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Eibar, la dignità non va mai in serie B

L’avventura dell’Eibar, squadra basca sostenuta dall’azionariato popolare, nella massima divisione iberica

di Enrico Baldin

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Non sempre i miracoli riescono. Di miracolo si sarebbe trattato se l’Eibar avesse raggiunto la salvezza. E invece il 3 a 0 rifilato sabato al Cordoba nell’ultima giornata di Liga non è bastato alla piccola squadra basca per rimanere nella massima serie.

Eppure le premesse erano delle migliori: 27 punti nel solo girone di andata, squadra essenziale e ben messa in campo, poche sbavature. La classica “squadra operaia”, fondata più sulla tenacia e il buon impegno dei suoi giocatori che su colpi di classe e giocate da fenomeni. Del resto è la vicenda stessa dell’Eibar a spiegare come una squadra così modesta potesse presentarsi al cospetto di un campionato dominato da plurititolate come Barcellona e Real Madrid.

Eibar è una cittadina di circa 25mila abitanti, situata a metà strada tra San Sebastian e Bilbao, nei Paesi Baschi spagnoli. La sua squadra calcistica vanta una lunga e dignitosa militanza nelle serie minori senza la minima ambizione di palcoscenici stellari. Già pareva troppo essersi avvicinati nel 2005 alla promozione dalla Segunda alla Primera division. Già era più che un vanto quel pareggio casalingo in Copa del rey ottenuto nel 2003 contro il Real Madrid: e poco importava se allo stadio Bernabeu i blancos ripristinarono le gerarchie con un 2-0. Per l’Eibar il pareggio dell’andata era già tanto.

Fatto sta che l’anno scorso dopo una stagione al di sopra di ogni aspettativa la Sociedad Deportiva Eibar otteneva la promozione per giocare la Liga nella stagione 2014/2015. L’esplosione di felicità nel piccolo centro basco però durò poco perché una assurda regola metteva il bastone tra le ruote dei rossoblu: per una legge spagnola tanto assurda quanto incomprensibile l’Eibar – pena la retrocessione in Segunda B – era costretta a portare il suo capitale sociale a oltre 2 milioni di euro, cifra impensabile per una squadra che già faceva fatica a tirare avanti con 400mila euro. Così la società decise di lanciare l’azionariato popolare, emettendo quote societarie dal valore di 50 euro ciascuna, e con un limite massimo di quote acquistabili. «Così Eibar non diventa preda di qualche sceicco arabo» disse il presidente Aranzabal.

In alcune settimane il passaparola e il crowdfunding portarono alla cifra richiesta. Giunsero soldi da 50 paesi nel mondo, e oltre un terzo delle quote vennero acquistate da cittadini residenti ad Eibar. Così la squadra poté iscriversi alla Liga alla pari di Barcellona e Real Madrid, che vantano un bilancio 35 volte superiore rispetto a quello della piccola neopromossa.

L’Eibar messa in piedi dall’azionariato popolare formò la sua squadra, piena zeppa di giocatori ottenuti con la formula del prestito e di ragazzi pescati dalle serie minori e mantenendo l’ossatura della formazione che conquistò il campionato di seconda divisione nell’anno precedente. Dall’Italia giunse anche Piovaccari, attaccante che ha girato mezze squadre di serie B con alterne fortune. L’acquisto più dispendioso – l’attaccante esterno destro Dani Nieto – costò 75mila euro, una vera nullità in confronto ai 94milioni con cui poche settimane prima il Barcellona acquistò dal Liverpool il centravanti Luis Suarez.

Ma nel calcio, a volte, la dignità e la serenità di chi non ha nulla da perdere possono fare cose grandi. E infatti nella prima metà del campionato l’Eibar ha stupito tutti, vincendo le partite che doveva vincere, avvicinando la zona Europa, e rendendo il minuscolo stadio Ipurua (6000 posti a sedere e partite visibili anche dai palazzi vicini) un mini-fortino. E poco importarono i tre gol subiti dal Barcellona ad inizio campionato: non erano quelle le partite da vincere, e comunque già era tanto sfidare gli azulgrana.

Pure un exploit di Gaizka Garitano, l’allenatore delle due promozioni consecutive, contribuì a inorgoglire i tifosi della piccola città basca: durante una conferenza stampa Garitano, stizzito per le lamentele di alcuni giornalisti, precisò che come consuetudine alle domande poste dai cronisti in lingua basca avrebbe risposto in lingua basca, mentre a quelle poste in spagnolo avrebbe risposto in spagnolo. Il conseguente brusio infastidito di alcuni giornalisti fece alzare Garitano dalla sedia interrompendo la conferenza stampa. Gesto che fu apprezzatissimo dai tifosi dell’Eibar e non solo e che fece tornare a discutere dell’eterna questione linguistica e culturale sempre di attualità nelle città di Euskal Herria.

A lungo andare però la piccola formazione basca ha finito la benzina, e l’entusiasmo dei tifosi fu soppiantato dal timore della retrocessione. Mentre il Barcellona volava avvicinandosi ai 100 punti stagionali l’Eibar non riusciva a metterne assieme più di 8 nel girone di ritorno. Mentre Cristiano Ronaldo si apprestava a vincere il Trofeo Pichichi (così è chiamata la classifica marcatori in memoria del bomber bilbaino degli anni ’20) con 48 gol realizzati, l’Eibar chiudeva la stagione con soli 34 gol segnati complessivamente. Nove dei quali messi a segno da Arruabarrena, lungagnone col numero 10 che in Primera division prima di quest’anno non aveva mai giocato, e che nelle serie minori se la cavava meglio che poteva.

La retrocessione è giunta sabato all’ultima giornata, e la debolezza di un organico decisamente modesto per affrontare la Liga di certo ha pesato molto. Gaizka Garitano, dichiarando di aver mancato l’obiettivo, ha rassegnato le dimissioni dopo l’ultima partita. Ma se l’Eibar non è andato oltre il terzultimo posto finale, sicuramente merita una menzione importante nel non contemplato torneo della dignità.

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