Al Vittoriano di Roma Yuri Kalyuta, l’accademico che unisce Russia e Ucraina
di Maurizio Zuccari
Rosso su rosso. Questa la cifra stilistica – e il titolo – con cui Yuri Kalyuta sbarca al Vittoriano. Fedele più alla scuola Mylnikoviana di San Pietroburgo che a reminiscenze bolsceviche, il placido figurativismo dell’accademico russo giunge a Roma, dopo aver viaggiato tra la Germania e la Cina. Quasi inevitabile, in pittura, storcere la bocca appena si pronuncia la parola accademia, e l’opera del maestro russo – accademico di Russia e docente di Belle arti nella ex capitale dell’impero zarista – ne è una riprova. Formidabile, se solo fosse nato un secolo prima, per dirla parafrasando Sgarbi. Tratti neoimpressionisti capaci di mettere assieme Manet e Monet, Velazquez e il nostro Sughi, le grandi tele di Kalyuta sono quanto di più distante da ogni avanguardismo di scuola più o meno rivoluzionaria, da ogni strizzata d’occhi alla contemporaneità. Siano ambigui interni di famiglia o efebici nudi d’atelier, o innumeri paesaggi che rivelano l’amore per l’Italia, il suo talentuoso pennello sembra essersi fermato nel tempo, in uno stile già demodé negli anni Sessanta.
Eppure, a ben guardare, nella sessantina tra oli e pastelli messi in mostra da Semyon Mikhailovsky, rettore dell’accademia pietroburghese, l’impasto d’espressionismo cromatico dove la figura tende a perdersi nello sfondo rifuggendo da ogni insidia del dettaglio, avrebbe detto Matisse, lasciano campo a un’altra considerazione. A quella voglia di mostrare la faccia bella dell’arte. Non quella del bello estetico, ché in arte come altrove lascia il tempo che trova, ma quello foriero d’una serenità forse perduta, d’una matissiana joie de vivre senza la quale ogni accidente esistenziale del mondo diventa insuperabile, e mero trascinato squallore l’esistere.
Ma un’altra, e non meno valida ragione fa di Kalyuta un artista da accogliere nel gran bazar della contemporaneità. Gli è che l’accademico, nato a Krivoi Rog, in Ucraina, l’indomani della destalinizzazione patrocinata da Kruscev, assomma in sé l’idea d’una madre Russia non matrigna e tantomeno divoratrice dei suoi figli. D’una Ucraina non terra di reprobi allo squarto in un insensato conflitto civile, ma foriera di vitalità artistica. E lui stesso, a ben guardare, non è fisicamente così distante dal suo conterraneo Kruscev, fedele corifèo dello stalinismo per divenirne, quasi suo malgrado, il più noto demolitore. Con quella giacchina stazzonata che non sarebbe spiaciuta al ferreo difensore di Stalingrado, con quelle magnifiche babbucce rosse – in tema col fondale e con la mostra – che mai Nikita avrebbe indossato. Per questo Kalyuta val bene un’esposizione. E che si sfidi la gran canicola romana per ammirarne le grandi tele fuori moda, certo, ma non per questo meno vitali. Rosse, nel buio d’attorno. Dal 23 luglio al 15 settembre, salone centrale del Vittoriano, ingresso gratuito. Info www.comunicareorganizzando.it