laden è morto, ma la versione che ci hanno raccontato non corrisponderebbe alla realtà dei fatti. Ad affermarlo è Seymour Hersh, noto giornalista d’inchiesta americano, vincitore, tra l’altro, del premio Pulitzer nel 1970 per aver scoperchiato il massacro di My Lay. In un articolo apparso sull’ultimo numero della London Review of Books, dal titolo “The Killing of Osama bin Laden“, Hersh sostiene che alcuni passaggi fondamentali della ricostruzione operata dall’amministrazione Obama siano in realtà falsi.
«La Casa Bianca – scrive Hersh – sostiene ancora che la missione è stata un affare tutto americano, e che i vertici dell’esercito e dei servizi segreti pakistani non erano stati informati in anticipo. Questo è falso, come lo sono molti altri elementi nella ricostruzione dell’amministrazione Obama». Secondo il giornalista, non solo i vertici militari pakistani sapevano dell’operazione, informazione che gli avrebbe permesso di assicurare che i Navy Seals potessero sorvolare lo spazio aerei senza conseguenze, ma all’epoca bin Laden era in mano all’Isi – Inter Services Intelligences, i servizi segreti di Islamabad già dal 2006, che lo tenevano prigioniero ad Abbotabad, un piccolo centro a circa 50 chilometri dalla capitale. Nel 2010 un ex ufficiale pachistano avrebbe venduto l’informazione agli Stati Uniti in cambio di buona parte dei 25 milioni offerti da Washington come taglia. A quel punto, l’amministrazione Obama avrebbe informato il Pakistan dell’azione imminente, e a seguito di un accordo i servizi segreti lasciarono la struttura dov’era tenuto bin Laden.
Una versione, quella di Hersh, che non solo contrasta con il lungo e complesso lavoro di intelligence svolto dalla Cia, centrale nella ricostruzione degli eventi che gli Stati Uniti hanno raccontato al mondo, ma che nega anche sia la totale estraneità del Pakistan alla vicenda, sia lo scontro a fuoco che si sarebbe verificato nel compound dove bin Laden era nascosto/prigioniero. Inoltre, qualora la tesi presentata dal giornalista dovesse rivelarsi vera, verrebbe inevitabilmente meno anche la dichiarata volontà degli Stati Uniti di prendere “lo sceicco del terrore” vivo.
La ricostruzione di Hersh è stata fortemente criticata negli Usa per l’ampio numero di fonti anonime alle quali buona parte delle informazioni vengono attribuite. Una critica a cui lo stesso autore ha risposto spiegando che «diventa molto difficile per gente che opera ancora all’interno poter essere citata in maniera completa». Comprensibile, ma allo stesso tempo lo stesso Hersh converrà sul fatto che una ricostruzione basata sulle parole di Asan Durrani, vertice dell’intelligence pakistana dal 1990 al 1992 – quindi almeno 14 anni prima dall’inizio degli eventi trattati – e da un ex ufficiale dei servizi segreti attualmente in pensione, non ha il peso che l’argomento meriterebbe. Sopratutto a fronte del fatto che, a differenza delle inchieste che lo hanno giustamente reso celebre, My Lay, Watergate e Abu Ghraib su tutte, questa volta non ci sono documenti in grado di supportare quanto scritto nell’articolo. Bisogna tuttavia ammettere, che lavori del genere, unanimemente considerati “deboli” non sono nuovi per Hersh negli ultimi tempi: nel 2011 ad esempio dichiarò che i vertici dell’esercito e delle forze speciali statunitensi «sono tutti membri, o almeno sostenitori, dei Cavalieri di Malta [..] molti dei quali a loro volta sono membri dell’Opus Dei», parte di una rete creata da Dick Cheney per “cristianizzare” il Medio Oriente. Negli anni successivi, diversi lavori svolti lo portarono a concludere l’uso in Siria di armi chimiche non dal regime di Damasco, ma da Al Nusra in collaborazione con il governo turco. Tuttavia, in nessuna delle inchieste elencate venne mai mostrata alcuna prova tangibile che potesse dimostrare quanto affermato.
Insomma, negli ultimi anni i lavori che hanno reso celebre Seymour Hersh sembrano aver lasciato il passo a pomposi proclami, fino a prova contraria – per l’appunto – sorretti da pochissime evidenze. Questo ovviamente non significa accettare in maniera acritica la versione degli eventi data da Washington, anch’essa caratterizzata da alcuni interrogativi irrisolti, ma tenere a mente che ad ogni punto debole della storia ufficiale devono corrispondere elementi concreti in grado di smentirla. Un lavoro che Seymour Hersh in passato ha saputo svolgere con invidiabile professionalità.
Da quando vi siete sbarazzati di un po’ di zavorra di complottardi e blogger che si credono Veronica Guerin perchè hanno un pc e l’accesso a wikipedia, il livello medio generale dell’obiettività dei vostri articoli ne ha guadagnato.
Il libro di Hersh è sensazionalismo spicciolo, ha la profondità d’un instant book. Hersh è un uomo troppo anziano per il giornalismo d’inchiesta.
Dissento dal commento precedente e penso che Popoff avesse una qualità rara: il pluralismo interno. Conteneva sguardi diversi soprattutto sull’estero, rappresentanti della nostra travagliata sinistra di classe; era un caso raro così come è raro che anche i giornali dei padroni escano dalla linea editoriale decisa con interventi di giornalisti “critici”, in questo modo ci si ritrova sempre a leggere ciò che si cerca, senza mai avere dei piccoli dubbi, e il caso dell’Ucraina così come le “primavere arabe” insegnano …