Alla Biennale di Venezia, il College of Design dell’Iowa State University presenta il progetto “Legame-Bond” per riflettere sul rapporto madre-figlia/o in carcere
Mirna Cortese
Dal 22 al 24 ottobre a Venezia, nel corso della 56. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo All the World’s Futures (sessione speciale rivolta alle università di tutto il mondo), il College of Design dell’Iowa State University (Isu) presenterà “Legame – Bond”. Si tratta di un progetto artistico e multimediale che l’università statunitense con sede ad Ames ha realizzato in collaborazione con l’associazione “A Roma, insieme – Leda Colombini” e la cooperativa sociale veneziana “Il cerchio”.
Il titolo scelto, “Legame – Bond”, si riferisce in generale alla creazione della relazione fra madre e bambino, con un’attenzione particolare sul possibile rapporto madre-figlia/o in carcere e, per l’occasione, sono state messe a confronto le differenti condizioni detentive in Italia e negli Usa, dalla convivenza in sezioni speciali alla separazione immediata delle detenute dai neonati.
Per Pia Katharina Schneider, direttrice dell’Isu Rome Program e coordinatrice del progetto “La sfida per raggiungere una buona salute mentale per il nostro pianeta e la creazione di una società futura più forte, felice e resiliente dipende essenzialmente dal benessere emotivo e dalla salute mentale dei nostri bambini e bambine” per cui riflettendo sul tema della 56a edizione della Biennale, All the World’s Futures (tutti i futuri del mondo) il gruppo internazionale di lavoro si è chiesto come è possibile consentire legami stretti tra madre e infante, anche in situazioni svantaggiate e socialmente più difficili.
Ad interpretare il tema del “legame”, con il sostegno della faculty internazionale, sono stati chiamati cinquanta studenti e studentesse di design che hanno utilizzato un unico materiale, la garza, tessuto archetipo e antico usato non solo nelle fasce per i neonati ma anche per il bendaggio. La garza, al tempo stesso metafora di un mondo ferito e di una possibile guarigione.
Mentre gli studenti hanno esplorato e interpretato il tema progettando un’installazione artistica e mettendo in scena una performance, sono stati realizzati due workshop paralleli: il primo presso la casa circondariale femminile di Rebibbia a Roma, coinvolgendo le madri detenute e i loro bambini e invitandole ad esprimersi attraverso danze e giochi con la garza; l’altro con le detenute dell’istituto penitenziario femminile della Giudecca di Venezia, alle quali è stato chiesto di creare liberamente degli abiti che avvolgano il corpo con la garza, con pochissime cuciture e privilegiando nodi e intrecci con la stoffa.
Un’esperienza particolare che, secondo le organizzatrici e gli organizzatori, ha prodotto legami tra mondi diversi, tra studentesse, studenti e detenute, tra università e carcere, tra arte e sociale, in un continuo lavoro di confronto e collaborazione.
La restituzione dei workshop e delle installazioni, che si terrà alle Tese dei Soppalchi, Arsenale, è previsto per il 22 e 23 ottobre, mentre il 24 ottobre dalle 10,30 alle 12,30 si terrà un dibattito al quale interverranno, tra gli altri e altre, Gabriella Straffi, direttrice dell’Istituto penitenziario femminile della Giudecca; Alessia Davi, Università Ca’ Foscari Venezia, ricercatrice sulla detenzione femminile negli Usa; Julie Stevens, architetta del paesaggio, esperta in giardini terapeutici e ambienti carcerari. All’incontro saranno presenti anche detenute, docenti e studenti.
Nel frattempo in Italia aspettiamo che venga finalmente applicata, a 4 anni dalla sua approvazione, la legge che prevede la promozione delle Case Famiglie Protette. Quella stessa riforma che ha sì innalzato da tre a sei anni l’età in cui i figli delle detenute possono vivere con le loro mamme ritardando una separazione traumatica, ma ha paradossalmente aumentato gli anni dietro le sbarre per i bambini. Per questo l’Italia è stata più volte richiamata dal Comitato Onu per la Crc, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.