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Agricoltura, un bracciante su tre nelle mani dei caporali

Un terzo di chi lavora nei campi, 100mila persone almeno, moltissime immigrate, sono nelle mani dei caporali. Ecco la mappa

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Secondo il rapporto “Terra ingiusta” dell’associazione Medici per i diritti umani, nel 2013 sono stati più di 320 mila gli immigrati, provenienti da 169 diverse nazioni, impegnati regolarmente nelle campagne italiane. Hanno svolto circa 26 milioni di giornate di lavoro pari al 23,2 per cento delle giornate dichiarate complessivamente, tra italiani e stranieri, in quell’anno. Il lavoro sommerso riguarda il 32 per cento del totale dei dipendenti del settore agricolo, di cui circa 100 mila sono sottoposti a gravi forme di sfruttamento e costretti a vivere in insediamenti malsani e fatiscenti. Da nord a sud della penisola, ecco un elenco dei principali luoghi di questo sfruttamento in agricoltura, senza considerare cioè altri settore lavorativi come edilizia, ristorazione ecc.

PIEMONTE

Cuneo – A settembre 2014, la Flai- Cgil Piemonte censiva che “gli occupati nel settore agro-alimentare nella nostra regione – sia italiani che stranieri – sono oltre 70mila, di questi circa 20mila sono di origine straniera: 5.500 romeni, 2.300 albanesi, e poi marocchini, polacchi, indiani e bulgari. La provincia con il maggior numero di lavoratori stranieri occupati nel settore è in provincia di Cuneo, con quasi 11mila unità, poco più della metà del totale complessivo”. Di questi è difficile stimare quanti siano vittime dei caporali. A luglio la Commissione agricoltura della Camera ha cominciato un’indagine in regione proprio per stabilire quanto sia diffuso lo sfruttamento lavorativo. Intanto chi lavora cerca soluzioni in proprio. A Canelli, terra di vini e spumanti pregiati, la cooperativa sociale Crescere insieme ha fatto nascere una start up,Maramao, che fa lavorare richiedenti asilo di due progetti Sprar che fonderanno una vera e propria azienda agricola.

LOMBARDIA

Degli oltre 5.400 casi di sfruttamento lavorativo censiti dal Progetto Presidio tra il 2010 e il 2013, 60 sono in Lombardia. La seconda regione dopo l’Emilia Romagna (102 casi). Il caporalato non è solo nei campi della Franciacorta, nel bresciano, ma anche nei cantieri edili di Milano e Bergamo, nelle cooperative della logistica, nel mercato ortofrutticolo. Tanto che per la Prefettura di Milano serve un protocollo specifico per contrastare il fenomeno. Lo firmano Prefettura, carabinieri, questura, tribunale, comune di Milano, città metropolitana, Agenzia delle entrate, Inps e ispettorato del lavoro e prevede la costruzione di una task force interforze in grado di intervenire con tempi più rapidi in caso di denuncia di sfruttamento lavorativo.

EMILIA-ROMAGNA

Cesena – Dai tre ai cinque euro l’ora. Non è solo il prezzo con il quale si paga un bracciante nei campi del Sud, ma anche quanto riceve un dipendente di una cooperativa ortofrutticola nella zona del cesenate. La prima denuncia della Flai-Cgil è del 2012. “Ci sono persone che lavorano anche 16 ore al giorno guadagnando 40 euro in tutto; lavoratori comunitari, spesso provenienti da Romania o Bulgaria, che vengono reclutati nei propri Paesi di origine e ai quali vengono sottratti i documenti d’identità, e che pagano il proprio contratto di lavoro 300 euro, senza peraltro riceverne mai una copia”, dichiarava a Redattore Sociale Silla Bucci, segretario regionale del sindacato. Due anni dopo i sindacati chiedevano ai sindaci di prendere contromisure per favorire l’emersione del lavoro nero nella zona. Ma la situazione è rimasta immutata.

LAZIO

Agro Pontino – Nel basso Lazio, zona di Sabaudia in provincia di Latina, i lavoratori sono per la maggior parte indiani sikh. E il 52% non ha alcuna copertura sanitaria. È il risultato della ricerca “Terra Ingiusta” condotta nell’aprile del 2015 da Medu Medici per i diritti umani. Originari del Punjab, il 14% dichiara di lavorare in nero. Eppure formalmente sembrano in regola. Ma le paghe da miseria (32-36 euro al giorno per più di dieci ore di lavoro) e la mancanza di parte dei contributi (solo il 15% dice di essere interamente coperto) rende i sikh dell’area ad alto rischio sfruttamento. E il mercato ortofrutticolo di Fondi (LT), principale cliente delle aziende agricole dell’area, è nelle mani della ‘ndrangheta, come dimostrato dall’inchiesta Damasco del 2014. E poi c’è la tratta di esseri umani. Come scrive Medu nel suo rapporto, “l’8 gennaio 2014 presso il Tribunale di Latina si è conclusa con il rinvio a giudizio la prima udienza preliminare di un processo che vede imputati un imprenditore italiano, proprietario di un’azienda agricola a Fondi, e quattro intermediari (tre cittadini indiani e un pakistano), con l’accusa di falsità documentali e sfruttamento della condizione di irregolarità. Sembra infatti che i cinque imputati estorcessero ingenti cifre ai lavoratori stranieri in cambio dei documenti (falsi) utili per il rilascio del permesso di soggiorno. Per la prima volta inoltre, un’associazione e un sindacato si sono costituiti parte civile insieme ai lavoratori – 30 indiani e un marocchino – che hanno chiesto giustizia”.

