Inizia il viaggio ad Atene del nostro inviato. Appunti da una campagna elettorale che nessuno si aspettava dopo la vittoria dell’Oxi
da Atene, Checchino Antonini
«Se io ripenso a quella piazza, a quella tenda, com’era piena solo otto mesi fa», dice Nicoletta Dosio, esponente no Tav che, dalla Val di Susa, è venuta in Grecia per la terza volta in pochi mesi. Stavolta è qui nella delegazione scaturita dall’appello No memorandum che, dall’Italia, ha raccolto in pochissimi giorni alcune centinaia di firme contro il memorandum e in solidarietà con Unità popolare. Ripensa al tendone di Syriza dalle parti di Akademia, la piazza dell’Univeristà. A gennaio era gremito di persone, ieri c’erano solo poche persone e lo schermo che rimandava il discorso di Tsipras alla Ert, la tv pubblica. Non si respira la stessa speranza ad Atene della vigilia della prima vittoria elettorale di Syriza, e nemmeno quello della notte del 5 luglio scorso quando il 62% dei greci votò contro il memorandum per vedersi gelare solo otto giorni dopo dall’arrivo del III memorandum.
Da allora le cose in Grecia sono rotolate ad alta velocità, Syriza è scoppiata: da una parte i sostenitori di Tsipras, dall’altra la sinistra interna (la Piattaforma di Sinistra più il Red network) che avrebbe dato vita a Unità popolare. La maggioranza del gruppo parlamentare con Tsipras e il memorandum, la maggioranza del comitato centrale e dell’organizzazione giovanile contro il ritorno della Troika e l’abbandono del programma di Salonicco. «Nel corpo militante, un terzo sta con Tsipras, un altro 30% con Lae (Laiki Enotita, Unità popolare) e altrettanti sono tornati a casa», spiega Vangelis Andoniu, della segreteria provvisoria della formazione guidata da un ex ministro di Tsipras, Panagiotis Lafazanis.
Vangelis, sulla sessantina, piccolo imprenditore edile, è stato membro del comitato centrale di Syriza. Ora partecipa alla campagna elettorale dal gazebo centrale dove si distribuiscono bandiere e altri materiali. Perché in molti rivoteranno Syriza? «Perché ancora il memorandum non si vede», dice Vangelis. Spiega che Tsipras ha voluto bruciare le tappe per arrivare alle urne col vento in poppa dei sondaggi, per provare a tarpare le ali alla sinistra ribelle (a cui ha negato perfino il diritto a un congresso) ma, soprattutto, prima che si iniziassero a sentire gli effetti del III memorandum, ossia la somma dei primi due più altre clausole capestro di autentica macelleria sociale. Missione riuscita solo in parte visto che, proprio il giorno delle urne, fra 72 ore, caleranno sulla Capitale contadini da ogni campagna della Grecia per contestare il memorandum.
Passa la troupe di una piccola tv locale, nessuno se la fila. Tutti continuano a fare quello che stavano facendo.
Settembre è il mese tradizionale delle prime manifestazioni sondacali ma quest’anno le elezioni hanno rubato la scena anche alle proteste dei lavoratori. D’altra parte la disoccupazione di massa ha fatto crollare il tasso di sindacalizzazione, soprattutto nel settore privato». Sembra che non si tocchi mai il fondo: anche nel turismo, ci viene raccontato, le condizioni di lavoro sono peggiori di prima della crisi che in quel settore non dovrebbe far sentire i suoi effetti. «Ci vorrebbe un grande dicembre», dice ricordando le manifestazioni e gli scioperi del 2008, all’alba di questa crisi infinita.
Akademia è un crogiolo di folla, turisti, ateniesi, studenti, che passano veloci e distratti accanto ai gazebi. «La gente adesso è davvero delusa e impaurita».
