Da settembre, se come previsto sarà approvata la legge di depenalizzazione, le donne in Cile potranno ricorrere all’aborto, ma solo terapeutico e in tre casi
di Marina Zenobio
Insieme a Salvador, Nicaragua, Honduras, Haiti, Suriname, Andorra, Malta e, ovviamente, allo Stato Vaticano, anche il Cile ha mantenuto finora l’assoluta impossibilità per una donna di ricorrere all’aborto, neanche terapeutico in caso di rischio di vita. Le donne cilene che finora si sono trovare ad affrontare una gravidanza indesiderata o pericolosa dovevano recarsi all’estero, o affidarsi all’aborto clandestino con tutte le conseguenze, non ultime la morte o il carcere, oppure portare avanti la gravidanza contro la propria volontà.
Forse da settembre potrebbe non essere più così, almeno per quanto riguarda gravidanze frutto di violenza sessuale, gravi rischi per la madre, impossibilità fetale di sopravvivere al parto.
Martedì scorso la Commissione parlamentare cilena per la salute ha detto sì alla discussione per legiferare sull’interruzione della gravidanza. Il progetto di legge, che contempla appunto i tre casi suddetti, sarà votato a settembre.
Ma non è detto, perché il voto in Commissione sanità è stato molto conflittuale anche se si è concluso con 8 voti a favore e 5 contrari a discutete il progetto di legge presentato al Congresso il 31 gennaio scorso, dalla stessa presidente socialista Michelle Bachelet.
Il progetto di legge prevede la depenalizzazione dell’aborto in caso di “rischio presente o futuro” per la vita della madre, “malformazioni incompatibili con la vita extrauterina, e “stupro”. Per realizzarlo sarà necessaria la diagnosi di un medico, ratificata da un altro specializzato, con una eccezione: nel caso che la donna corra imminenti rischi per la sua salute, sarà sufficiente la diagnosi di un solo medico.
Certo siamo lontane da quanto chiesto dalle organizzazioni di donne cilene che fuori il parlamento protestavano e chiedevano un aborto libero, legale, sicuro e gratuito. Per ora si tratta di depenalizzazione nei tre casi indicati, quindi di aborto terapeutico.
Ma è comunque un passo avanti in un paese dove, per buona parte del secolo scorso, l’aborto terapeutico era previsto dalla legge, ma poi la dittatura di Augusto Pinochet aveva trasformato l’aborto in un gravissimo delitto punito con il carcere. E dalla fine della dittatura, cioè dal 1990, nessuna iniziativa era stata presa per ripristinare almeno l’aborto terapeutico.
In questi 25 anni di democrazia che non è riuscita a modificare una legge così restrittiva ereditata dalla dittatura, le donne cilene hanno comunque continuano ad abortire ma in condizioni prive di sicurezza in ogni senso. Pur se complesso avere cifre vicine alla realtà, si stima che ogni anno, in Cile, 70 mila donne fanno ricorso all’aborto clandestino, come riportato dall’annuario 2012 sui Diritti Umani redatto dall’Università Diego Portales di Santiago, l’ultima ricerca disponibile in materia.