La popolazione dell’enclave spagnola non vede, non sente e non parla dei migranti. Ma centinaia ogni giorno tentano di entrare nella “fortezza Europa”
da Ceuta, Andrea Pettrachin
Qualche chilometro prima della frontiera tra Marocco e l’enclave spagnola di Ceuta, un cartello informa i passanti che questo avamposto della Spagna in terra africana è un luogo privilegiato per chi desideri osservare la migrazione annuale degli uccelli provenienti dallo Stretto di Gibilterra, la via più corta dall’Africa verso l’Europa.
La popolazione di Ceuta preferisce però mantenere il silenzio e non attirare l’attenzione su un altro fenomeno migratorio che avviene nell’enclave, quello umano. Lungo la stessa frontiere sono state erette barriere di grate e fildiferro con l’obiettivo di bloccare il quotidiano passaggio dei migranti africani che fuggono dalla fame, dalla disperazione e, molto spesso, dai conflitti armati nei paesi d’origine.
Ciò che attira l’attenzione su Ceuta sono le sue sorprendenti contraddizioni. La città, con poco più di 80mila abitanti su 18,6 chilometri quadrati, orgogliosamente spagnola dal 1668, dà l’impressione di voler vivere come se i migranti africani e i loro tentativi di entrare nell’enclave non esistessero.
Il bambino nella valigia
Un silenzio che si è rotto lo scorso maggio, quando una macchina ai raggi x nella dogana di frontiera ha scoperto Abu, un bambino di otto anni originario della Costa d’Avorio, dentro la valigia che il padre voleva far entrare nell’enclave spagnola. E’ una delle ultime strategie, più o meno ingegnose, che utilizzano i migranti ammassati nei boschi marocchini vicini alla frontiera spagnola con il fine di trapassare la cosiddetta “fortezza Europa”.
Ceuta è uno dei principali “portoni” che dal Nord Africa conducono in territorio Ue, un portone chiuso alla fine degli anni ’90 quando le autorità spagnole iniziarono a costruire intorno all’enclave due barriere parallele di sei metri di altezza sormontate da filo spinato, oltre ai posti di controllo e una strada tra le due barriere con cabine per le ronde di polizia. Stessa cosa accade a Melilla, l’altra enclave spagnola in Africa.
Tanti modi per emigrare… e morire
Pur non richiamando l’attenzione dei media, come nel caso di Abu, ogni giorno giovani migranti africani, quasi tutti tra i 15 e i 30 anni, tentano di raggiungere la terra spagnola in forme pericolose, tanto o più quella scelta dal padre di Abu.
La maggioranza ci prova via mare, dato che Ceuta si trova nella penisola Tingitana, sulla riva africana dello Stetto di Gibilterra, ed è bagnata a nord, est e sud dal Mar Mediterraneo. A volte imbarcati su lance, altre nascosti sotto canotti come quelli con cui giocano i bambini sulla spiaggia, altre ancora usando camere d’aria degli pneumatici.
Nel febbraio 2014, 15 africani sono morti annegati dopo essere stati raggiungi dalle pallottole di gomme delle guardie di frontiera. Sono stati uccisi.
Altri provano ad attraversare la frontiera facendosi piccoli piccoli in improbabili nascondigli ricavati in vecchie automobili, altri provano perfino a scalare le recinzioni.
Ma per l’opinione pubblica locale tutto questo non esiste.
Il centro di permanenza temporanea per gli immigrati, dove vengono ammassati tutti gli africani che provano ad entrare nell’enclave, è una struttura enorme, praticamente nascosta e impossibile da vedere da qualsiasi punto della città, o dalle colline dietro di essa.
Il radar funziona in silenzio e senza sosta sulla cima del monte Hacho, per captare qualsiasi migrante che tenti di entrare nell’enclave. Ma molti degli abitanti della zona assicurano di non aver mai visto le enormi barriere che si elevano tra le colline, appena a quattro o cinque chilometri dalla città di Ceuta.
Una popolazione di caste
Da un punto di vista demografico l’enclave è particolare, quasi il 50 per cento della popolazione è marocchina o di origini marocchine, e si divide in qualcosa di simile alle caste, ben stabilite e piuttosto rigide.
La maggiore e più ricca delle comunità è quella spagnola, di norma conservatrice, religiosa e attaccata alle tradizioni. Il Partito Popolare (conservatore) governa la città da decenni e si oppone a qualsiasi cambiamento dello status quo. Così, per esempio, l’arabo non si insegna nelle scuole.
Il secondo gruppo è quello ceuto-marocchino, di cui fanno parte sudditi spagnoli di origine marocchina o da sudditi marocchini con residenza e permesso di lavoro.
Alcuni di questi ceuto-marocchini hanno fatto grandi fortune grazie al contrabbando di merci,
ma molti vivono nel quartiere impoverito di El Principe, dove gli attriti con la popolazione spagnola a volte sono gravi.
Quest’ultimo sottogruppo comprende un piccolo ma importante numero di bambini apolidi, nati nell’enclave spagnola da genitori marocchini. In conseguenza della scadenza dei permessi di residenza dei loro genitori, che non hanno avuto la possibilità di registrarne la nascita in Marocco, questi bambini vivono in territorio spagnolo in una situazione di illegalità, non esistono.
Nessuno di questi bambini e bambine ha accetto alla scuola pubblica, nonostante la legge spagnola stabilisca il diritto all’educazione di tutti i bambini in territorio spagnolo, al di là della nazionalità o situazione giuridica.
Il terzo gruppo è quello dei transfrontalieri, marocchini e marocchine che risiedono per lo più nella città di confine di Fnideq e che, ogni giorno, attraversano la frontiera per lavorare a Ceuta, comprare o vendere prodotti al mercato nero. Un accordo sottoscritto dal governo di Spagna e il Marocco negli anni ’60 legifera che ciò che una persona può caricare alle sue spalle è esente da diritti doganali.
Un quarto gruppo è quello dei “negri”, la casta dei migranti che la città tenta di ignorare, nonostante siano la fonte principale delle sue entrate: i fondi che lo stato spagnolo e l’Unione europea destina alle autorità locali, e i numerosi posti di lavoro nel settore pubblico e della sicurezza.
Ceuta è soprattutto una postazione militare
La quantità di polizia, guardia civile e militari che pattugliano o, semplicemente, passano per le poche strade dell’enclave è impressionante, così come il numero di centri di addestramento militare realizzato sul territorio.
Il mare è pattugliato con discrezione ma costantemente dalle lance dell’esercito e della polizia, di Spagna e del Marocco.
Qui persiste lo spettro della morte, la morte di molte persone che provano ad attraversare questa frontiera, persino il nome della montagna marocchina più vicina a Ceuta, Jebel Moussa, è stata ribattezzata Mujer Muerta, la donna morta.
Fonte: Ips, traduzione Marina Zenobio