Il leader leghista Salvini straparla di ordine e disciplina arringando in divisa una folla di sigle sindacali di polizia che sostengono le divise (troppo spesso con dentro gli abusi)
di Claire Lacombe
Non ci si finisce mai di stupire. Nella tarda mattinata del 15 ottobre si tiene una strana manifestazione statica davanti a Montecitorio di appartenenti alla Polizia e alla Polizia penitenziaria: sono circa 1000 persone. Improvvisamente in piazza comincia a comiziare Matteo Salvini vestito da poliziotto: maglietta con scritta Polizia, dotata di mostrine. Cos’era una festa di carnevale anticipato? Purtroppo no: era una manifestazione di alcune sigle sindacali che nei fatti era una manifestazione politica di sostegno a Salvini, il quale per aumentare il suo appeal verso i manifestanti si è messo la divisa incarnando un ruolo anomalo. Infatti dopo un pò il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini lancia la sua mascelluta parola d’ordine: “Bisogna riportare in Italia ordine, disciplina e rispetto”. Notare il verbo “ritornare” che richiama pertanto un mitico periodo di ordine, disciplina nonché si direbbe di olio di ricino, di carceri e di risiere di San Sabba. Noi sapevamo che non si possono indossare divise delle FFAA o delle forze di Polizia con tanto di mostrine, tanto più in una pubblica manifestazione (chissà cosa direbbe un responsabile di piazza di PS se ad una prossima manifestazione dei centri sociali un partecipante si vestisse da poliziotto con mostrine?!!). Però per non creare scontento, il responsabile di piazza di PS non ha voluto eccepire nulla. Ma neanche dopo la manifestazione nessuno ha eccepito nulla; tanto è vero che Salvini vestito ancora da poliziotto e con aria gongolante intorno alle 14.30 mangiava il suo gelato in un bar all’aperto in zona Camera seduto a via Uffici del Vicario (però la sua scorta in piedi era invece in borghese!).
Avevamo letto qualche giorno fa di altri silenzi su situazioni non legali, di chi invece la divisa ce l’ha sul serio, per non creare scontento. Si parlava delle manifestazioni pubbliche di varie organizzazioni di estrema destra in cui si chiedevano blitz militari di guerra contro l’India per riprendere i marò lì “detenuti”: alle manifestazioni c’erano militari in divisa. Ma la linea del vertice delle Forze Armate sembra sia stata tollerante perché è meglio non sollevare vespai con azioni disciplinari verso i manifestanti in divisa (ma, a proposito, ancora ad oggi non sono stati risolti i dubbi sollevati sull’Osservatorio della Repressione se il blitz anti India sia stato sul serio intentato o piuttosto programmato da qualche circolo fascistoide delle Forze Armate; circoli fascistoidi che non sono certo prevalenti ma che ben allignano. Nell’inverno del 2013 destò scalpore il fatto che era stato chiamato il nazista provocatore Andrea Merlino per una conferenza alla scuola nazionale di fanteria di Cesano). Revenons à nos moutons, c’è qualcosa d’altro che non torna sulla tolleranza nelle Forze Armate nei confronti di esponenti di estrema destra sulla vicenda marò. La parola d’ordine/linea d’azione “andiamo a riprenderci i marò” con un blitz militare di guerra è sostenuto solo si direbbe dall’estrema destra, in primis Casapound, oggi alleata di Salvini. Al di là della verità o meno del blitz, tentato o programmato, rimane una scia acre e tossica di un altro evento mai chiarito. Uno dei periti chiave per la difesa dei due marò in India è tal Ingegnere Luigi Di Stefano, responsabile di Casapound per le politiche energetiche. L’ingegner Luigi di Stefano fu perito servizievole per le indagini su Ustica; a volte le coincidenze! Comunque svariate fonti, da Il fatto a Contropiano, asseriscono che Luigi Di Stefano non abbia la laurea in ingegneria. Luigi di Stefano è padre di Simone di Stefano, uno dei leader di Casapound, sempre in prima fila per i marò; quel Simone di Stefano di sovente visto in compagnia a Roma di uomini col trench bianco. Da dove nasce la tolleranza se non la simpatia di settori non secondari delle Forze Armate e dei loro apparati verso Casapound?