L’Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per la detenzione illegale e l’espulsione collettiva di tre cittadini tunisini
di Carlo Perigli
La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per la “detenzione illegale” di tre cittadini tunisini nel centro di accoglienza di Lampedusa e su navi ormeggiate al porto di Palermo, prima del loro rimpatrio in Tunisia, svolto secondo procedure vietate dal diritto internazionale. L’Italia dovrà ora versare a ciascuno dei ricorrenti 10mila euro per danni morali, oltre a 9.300 euro per le spese processuali.
Diverse le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo violate dallo Stato italiano, in relazione alla detenzione dei migranti all’interno del centro di Contrada Imbriacola. Una detenzione “priva di base legale“, in violazione dell’articolo 5.1, che tutela il diritto alla libertà e alla sicurezza, operata senza comunicare ai ricorrenti le motivazioni delle misure decise (violazione dell’articolo 5.2) e in assenza sia di una decisione giudiziaria circa la legittimità della misure detentiva (violazione dell’articolo 5.4) che della possibilità per i migranti di esercitare il proprio diritto ad un rimedio effettivo (articolo 13, in combinazione con gli articoli 3 e 4 del Protocollo 4). Inoltre, la Corte ha riscontrato la violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), sia per quanto riguarda le condizioni di detenzione a bordo delle navi, che per quelle riscontrate nel centro di Contrada Imbriacola.
Su quest’ultimo passaggio, la Corte ha dichiarato di aver tenuto conto del carattere eccezionale della crisi umanitaria affrontata dall’Italia a Lampedusa nel 2011 in occasione della Primavera Araba, con 55298 migranti approdati sull’isola nel periodo in cui sono avvenuti i fatti contestati ai ricorrenti. Tuttavia, la Corte ha concluso che le condizioni di detenzione hanno rappresentato una notevole lesione della dignità umana dei ricorrenti, con il solo riferimento al centro di Contrada Imbriacola. Infine, la Corte ha riscontrato una procedura di espulsione collettiva, vietata da diverse norme a tutela dei diritti umani presenti nell’ordinamento internazionale, in quanto non è stata considerata la situazione personale di ciascun migrante, e smentendo che la procedura di identificazione sia sufficiente per escludere l’esistenza di un ricordo a tale prassi.