Sbagliata, dannosa e troppo timida nei confronti degli abusi delle forze dell’ordine. Lorenzo Guadagnucci hascritto per Altreconomia del libro “sTortura”. Ecco l’introduzione
di Lorenzo Guadagnucci
L’Italia è il paese della tortura. Lo sta dicendo la Corte eu- ropea per i diritti umani. Ha cominciato il 7 aprile 2015, con la sentenza sul ricorso presentato da Arnaldo Cestaro in merito al caso Diaz. E lo dirà altre volte, via via che ar- riveranno alla sua attenzione gli altri ricorsi analoghi già inoltrati a Strasburgo e quando esaminerà il caso Bolzane- to, altrettanto se non più grave del caso Diaz. L’onta per il paese è grande. Da Genova a Strasburgo, dal G8 al giudizio della Corte, corrono quattrodici anni di inchieste, processi, denunce pubbliche e proposte che non sono però serviti a rendere coscienti le istituzioni italiane della profonda cri- si delle nostre forze dell’ordine, e quindi della nostra ma- landata democrazia.
Alla Diaz, dicono i giudici di Strasburgo, fu praticata la tortura, ma questo giudizio, che pure tanto ha colpito i media e l’opinione pubblica, non è la parte più grave della sentenza, che denuncia anche i sistematici sforzi compiuti per occultare i fatti e la mancata punizione dei responsa- bili. Ce ne sarebbe abbastanza per scatenare un terremo- to nei palazzi del potere e per avviare, su questo punto sì, un’inchiesta parlamentare sullo stato di salute democrati- ca delle nostre forze dell’ordine. Delle quali sappiamo po- chissimo, come ha dimostrato la vicenda dell’agente Fabio Tortosa e della sua rivelatrice “rivendicazione” via Facebo- ok dell’impresa compiuta nel 2001 alla Diaz. La disinvolta uscita dell’agente all’indomani della sentenza ha suscitato sconcerto e una punta di spavento, per la subcultura che ha portato allo scoperto, così estranea, a prima vista, ai cano- ni propri di un comparto di sicurezza degno di una democrazia. In verità, chi conosca gli atti dei processi seguiti al G8 di Genova, chi abbia letto le intercettazioni utilizzate nel processo per falsa testimonianza a carico dell’ex que- store Francesco Colucci e dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, sa bene che una certa cultura è assai diffusa nella polizia di stato e non solo nei suoi ranghi periferici. È anche impossibile dimenticare che cos’è accaduto dopo il G8 di Genova, con il contrasto stridente fra i ricorrenti richiami all’affidabilità delle forze di polizia e gli esiti di- sastrosi dei processi per la Diaz e per Bolzaneto; fra le con- tinue rassicurazioni istituzionali e la morte per strada o in caserma o in ospedale di persone sotto custodia delle for- ze di sicurezza: sono i casi di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Riccardo Magherini, Giuseppe Uva, Franco Mastrogiovanni e alcuni altri, casi nei quali alla tragedia si è sommata la condotta opaca, ambigua, a volte apertamen- te ostile delle forze dell’ordine di fronte a chi agiva – fa- miliari delle vittime o magistratura – alla ricerca di verità e giustizia. È impossibile dimenticarlo mentre si discuto- no gli effetti della sentenza di Strasburgo.
La democrazia italiana sta vivendo una fase di forte soffe- renza, parte di un declino che sta investendo tutti i paesi del continente. È un fenomeno fin troppo noto: i “mercati” hanno sottratto sovranità agli stati; all’interno di questi, il potere esecutivo tende a prevaricare il legislativo secondo logiche neo cesariste; fra i cittadini si diffondono sfiducia e scetticismo. In questa generale crisi d’identità e di senso, c’è uno specifico che riguarda le nostre forze dell’ordine, ri- velatesi incapaci di guardare al proprio interno, di rendere conto ai cittadini per i propri errori (in qualche caso auten- tiche nefandezze). Forze dell’ordine che mostrano d’essere a disagio con gli standard dettati dalle convenzioni inter- nazionali sul rispetto dei diritti fondamentali.
Questa crisi morale, professionale e di credibilità degli ap- parati di polizia non dev’essere sottovalutata, perché som- mata al declino della vita democratica interna e alla cre- scente distanza fra cittadini e palazzo, rischia di alimentare una spirale regressiva nella quale le due debolezze finireb- bero per sostenersi a vicenda e spingere verso una (ulterio- re) torsione autoritaria delle nostre istituzioni.
Allo sferzante giudizio di Strasburgo si è risposto, in prima battuta, facendo sfoggio di realpolitik, con l’approva- zione di una legge sulla tortura decisamente minimalista, che contraddice alcune delle indicazioni chiave contenute della sentenza. E non si intravede la capacità, tanto meno la volontà, di impostare un discorso d’insieme, che dovrebbe condurre, inevitabilmente, a una riforma complessiva de- gli apparati di sicurezza.
Siamo di fronte a una sTortura, come recita il titolo di questo libretto, che non ha altra ambizione se non mettere in fila, come in una pagina di appunti, le persuasioni (e alcu- ni propositi) maturati negli anni, dal G8 di Genova in poi, attraverso l’impegno per l’affermazione dei diritti umani e delle libertà civili, un impegno che si è nutrito del con- fronto con numerose persone e organizzazioni alle quali andrebbe chiesto, a questo punto, di fare un deciso pas- so avanti e di scuotere istituzioni che paiono stordite dalla propria pluriennale ignavia.
da veccio anarchico non faccio mistero di quale sia il mio pensiero bakuniniano, circa i “tutori” dell’ordine, ma non mi rendo conto perchè nessuno fino ad
ora ha mai pensato di indire un referendum per abolire la polizia e sodali come la si intende ora, prima cosa, niente carriera ma a tempo determinato……….ad Expo anche se non hai precedenti non entri a lavorare senza il beneplacito della questura……….democrazia? no pasaran