Per Atene non solo crisi finanziaria ma anche umanitaria: in migliaia in fuga dalla guerra sbarcano sulle isole dell’Egeo. Lesbo come Lampedusa
Oltre ai pessimi fondamentali in economia, Grecia ed Italia condividono qualcos’altro: l’emergenza rifugiati. Di quella greca, però, se ne è parlato poco fino ad ora, forse proprio perché Atene è sotto i riflettori per altri motivi e si vuole evitare di comprometterne la stagione turistica alle porte con un’allarme che, insieme a quello per le casse delle banche al lumicino, potrebbe erodere in maniera determinante quel 17 per cento di Pil che proprio dal turismo arriva sulle coste dell’Egeo. Le cronache sono di questi giorni, ma già da fine Marzo il sindaco di Lesbo aveva lanciato un appello per ottenere un supporto adeguato per gestire la situazione sempre più emergenziae ed un numero sempre maggiore di rappresentati della stampa internazionale arrivano sull’isola per documentare quello che sta accadendo e testimoniare gli sforzi che le autorità e la popolazione, tra grandi sacrifici, sia per le difficoltà economiche che per l’imponente dimensione di sbarchi di migranti, stanno facendo per gestire questo drammatico fenomeno. Di seguito vi proponiamo la traduzione di una cronaca del fenomeno dall’isola di Lesbo, che è la interessata dagli sbarchi, ma sono coinvolte anche Chios e Kos, che lascia ben poco spazio all’immaginazione.
Isola greca inondata dall’afflusso di rifugiati, nessuna soluzione in vista
[di Elena Becatoros – AP]
Solo a Lesbo, la terza isola della Grecia e una delle mete turistiche più gettonate dell’Egeo, dall’inizio dell’anno sono sbarcate 25mila persone, su una popolazione complessiva di 80mila abitanti, quasi la metà dei 55mila migranti giunti complessivamente negli stessi mesi nell’intero territorio greco. Le cifre fornite dall’autorità greche sono chiare: rispetto allo stesso periodo dello scorso anno l’incremento è stato del 620 per cento. Si tratta prevalentemente di persone in fuga da Siria, Iraq e Afghanistan, spesso interi nuclei familiari, che dalle coste turche, imbarcati in canotto, raggiungono le spiagge orientali dell’isola dopo un viaggio in mare di circa 3 ore. Inutile dire che, anche grazie alla crisi economica e alla scarsissima disponibilità finanziaria di Atene, le autorità locali sono ormai allo stremo e faticano a sostenere i costi dell’emergenza.
“In questo momento è qualcosa di irreale… il numero dei migranti che arriva è enorme – dichiara Antonios Sofiadelis, comandante della Guardia Costiera di Lesbo e responsabile locale di Frontex, l’Agenzia Europea per il controllo delle frontiere – stiamo facendo il nostro lavoro oltre le nostre capacità 24 ore al giorno 7 giorni a settimana. Ma questo accade ogni giorno e credo si possa comprendere comela fatica cresca”. Anche perché come sotiene il comandante, ci vorrebbero più persone e navi per fronteggiare l’emergenza.
Un video dell’Unhcr documenta lo sbarco di profughi sulla costa nord dell’isola di Lesbo (10 giugno 2015)
Le persone che arrivano sono i prevalenza di ceto sociale medio alto, professionisti come ingegneri, avvocati o tecnici, tale da avere la disponibilità di denaro necessaria per affrontare il viaggio, e portano con sé l’intera famiglia, neonati, anziani, donne incinta.
“Siamo fuggiti dalla guerra… vogliamo solo sentirci umani, come tutta la gente – dice Lukman Muhammed Ali, siriano – Voglio sentirmi un essere umano, essere libero, come tutti”.
Chi viene soccorso dalla Guarda Costiera e chi sbarca sulle spiagge della costa est di Lesbo sono i più fortunati perché possono raggiungere facilmente i capoluogo Mytilene. Diversa la sorte di chi arriva sulla costa nord e deve affrontare un percorso di 60 chilometri sulle montagne con la complicazione che per la legge greca dare un passaggio, con un mezzo pubblico o privato, ad un migrante senza documenti è un reato penale.
“È come se a Lesbo ogni giorno nascesse un nuovo villaggio – dice sconsolato Spyros Galinos, sindaco dell’Isola ed esponente di Nuova Democrazia – il numero dei migranti ci sta sopraffacendo”.
In quella che una volta era una caserma nei pressi di Moira avviene la registrazione e la prima sistemazione dei nuovi arrivati, ma la struttura ha rapidamente raggiunto la sua massima capacità di 600 ospiti e ci si arrangia con le tende. Un’altra tendopoli è in un’area pubblica dismessa nei pressi del capoluogo, ma è strapiena le condizioni di vita lì sono ancora più difficili.
La mappa dell’isola di Lesbo: gli sbarchi avvengono sulle spiagge orientali e settentrionali più vicine alle coste turche
“Se il flusso non si arresta, non possiamo farcela – confessa il sindaco Galinos – sto facendo ogni sforzo, ma creare una struttura che sistema 400 persone ed il giorno dopo ne arrivano 700”.
La comunità locale fa quello che può. Un gruppo ha organizzato un servizio di trasporto che sfidando la legge trasporta gli immigrati dal nord dell’isola al porto più vicino. Un prete, Padre Stratis, raccoglie cibo vestiti e offre posto per dormire a chi affronta il viaggio di due giorni a piedi attraverso le alture e ricorda che molti degli abitanti dell’isola sono essi stessi discendenti di rifugiati, di coloro che vissero nel 1922 lo scambio di popolazione tra Grecia e Turchia. “Lesbo è sempre stata sensibile alla questione dei rifugiati – dice il prete – le persone hanno le ferite dei rifugiati sulla pelle”.
Uno dei problemi maggiori è rappresentato dalla lentezza nella registrazione dei migranti. Nei campi affollati si rischia costantemente la rissa per i motivi più futili. È accaduto, per esempio, che dopo essersi accapigliati con gli afghani per una questione legata alla ricarica dei cellulari – tre persone in ospedale – gli iracheni ed i siriani abbiano manifestato al porto perché la sicurezza del campo, garantita sempre dalla Guardia Costiera, è intervenuta manganellando indiscriminatamente. Oppure che ci siano stati degli scontri con la sicurezza in seguito ad una dimostrazione dei richiedenti asilo che protestavano per avere loro documenti. Il problema è che a fronte di arrivi quotidiani tra le 700 e le mille persone le autorità sono in grado di registrane massimo 400 al giorno. “Il numero dei migranti cresce ma non siamo in grado di registrare e lasciare andare più persone – si giustifica Dimitris Amoutziadas, ufficiale di polizia e responsabile del centro di registrazione – e questo è un problema”.
Un video di Middle East Eyes documenta gli sbarchi e le condizioni di vita dei profughi a Lesbo
Per i migranti ed i rifugiati, molti dei quali hanno vissuto orribili violenze in patria, le condizioni di vita difficili e l’incertezza per il proprio futuro son certo di più di quanto possano sopportare. “Per tre giorni abbiamo dormito in strada, tutti, con i bambini – racconta Jamil Moghrabi, di Aleppo, in fuga con i suoi 5 figli e la famiglia della cognata – in Siria c’è la guerra e ce ne siamo dovuti andare. La sua famiglia ancora dorme per strada perché per un errore burocratico due suoi figli non sono stati registrati. “Non posso andarmene senza i miei figli – piange disperato Jamil – cosa devo fare?”.
[traduzione di Sergio Braga]