Sei anni fa moriva Stefano Cucchi, “sepolto” in un repartino penitenziario per cinque giorni dopo le percosse e una grottesca udienza di convalida dell’arresto
di Ilaria Cucchi
Si trovava chiuso nel reparto carcerario di un ospedale, da solo, probabilmente immaginando che lo avessimo definitivamente abbandonato dopo il suo ennesimo “tradimento”. Magari questo pensava: che nessuno di noi volesse più sapere niente di lui, che gli avessimo chiuso la porta dietro le spalle.
Invece no. I miei genitori erano davanti all’ingresso sbarrato, dove da giorni gli agenti penitenziari li fermavano negando ogni informazione su Stefano. Non li facevano entrare, e va bene: quella era una prigione, non una clinica, come si premurarono di chiarire fin dal primo, vano tentativo di visita. Ma perché non rispondere alle domande sulla salute di mio fratello?
Oggi ricorre il sesto anniversario della morte di Stefano.
Alle dieci sarò lì, davanti a quell’ingresso sbarrato del reparto detentivo affiancato all’ospedale Sandro Pertini di Roma, per ricordare mio fratello.
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