I marines americani a corto di naviglio, oltre alle basi overseas, pensano di prendersi anche le navi degli alleati. A partire dall’Italia
di Sergio Braga
La flotta gli sta stretta, agli Usa. I Marines fanno i conti con la mancanza di navi della marina e valutano la possibilità di dislocare le proprie forse a bordo di imbarcazioni straniere per rispondere alle crisi globali in Europa e in Africa occidentale. A riferirlo è Usa Today e, per quanto credibile come ipotesi, la notizia sembra suonare quasi come “vai avanti tu che a me viene da ridere“. C’è da chiedersi, infatti, in questo condominio sotto quale giurisdizione saranno, da una parte, le navi, e, dall’altra, i militari americani, ma, soprattutto, chi deciderà i modi, i tempi e gli obiettivi militari in questa strana forma simbiosi strategica.
Secondo il media americano, comunque si tratta di un espediente temporaneo per imbarcare i Marines in prossimità delle zone di crisi fino a quando non saranno disponibili navi americane, ha spiega il Generale di Brigata Norman Cooling, responsabile dei Marines per l’Europa e l’Africa. Lo scopo è evidente, in periodi di crisi i marine sono la forza d’assalto incaricata di evacuare ambasciate e di difendere cittadini ed interessi americani, come è accaduto nel 2012 a Bengasi in Libia con l’attacco che ha ucciso 4 cittadini americani incluso l’ambasciatore.
“Non ci sono al momento sostituti per le navi anfibie americane”, spiega il generale Cooling nell’intervista rilasciata a Usa Today, che aggiunge “stiamo valutando anche altre alternative”.
I Marines hanno lavorato con Spagna, Italia, Gran Bretagna ed altri stretti alleati per verificare la disponibilità di navi straniere per personale militare ed aerei statunitensi.
L’Italia è però allo stato attuale uno dei Paesi europei con la flotta più moderna, adeguata alle esigenze americane, con 3 navi anfibie d’assalto, la San Marco, la San Giusto e la San Giorgio, dotate tutte di ponte di volo per veicoli a decollo ed atterraggio verticale, e due portarei/aeromobili STOVL, ovvero per aeromobili con decollo ed atterraggio corti, la Cavour e la Garibaldi. Inoltre, la sua posizione e la costante presenza, per il pattugliamento, delle acque prospicienti il nord Africa, uno dei teatri più caldi del momento, farebbero pensare ad un impegno intenso del nostro Paese in questo progetto di ridislocamento dell’élite delle forze d’assalto anfibie Usa.
Queste unità verrebbero comunque utilizzate per azioni su scala limitata e non per attacchi anfibi di rilievo. Si tratterebbe di imbarcare raggruppamenti di 100, 120 Marines con 3 o 4 Osprey (si tratta di aeromobili militari a decollo verticale per il trasporto leggero) che volano come aeroplani ma decollano ed atterrano come un elicottero.
Un veivolo a decollo verticale MV22 Osprey come quelli utilizzati dai Marines Usa per le proprie operazioni
La marina americana ha attualmente 30 navi anfibie, ma gliene occorrerebbero 38 per la piena operatività sui teatri bellici e questa non potrà essere raggiunta prima del 2028, secondo fonti dell Us Navy, per rispettare i vincoli di bilancio. Molti critici sostengono che sia stata la stessa marina americana a permettere il declino delle sue capacità belliche anfibie. La maggior parte della forza d’attacco anfibia è attualmente impiegata nel Pacifico – per contrapporla all’espansionismo cinese – e in medio oriente in risposta ad una serie d’innumerevoli crisi.
I combattimenti in Ucraina ed il caos libico hanno aumentato le preoccupazioni sulla necessità di disporre di forze in grado di rispondere con rapidità ad eventi in Europa ed Africa.
Gli Stati Uniti hanno dislocato forze di terra in Spagna, Italia e altrove, in luoghi che sono in prossimità delle aree di crisi in Africa. Ma i Marines imbarcati sono in genere più vicini all’azione e rispondere in modo più veloce.
Il Generale Cooling ha comunque spiegato che occorrerà almeno un anno prima che degli accordi consentano il regolare dislocamento di Marines e dei loro mezzi su navi straniere.
In aggiunta ai requisiti tecnici, come verificare la capacità delle navi di ospitare gli aeroplani e gli equipaggiamenti americani, gli Usa dovrebbero raggiungere degli accordi con ciascun Paese o operare sotto l’autorità della Nato.
Insomma, non è ancora chiaro quali saranno i reali sviluppi del progetto della Marina America, ma pare evidente che continuino a considerarci il cortile di casa, questa volta senza neppure metterci la faccia, pardon, le navi.