nLa tentazione all’astensionismo, l’indecisione, sono evidenti allo sguardo prima ancora che alle rilevazioni dei sondaggisti. E poi c’è l’incognita dei giovani che, ai sondaggisti, nemmeno rispondono. «Ma lo stesso era successo col referendum – continua Vangelis – che sembrava impossibile capire cosa avrebbero votato». La forbice di Lae sta fra il 3 e l’8%, gli indecisi sono l’ago di questa bilancia e in parecchi pensano che si possa dare una seconda chance al giovane leader per molti versi “pasokizzato” anche se stasera, in grande spolvero, e con lo spagnolo Iglesias al fianco, fornirà di certo un gran saggio della sua capacità retorica. «Ma dopo sarà durissima – avverte Vangelis – i primi tagli alle pensioni ci sono già stati e l’Iva è schizzata al 23% anche nelle isole che prima pagavano solo il 12%. Ed è solo l’inizio. Dopo ottobre inizierà la sarabanda dei pignoramenti delle case. La nuova legge prevede che avvengano senza nemmeno passare per il tribunale. Basterà non pagare una rata del mutuo. Anche per la prima casa». Una legge che non era riuscita a Nuova democrazia, il partito conservatore, testa a testa nei sondaggi, ma che Syriza è riuscita a promulgare in poche settimane ad agosto. Va veloce la trattativa per svendere a un soggetto tedesco tutti gli aeroporti periferici e anche il presidente della Taiped, l’agenzia per le privatizzazioni (la Taiped, oggetto di un’incursione da parte degli anarchici solo quattro giorni fa), incalza il governo, forte dell’accordo con l’Europa, perché si velocizzi l’iter delle dismissioni del patrimonio pubblico sopravvissuto ai governi di Pasok e Nd. «Tutti ci chiediamo il perché Tsipras l’abbia fatto», va avanti Vangelis incalzato dalle domande di Nicoletta Dosio. Ora pare sia sparito anche l’argomento principe di Syriza, «la pistola alla tempia». Ora Tsipras sembra difendere quell’accordo per tranquillizzare gli interlocutori
Lae si propone di rappresentare quella maggioranza di lavoratori greci che ha votato No, l’Oxi, contro il paradosso, il miraggio ottico, di un parlamento che sembrerà ribaltare quel risultato. Su un manifesto di Lae i faccioni dei leader del Sì spiega che l’hanno voluto insieme e insieme lo applicheranno e domanda al lettore: «Li lascerai fare?». Anche i Comitati per il No, che avrebbero dovuto sedimentare i contenuti del referendum, si sono sciolti o meglio, non sono mai nati per colpa del precipitare degli eventi. «Questa tornata elettorale è proprio micidiale», commenta Nicoletta Dosio che è molto interessata a capire le dinamiche del movimento che, in Calcidica, si oppone alle devastazioni da parte delle industri minerarie. La legge, voluta da Lafazanis quand’era ministro, non è mai stata applicata fino a queste ultime settimane quando è stata rispolverata in chiave puramente elettorale: «I comitati pensano che Syriza abbia tradito il movimento», spiega Vangelis.
«Il No vincerà, to Oxi tha nikeseis», si legge su un altro manifesto di Lae che spicca sui muri di Atene. Tutti si aspettano un governo di coalizione con Syriza e Pasok o To Potami ma nessuno scommette sulla sua durata perché il memorandum è inostenibile e allora la carta sarà quella di una grosse koalition. Intanto, al gazebo, arriva una signora che scoppia a piangere mentre chiede di fare qualcosa per un ragazzo, probabilmente un tossicodipendente, che ha visto buttato in terra sul vialone.
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Per spiegare la delusione va capito quello che Yorgos ci presenta come «lo stato profondo greco, il parakratos» che i sette mesi del governo Tsipras non sembrano aver smosso: gli apparati giudiziari, la polizia, la burocrazia. Per esempio nella vicenda dei rifugiati. Gli spiega Nicoletta di quanto siamo stati colpiti in Italia per quei migranti rinchiusi nello stadio di Kos come si stesse nel Cile di Pinochet. «Bisogna ragionare isola per isola – spiega – perché l’accoglienza dei migranti dipende anche dai sindaci o dalle dimensioni di un’isola. In questi giorni il governo ha deciso di raccoglieri con delle navi che attraversano l’Egeo e li portano al Pireo da dove, in pullman, si andrà verso il confine con la Macedonia, verso il Nord Europa. Per questo le reti antirazziste chiedono con forza che venga smantellato il muro che divide Grecia e Turchia così che possano arrivare finalmente via terra senza pericolose crociere nell’Egeo.
