12 agosto del ’44. SS tedesche, accompagnati da fascisti italiani, arrivarono nel paesino toscano di S.Anna di Stazzema e trucidarono 560 persone. Oggi a ricordare anche l’ambasciatore armeno
di Mirna Cortese
Oggi, tra le diverse personalità presenti a Sant’Anna, ci sarà anche l’ambasciatore della Repubblica Armena, Sargis Ghazaryan, per ricordare come la strage voluta cento anni fa dal governo turco fu il primo genocidio ad aprire il terribile secolo del Novecento.
Perché i 71 anni dall’eccidio di Sant’Anna di Stazzema oggi assurge a simbolo di tante altre stragi, coincidendo con il vent’anni di Sebrenica, i 70 anni dal lancio dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki, il centenario del genocidio armeno. Moniti degli orrori che provocano le tragedie della guerra.
Per questo è di importanza fondamentale “tramettere ai giovani i valori della pace con la consapevolezza della nostra storia, diffondere la conoscenza dei tragici avvenimenti del 12 agosto del 1944, per sensibilizzare sulle nefaste conseguenze della guerra” è il messaggio lanciato da Maurizio Verona, sindaco della cittadina toscana.
I nazisti, a Sant’Anna, trucidarono 560 civili, donne, bambini, anziani. Non si trattò di una rappresaglia ma di un atto terroristico premeditato, un crimine contro l’umanità.
L’obiettivo dell’azione tedesca era di distruggere il paese per rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.
Nell’agosto del 1944 il comando tedesco aveva qualificato Sant’Anna di Stazzema come “zona bianca”, cioè scelta come località adatta ad accogliere sfollati, per questo in quell’estate la popolazione era di oltre mille persone.
In quei giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant’Anna mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello.
Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant’Anna, accompagnati dai fascisti collaborazionisti che fecero da guide, gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro, in quanto civili inermi, restarono nelle loro case. Le cose andarono molto diversamente
In poco più di tre ore furono massacrati 560 civili, in gran parte bambini, donne e anziani. I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano, colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico. La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva 20 giorni. La trovò agonizzante una sorella miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta, che morì pochi giorni dopo.
Il processo svoltosi al Tribunale militare di La Spezia si concluse nel 2005 con la condanna all’ergastolo di dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Fondamentali per il grosso lavoro investigativo la testimonianza dei superstiti e il ritrovamento, a Roma, nel 1994 negli scantinati di Palazzo Cesi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi “armadio della vergogna”: nascondeva da oltre 40 anni documenti fondamentali per la ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra.