Ha inaugurato quattro volte la stessa autostrada ma i veneti non stanno lì a sottilizzare. Nemmeno sulle mazzette
Di Enrico Baldin
Come da facile previsione Zaia ha stravinto le elezioni regionali venete. Difficile pensare che la Moretti avrebbe potuto metterlo in difficoltà, specie se si vive, si lavora, si respira il Veneto di tutti i giorni. La popolazione veneta non è mai stata molto ricettiva rispetto a parole fumose, linguaggi astratti, generiche evocazioni alla speranza e ai buoni sentimenti: pertanto era comprensibile fin da subito che la Moretti non avrebbe fatto presa e che la sua campagna elettorale partita in anticipo, ma subito col piede sbagliato, non avrebbe sfondato nella terra della laboriosità e dei valori inclini alla cultura leghista.
Zaia piglia ben più del doppio dei voti della Moretti che supera appena il mezzo milione di voti. La candidatura di Tosi con ben sei liste a supporto, non fa neppure il solletico all’ex Ministro dell’agricoltura che riesce a vincere contro il primo cittadino scaligero pure nella sua città, Verona.
Eppure il successo verde in Veneto ha i suoi lati oscuri, che non sono stati messi in risalto da nessuno: rispetto a cinque anni fa, quando Zaia vinse sul debole sfidante del centrosinistra Bortolussi, ha lasciato per strada 420mila voti di cui solo una parte sono andati a Flavio Tosi. Ma ciò che emerge con più evidenza è il fatto che la lista Zaia è di gran lunga la più votata ed ha percepito oltre centomila voti in più della Lega Nord che ha preso il 17,8%. Tutto questo tenendo conto che Forza Italia – che aveva governato il Veneto per tre legislature con Galan – ha perso quasi mezzo milione di voti passando dal 25% al 6% in cinque anni.
E’ il Veneto dell’uomo solo al comando: in queste elezioni Zaia, ma in altre fattispecie lo sono stati Gentilini e Bitonci, molto più popolari rispetto al partito che li candidava. Il Veneto della delega fiduciosa a colui che in questi anni ha innanzitutto curato la propria immagine, andando in tv solo dopo essersi assicurato di non avere alcun interlocutore scomodo. In questi anni Zaia ha portato avanti le opere già previste dal suo predecessore Galan, enfatizzando quell’immagine del “fare” tanto cara ai veneti, più attenti al “quanto” che al “cosa” o al “come” fare. Un’immagine fotografata bene ad una recente festa dell’agricoltura a cui Zaia ha partecipato facendosi ritrarre alla guida di un trattore.
Salta all’occhio il moltiplicarsi di cerimonie di taglio di nastro fatte a beneficio della stampa e allontanando a distanza di sicurezza possibili motti di critica provenienti da comitati ambientalisti, demonizzati dal sentir comune come la gramigna è demonizzata dai contadini veneti. Esempio eloquente è il numero di cerimonie fatte per la Superstrada Pedemontana Veneta che fino ad ora sebbene sia pronta solo in minima parte, è stata inaugurata già quattro volte.
I veneti non hanno dato peso alle tante inchieste della magistratura. Sì perché qui l’antimafia è di casa, come pure la Corte dei Conti. Non è solo il Mose ad essere al centro delle indagini, con l’ammontare del suo carico di mazzette che – stando a quanto scoperto dai magistrati – è il più alto nella storia italiana (oltre dieci volte l’importo corruttivo del celebre scandalo Enimont). Ma sono molte altre le infrastrutture già costruite o in fase di costruzione osservate dai magistrati in cui i conti non tornano.
Eppure nella ricca regione del nordest italiano di mazzette e di Presidente di Regione finiti in galera si è accumulata una certa esperienza. Tornando indietro con gli anni chi ha i capelli bianchi può ricordare il defunto Carlo Bernini detto il doge che evitò la galera ma non la condanna per corruzione nell’ambito dell’inchiesta tangentopoli: come altri della DC aveva intascato mazzette per pilotare gli appalti per i lavori di ampliamento del tratto veneto della autostrada A4. Pure il successore di Bernini alla presidenza del Veneto, Gianfranco Cremonese anch’egli della DC, venne arrestato e condannato per la stessa ragione: mazzette. Storia più recente invece quella di Giancarlo Galan, per quindici anni ai vertici regionali, che ha saputo far fruttare questo tempo per ricoprire il Veneto di asfalto, cemento e debiti. E che come nessun altro el ghe ga magnà come si dice da queste parti, finendo per patteggiare.
Il consenso di Zaia è rimasto quindi quasi granitico nonostante l’imbarazzante predecessore e sebbene nella sua giunta del quinquennio 2010-2015 siano finiti personaggi come Renato Chisso – compagno di merende di Giancarlo Galan – che da assessore alle infrastrutture è finito dietro alle sbarre per motivi analoghi a quelli di Galan; e Remo Sernagiotto che da assessore al sociale è finito sulla graticola nelle scorse settimane per quei fondi regionali per le cooperative sociali che di sociali non avevano alcunché (birrerie, discoteche o stabili vuoti al posto di centri per disabili o per ex detenuti).
In tutti i casi Zaia, che comunque non è mai risultato indagato, si è detto estraneo e sorpreso. Non sapeva nulla di ciò che stavano facendo i suoi compagni di Giunta e ben che meno aveva il minimo di sospetto di ciò che stava accadendo. Insomma, gliel’han fatta sotto il naso senza che lui se ne accorgesse. Della serie “io non c’ero e se c’ero dormivo”. Tanto da queste parti ti votano comunque.