I limiti del soft power cinese
[di Joseph S. Nye | da Project Syndicate]
Vi proponiamo questo intervento di Joseph S. Nye, professore di Harvard, già assistente del Consiglio Nazionale d’Intelligence e consigliere del dipartimento della difesa Usa, sull’espansionismo geopolitico cinese, pubblicato su Project Syndicate. A J. S. Nye è attribuita la paternità del termine Soft Power, da lui coniato nel 1990.
Cambridge – La Cina sta facendo grandi sforzi per ampliare la sua capacità di influenzare altri paesi senza la forza o la costrizione. Nel 2007, l’allora presidente Hu Jintao disse al Partito Comunista che il Paese aveva bisogno di aumentare il suo soft power. Il presidente Xi Jinping ha ripetuto lo stesso messaggio lo scorso anno. Loro sanno che, per una nazione come la Cina, i cui crescenti poteri economici e militari rischiano di allarmare i suoi vicini inducendoli a creare coalizioni che li contro-bilancino, una strategia intelligente deve includere sforzi per apparire meno minacciosi. Le loro ambizioni di soft power, però, si scontrano con ostacoli più grandi.
Per sicurezza, gli sforzi cinesi devono dare qualche risultato. Se la Cina coinvolge paesi come membri della sua Banca Asiatica d’Investimento nelle Infrastrutture (Asian Infrastructure Investment Bank) ed elargisce miliardi di Dollari di aiuti nel corso di visite di Stato all’estero, qualche osservatore avverte che, quando arriva con il soft power, la Cina potrebbe soverchiare paesi come gli Usa. Il sinologo americano David Shambaugh, per esempio, stima che il Paese spenda all’incirca 10 miliardi di dollari all’anno in “propaganda esterna“. A confronto, gli Usa hanno speso lo scorso anno solo 666 milioni di dollari in diplomazia pubblica.
Certamente i miliardi di dollari che la Cina spende nella sua offensiva di fascino, hanno avuto solo un ritorno limitato. I sondaggi in Nord America, Europa, India e Giappone dimostrano che sull’influenza della Cina è l’opinione pubblica prevalentemente negativa. Il Paese è visto più positivo in America Latina ed in Africa, dove non ha dispute territoriali e le attenzioni ai diritti umani non sono sempre ai primi posti nell’agenda di governo. Nonostante questo, però, pratiche come quella d’importare maestranze cinesi per progetti infrastrutturali sono impopolari.
Riuscire a combinare potere economico – militare e socio – culturale in una strategia intelligente, che funzioni, non è facile.
Un Paese guadagna la sua “moral suasion” da tre risorse:
- la sua cultura, nelle aree geopolitiche in cui questa è considerata “interessante”;
- i suoi valori politici, quando sono vivi più di quanto siano quelli in Patria o all’estero;
- le sue politiche estere, quando appaiono legittime e dotate di autorità morale.
La cina ha evidenziato la sua forza culturale, ma ha dato meno attenzione agli aspetti politici che possono indebolire i suoi sforzi.
I due sono infatti fattori determinanti che circoscrivono la moral suasion cinese, come indicato dai recenti sondaggi internazionali. Il primo è il nazionalismo. Il Partito Comunista ha basato la sua legittimazione, non solo su un alto tasso di crescita economica, ma anche con gli appelli al nazionalismo. Con questa scelta ha ridotto il fascino universale del “sogno cinese” di Xi, nel momento in cui incoraggia l’interventismo nel Mar Cinese meridionale e ovunque si contrapponga ai Paesi confinanti.
Con, ad esempio, l’atto di forza esercitato da Pechino nei confronti delle Filippine per il possesso delle isole oggetto di una controversia nel sud del Mar della Cina e la contemporanea creazione di un Istituto Confuciano a Manila – la Cina ha aperto circa 500 di queste istituzioni culturali in almeno 100 Paesi – per insegnare la cultura cinese, che non può alimentare certo così tanto consenso. Le conseguenze della politica estera del Paese trovano conferma nei disordini anti-cinesi dello scorso anno in Vietnam, dopo l’installazione di un’impianto per l’estrazione petrolifera in acque oggetto di un contenzioso tra i due Paesi.
L’altro limite della Cina è la riluttanza a ricevere il vantaggio di una società civile non censurata. Come ha evidenziato l’Economist, il Partito Comunista Cinese non ha sposato l’idea che la Moral Suasion sprigioni più largamente dagli individui, dal settore privato e dalla società civile. Piuttosto, ha blindato la visione secondo cui il governo è la fonte primaria del Soft Power, promuovendo antiche icone culturali che pensa possano avere impatto globale, piuttosto che usare gli strumenti della propaganda.
Nella panoramica dei media di oggi l’informazione è abbondante. Quella che scarseggia è l’attenzione, che dipende dalla credibilità e dalla propaganda, e ll apropaganda del governo è raramente credibile. Per ogni sforzo che la Cina faccia per posizionare l’Agenzia di giornalistica Xinhua e la Televisione Centrale Cinese come competitors della CNN e della BBC, la fragile propaganda si dissolve in breve.
Gli Stati Uniti, di contro, ricavano buona parte del loro soft power non dal governo, ma dalla società civile – tutto, dalle Università e dalle Fondazioni, a Hollywood e alla cultura pop. La cina non ha certo un’industria culturale globale della scala di Hollywood o università in grado di rivaleggiare con quelle americane. Ancora più importante, le mancano le tante organizzazioni non governative che generano la maggior parte della moral suasion americana.
Oltre a generare sentimenti di amicizia e a promuovere l’immagine del Paese all’estero, le sorgenti non governative di soft power possono talvolta compensare le politiche impopolari del governo – come l’invasione Usa dell’Iraq – attraverso le loro reazioni critiche e non censurate. La Cina, invece, visto indebolire i propri successi di soft power dalle politiche del governo.
Indubbiamente, il fallimento interno sugli attivisti per i diritti umani ha diminuito il soft power guadagnato con le le Olimpiadi di Pechino del 2008. Ed i benefici dell’Expo di Shanghai nel 2009 sono stati rapidamente resi vani dall’arresto del Premio Nobel per la Pace Liu Xiaboo e dagli schermi televisivi di tutto il mondo che trasmettevano scene di una sedia vuota alle cerimonie di Oslo. Gli esperti di marketing definiscono questo “calpestare il tuo messaggio“.
Il programma di aiuti cinese è spesso costruttivo e di successo. La sua economia è forte e la sua cultura tradizionale è ampiamente ammirata. Ma se il Paese comprende il suo enorme potenziale di soft power, dovrà ripensare le sue politiche interne ed estere, limitando le sue rivendicazioni nei confronti dei vicini ed imparare ad accettare le critiche rispetto alla piena liberazione del talento della sua società civile. Finché la Cina tiferà per le fiamme del nazionalismo e terrà strette le redini del controllo di partito, il suo soft power resterà sempre limitato.
[traduzione di Sergio Braga]