Dopo l’addio restano più porte bloccate che spiragli. L’Europa a due velocità è più vicina
di Maurizio Zuccari
Sarà perché l’hanno sempre accusato di non dire mai qualcosa di sinistra. Sarà per questo, una resipiscente presa d’atto delle proprie radici, ma una roba così uno non se l’aspettava da uno che per ridare senso all’Europa s’è messo a bombardare Belgrado. Certo è che il video con cui Massimo D’Alema – sì, lui, in baffetto e cipiglio – dichiara papale come e perché dei 250 miliardi finora sborsati dall’Europa pochini finiscono nelle tasche dei grassi pensionati greci e assai di più nelle banche tedesche, è talmente forte da far girare la testa e il web, farsi virale. E virale è, sulla stampa crossmediale, la vittoria dell’oxi al referendum greco, per niente scontata al punto d’aver provocato le dimissioni dell’ex premier Antonis Samaras dalla guida di Nuova democrazia, il principale gruppo d’opposizione a Tsipras. Di cui molti paventavano l’azzardo voluto al solo fine di sparigliare tutto come ultima carta d’un impossibile negoziato.
Per venire incontro all’Eurogruppo si dimette Varoufakis
Ma altre sono le dimissioni che tengono banco oggi, all’ombra del Partenone. Yanis Varoufakis se n’è andato, e questo ha sorpreso un po’ tutti. Ma come, vinci e lasci tutto, come se avessi perso? Una mossa spiazzante e fortemente mediatica. Al punto che la sintesi iconica della nuova alba (non certo dorata) greca è tutta lì, tra quella piazza in festa, percorsa da cori, canti e ouzo e il mesto tweet – gioia della comunicazione politica d’alto e basso bordo – con cui quell’uomo dal profilo degno di Checco Zalone annuncia di farla finita. Lascia il mastino antiterroristi Ue, quello che solo poche ore prima del voto aveva tacciato i “terroristi di Bruxelles” di avere nei cassetti, da mesi, un piano per farla finita con un governo sordo ai loro ricatti. Rimessa la giacca sulla maglietta a maniche corte con cui ha battuto l’ultimo colpo ai tecnoburocrati dell’Ue e fatto sospirare più d’una ammiratrice, l’ex ministro delle Finanze scende le scale di palazzo Maximos, sede del governo greco, e sfila via in sella alla sua Yamaha.
Un prezzo da pagare ai Tusk, Junker, Schultz eccetera perché la Grecia possa ancora sedere ai tavoli dei negoziati con la mano tesa e la speranza di non vedersi sputare sul palmo? Forse. Certo è che “Checco” Varouf non era più tanto benvisto neppure tra i suoi, a quanto pare. Un’icona dura e (un po’ meno) pura, ma proprio per questo scomoda. Ingombrante, da sacrificare sull’altare del bisogno. Si vedrà nelle prossime ore se la mossa ha un suo perché o resta un sasso destinato a rimbalzare sui vetri dell’Eurotower. Perché la realtà – non verità – che nessun ballo a piazza Syntagma può far dimenticare, nonostante i cartelli inneggianti alla fine dell’austerity, è che la festa è finita e i soldi pure. I greci nella loro maggioranza non si piegano al ricatto ma tutti, indistintamente, chiedono all’Europa di continuare a tenere aperti i cordoni della borsa. Se questo avverrà, e in che modo, si vedrà. L’abbandono di Varoufakis può essere un viatico, ma lascia più porte bloccate che spiragli, al di là dell’immediata liquidità necessaria per uscire dall’emergenza e dell’ennesima montagna d’euro carbonizzata dalle borse in poche ore che sarebbe bastata a saldare i debiti di tutti e vivere fratelli e contenti. L’Europa a due velocità (come la rete) s’avvicina a grandi passi, e non basta un ballo di piazza a tenerla lontana, come una pantasima qualsiasi alla fine dell’inverno.