Yorgos, un ingegnere in pensione, attivo in Dytkio e nella Lega internazionale per i diritti dei popoli, ci riceve in un caffé di fronte alla sede di Dytkio, una rete sociale che potrebbe somigliare ai nostri Cobas. Quartiere di Exarkia, impasto di movida e ribellione, sede di collettivi e crocevia di giovani e giovanissimi. In un vicino parco, in agosto, era spuntata una tendopoli di 3-400 persone presa in carico, in modo del tutto spontaneo, da un’assemblea eterogenea che ha fornito due pasti al giorno e preparato il tè ogni mattina finché non è stata pronta una struttura ufficiale per questi transitanti. «La questione dei rifugiati ci ha fatto scoprire un inaspettato senso di solidarietà molecolare e diffuso ostacolato, a volte, dai poteri locali», conclude Giorgio.
Poche ore dopo il nostro colloquio, il quartiere sarebbe stato teatro di scontri notturni tra poliziotti in tenuta antisommossa, alcuni a bordo di scooter che scorazzavano nei vicoli, e gli anarchici che vogliono ricordare l’anniversario dell’omicidio di Pavlos Fyssas, noto cantante rap accoltellato da membri di Alba dorata. Oggi pomeriggio, in periferia ci sarà una manifestazione a cui parteciperà anche Lae.
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Da Exarkia ad Alexandras sono pochi passi ma è come varcare il confine invisibile tra centro e periferia. Nelle aiuole di un vialone a quattro corsie si tiene dopo il tramonto una manifestazione di Unità Popolare con decine di persone. Era annunciata la presenza di Zoe Kostantopoulou, ex presidente della Vouli, il parlamento greco, ma parlerà Maria Bollari di Dea (la sinistra internazionalista dei lavoratori del Red Network), a cui Tsipras, optando per il collegio di Atene, ha negato il seggio in Parlamento. Con lei Panagiotis Sotiris, che da Antarsya è passato a Unità Popolare, e Magna Papadimitrias, attrice piuttosto conosciuta, da sempre attiva a sinistra e residente nel quartiere.
La campagna elettorale di Lae è tutta giocata sull’Oxi, sulla breccia che il referendum ha aperto per la democrazia, i diritti sociali, la solidarietà. «Davvero non c’è alternativa?», si chiede Pollari spiegando – a chi si adagia sul “Tina”, there is no alternative – che è una questione di dignità, che non ci sono strade a senso unico, che altrimenti il futuro comune sarà fatto di referendum, emigrazione per i più giovani, e precarietà. «Un altro mondo che si chiama socialismo è possibile». E sarà fuori dall’eurozona, altra pietra miliare del programma di Lae, il ritorno alla dracma per rilanciare nel breve e medio periodo un tessuto produttivo desertificato dall’euro. E’ come se ci fosse tutto il peso della Grexit, in questo momento, senza nessuno dei suoi benefici.
«L’Euro non è solo una moneta ma un programma politico che inibisce politiche popolari», ricorda Maria Pollari. Sovvertire il memorandum, non pagare la maggior parte del debito così da dirottare le risorse su questioni più utili a tutti: ecco il piano alfa che nessuno ha voluto prendere in considerazione. «Le lotte torneranno sulla scena e non è vero che non abbiamo prodotto nulla: il ciclo di scioperi e manifestazioni tra il 2008 e il 2012 ha prodotto la radicalizzazione necessaria », ricorda la dirigente di Dea. I media, e lo stesso Tsipras, stanno mettendo in scena il duello all’ultima scheda fra Syriza e Nd ma il vincitore sarà il ceto politico he ha voluto il memorandum. La questione, perciò, sarà la presenza di un’opposizione in Parlamento, un «fronte popolare – dirà la Papadimitrias – contro la tempesta sistemica utile – a differenza dell’ipersettario Kke – per un eventuale nuovo ciclo di lotte e, comunque, per contrastare la depressione da memorandum che non è solo un commissariamento dei governi ma anche uno strumento efficace per alzare i margini di profitto di quell’esigua minoranza che paga salari sempre più bassi, usufruisce di detassazioni, sta per arraffare patrimonio pubblico dismesso e sta per pretendere una nuova ondata di licenziamenti di massa nel settore pubblico, uno dei 223 requisiti dell’accordo.
Anche perché di cose buone prodotte dal primo governo di sinistra dell’Eurozona non c’è quasi traccia: non sono tornati i contratti collettivi, cancellati dagli altri memorandum, non ci sono misure concrete contro la corruzione e, ha ricordato Pollari, già il lunedì successivo alla vittoria referendaria, sono iniziate le larghe intese sotto i buoni auspici del nuovo presidente della repubblica, il numero due di Nuova democrazia. Forse il maggior torto di Syriza è stato quello di non aver creduto alla voglia di lottare dei greci.