CAMPANIA

Piana del Sele – Secondo dati raccolti da Medu, il 60 per cento dei migranti che raccoglie frutta nella Piana del Sele, la cosiddetta California italiana, è in possesso di un contratto di lavoro. Continua però a perpetuarsi un sistema di sfruttamento fondato sul caporalato. La paga media giornaliera è di 32 euro. I braccianti sono costretti a comprare falsi contratti di lavoro, che possono arrivare a costare anche seimila euro e che sono indispensabili per rinnovare il permesso di soggiorno. Inoltre, solo la metà dei migranti è iscritta al Servizio sanitario nazionale.

Castel Volturno – “Oggi non lavoro per meno di 50 euro” è stato lo slogan che ha portato per la prima volta nel 2010 un centinaio di migranti a scendere in piazza a Castel Volturno contro i caporali che ogni mattina reclutano lavoratori. Manifestazioni pacifiche che si sono ripetute fino allo scorso anno. Gli stranieri sono impiegati nelle campagne ma anche nell’edilizia e nella produzione della mozzarella di bufala: la gestione del lavoro è in mano alla criminalità organizzata. Nel rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), si legge che gruppi di migranti, soprattutto indiani e pakistani, lavorano negli allevamenti delle bufale in condizioni di schiavitù. In alcuni casi, sono costretti anche a dormire nelle stalle insieme agli animali.

BASILICATA

Vulture-Alto Bradano – Ogni anno nell’area del Vulture-Alto Bradano, zona di Palazzo San Gervasio, arrivano migliaia di migranti per la raccolta dei pomodoro. Le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri provenienti per la gran parte dall’Africa sub sahariana sono definite critiche da Medu. Vivono all’interno di casolari abbandonati privi di acqua, elettricità e servizi igienici. La gran parte dei lavoratori (92 per cento) è dotata di un regolare permesso di soggiorno ma viene ancora ingaggiata attraverso la figura del caporale che trattiene 0,50 euro per ogni cassetta di pomodori. I migranti, intervistati da Medu, hanno dichiarato di non sapere quante giornate sono effettivamente dichiarate ai fini contributivi dal datore di lavoro italiano.

PUGLIA

Foggia – In provincia di Foggia, nella cosiddetta Capitanata, sono oltre 20mila i migranti provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa impiegati nel settore agricolo. Seimila persone sono costrette a vivere in casali fatiscenti e baraccopoli con condizioni igienico-sanitarie pessime. Anche qui il reclutamento dei lavoratori stranieri, avviene attraverso la figura del caporale che trattiene una parte del guadagno.

Nardò – Lo scorso luglio Mohamed, un bracciante di 47 anni originario del Sudan è morto sotto il sole torrido mentre raccoglieva pomodori in un campo tra Nardò e Avetrana. Sono state indagate dalla Procura di Lecce i titolari dell’azienda agricola Mariano, marito e moglie, e il caporale sudanese che avrebbe svolto il ruolo di intermediario fra gli imprenditori e i lavoratori. Nel 2011, proprio a Nardò, ci fu uno dei primi scioperi dei braccianti stranieri in Italia che si ribellarono ai caporali.

Andria – Il 13 luglio a morire è Paola Clemente, una bracciante di 49 anni che aveva passato la sua vita a raccogliere uva nelle campagne pugliesi. La procura di Trani ha indagato l’autista del bus che ha l’ha condotta nei campi e ha deciso di riesumare il corpo per effettuare la autopsia. Secondo la Flai Cgil Puglia 40mila donne italiane sono vittime del caporalato in Puglia, spesso camuffato da agenzie di viaggi o da lavoro interinale. Sono trasportate con gli autobus per tutta la Regione, dalla provincia di Taranto alle campagne del nord. L’ultima morte è avvenuta il 6 agosto quando ha perso la vita a Polignano un cittadino tunisino di 52 anni. Per otto ore, sotto il sole, aveva caricato le cassette d’uva su tir, finché non ha avuto un malore.

CALABRIA

Piana di Gioia Tauro – Cinque anni fa, il 7 gennaio 2010, i migranti di Rosarno protestarono contro lo sfruttamento e la violenza della ’ndrangheta. Da allora però poco sembra cambiato. I lavoratori stranieri ricevono appena 50 centesimi per ogni cassetta di agrumi, ma quasi la metà finisce in tasca ai caporali. Dodici ore di lavoro al giorno per poco più di 10 euro. Nella Piana di Gioia Tauro arrivano ogni anno oltre 2.000 braccianti per raccogliere agrumi, la maggior parte proviene dell’Africa sub-sahariana. Secondo l’ultimo rapporto Medu, Terraingiusta, il 79 per cento vive in insediamenti precari privi di servizi igienici, acqua ed elettricità mentre un migrante su cinque è costretto a dormire a terra per mancanza di un letto. Il lavoro nero, invece, riguarda circa 8 migranti su dieci.

SICILIA

Catania – Il rapporto “#FilieraSporca”. Gli invisibili dell’arancia e lo sfruttamento in agricoltura nell’anno di Expo” ha denunciato che nella campagne catanesi, dove si raccolgono le arance che finiscono nelle nostre bibite, il 40 per cento dei lavoratori è a nero: negli agrumeti lavorano 5000 stranieri, di cui 2000 romeni. La media è 10 ore di lavoro e il 50 per cento del salario va al caporale. I braccianti sono spesso minacciati e subiscono in silenzio per paura di perdere il lavoro. Devono inoltre pagare una sorta di pizzo sugli alloggi dove vivono e perfino la spesa al supermercato è controllata dai caporali. (Lorenzo Bagnoli/Maria Gabriella Lanza)

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