Tre corse, un ginocchio che cede e un aereo che parte. Ecco come la Fiorentina di Trapattoni si trasformò da sorprendente realtà a meravigliosa incompiuta
di Carlo Perigli
Il Trap al telefono quasi non ci credeva. “Presidente ma lei è sicuro? Io sono Trapattoni“. Dall’altra parte, Vittorio Cecchi Gori aveva già scelto: dopo le innovazioni di Malesani, passato in estate sulla panchina del Parma, Firenze aveva bisogno di un allenatore pragmatico, vincente, in grado di trascinare la squadra verso il definitivo salto di qualità. Un entusiasmo condiviso soltanto a metà dalla piazza, divisa più o meno equamente tra entusiasti e scettici. La carriera del Trap non si discute – ci mancherebbe – ma il calcio proposto dal vate di Cusano Milanino appare ormai obsoleto, incapace di adattarsi alle innovazioni che il salto ormai prossimo nel nuovo millennio porterà con sé.
Nell’estate del 1998 Trapattoni si mette al lavoro, focalizzandosi sugli innesti in grado di migliorare difesa e centrocampo. A rinforzare il suo credo tattico arrivano Torricelli e Di Livio, due punti fermi – il primo una vera e propria scoperta – della sua ultima avventura in bianconero, ai quali si vanno ad aggiungere Repka, Amor e Heinrich, quest’ultimo considerato il fiore all’occhiello della campagna acquisti viola. L’unico reparto che non subisce modifiche sostanziali, se non con la cessione di Morfeo, è l’attacco, ed il perchè è anche facile da comprendere. Là davanti la Fiorentina può contare su un tridente semplicemente meraviglioso, caratterizzato dalle geometrie di Rui Costa, dalla folle – in tutti i sensi – fantasia di Edmundo e da Gabriel Omar Batistuta, verso il quale ogni aggettivo risulterebbe superfluo.
Eppure, ai nastri di partenza la Fiorentina, a differenza di rivali quali Lazio e Parma, non sembra affatto accreditata per scalfire il tanto annunciato duopolio Inter-Juve, pronto a ripetersi a pochi mesi dalla clamorosa “svista” di Ceccarini sul fallo di Iuliano. Inaspettatamente però, mentre le due contendenti annaspano nel marasma di una stagione letteralmente disastrosa, la Viola dà il via ad una stagione maledettamente indimenticabile, scandita da tre corse che rimarranno nella storia del calcio italiano.
La prima, è quella di una squadra, se non di una città intera, verso il tanto agognato scudetto. Al pronti-via la Viola parte in quarta, guadagnando fin da subito la vetta della classifica. È una corsa forsennata, caratterizzata dalla perfetta sintesi del pragmatismo “made in Trap” con una potenza di fuoco creativa e devastante. Fatta eccezione per qualche scivolone in trasferta, la Fiorentina domina il girone d’andata, laureandosi campione d’inverno. Tutta Firenze corre insieme alla squadra. E sogna. Firenze sogna di non fermarsi mai, sogna perchè questo può essere veramente l’anno giusto, sogna perchè la squadra c’è, e sopratutto funziona, sopperendo anche alle piccole frizioni interne allo spogliatoio. “Se il gruppo riesce con la sua intelligenza a cementare un po’ la voglia di vincere, la voglia di sopportarsi, per l’allenatore la cosa è più facile“, ripete serafico il Trap durante le interviste.
Così l’esperienza del tecnico aiuta a gestire le tensioni tra Edmundo, giocoliere imprevedibile in campo come nella vita, e buona parte dello spogliatoio. In ritiro come nelle trasferte europee, Trapattoni passa nottate intere a parlare con il brasiliano e Batistuta, leader indiscusso dello spogliatoio. Lo fa sia perchè Edmundo deve sentirsi a tutti i costi parte del collettivo, sia perchè l’armonia tra i due partner d’attacco è un prerequisito fondamentale per una squadra che deve continuare a sognare, che deve continuare a correre.
Un lavoro costante e continuo, vanificato, nel giro di poche ore, da un ginocchio che cede e un aereo che parte. L’inizio della fine per Firenze è datato 7 febbraio 1999, negli ultimi minuti di Fiorentina-Milan. Inizia tutto con una speranza, quando il lancio in profondità per Batistuta, con la partita inchiodata sullo 0-0, sembra lasciar presagire l’arrivo di un’emozione. L’argentino è lontano dalla porta, ma ha campo per scatenarsi in velocità. Batistuta corre, anche se accusa i dolori dello scontro con Bierhoff avvenuto pochi minuti prima. Eppure, non sembrano esserci alternative. Mollare ora significherebbe vanificare tutti gli sforzi di una carriera intera, vissuta con l’unico obiettivo di portare Firenze sul gradino più alto del podio. E allora Batitstuta si carica e tira dritto verso quel pallone, con la mente già proiettata in area di rigore. Per se stesso, per la squadra, per i tifosi. Per quello scudetto a cui tutti ormai credono.
Pochi passi però, e il ginocchio cede, lasciando spazio alle urla disperate dell’attaccante argentino, in netto contrasto con il silenzio assordante che avvolge le tribune del Franchi. Un mese di riposo, diranno i medici, e potrà tornare in campo. Ma il problema, lo sa anche Batistuta, è un altro: Edmundo ha deciso di partire per il Brasile, c’è il carnevale di Rio. Ma proprio ora che il suo apporto diventa fondamentale? Si, proprio ora. Il carnevale – dice il brasiliano – è tutto. Lo spogliatoio, quell’isola felice basata su fin troppo delicati equilibri, deflagra, scagliandosi contro una dirigenza fin troppo assente nel momento del bisogno. “Se la società ha deciso con Edmundo di questa vacanza, si deve prendere le sue responsabilità“, tuonava lapidario Moreno Torricelli, portavoce, insieme ad altri, del malessere generale.
L’ultimo ad arrendersi è sempre lui, il Trap, che prova un ultimo disperato tentativo. Un’ultima corsa, questa volta con destinazione aeroporto, per convincere il “figliol prodigo” Edmundo a restare, a tornare indietro per caricarsi la squadra sulle spalle e provare a vincere da protagonista. Niente da fare, “disse che per lui era una cosa troppo importante – ricorderà il Trap in un’intervista – e non riuscii a trattenerlo“. La squadra, con il reparto offensivo ridotto ai soli Oliveira, Robbiati e Carmine Esposito, non regge il colpo, sciogliendosi come neve al sole. L’armonia abbandonerà completamente lo spogliatoio, e neanche il rientro di Batistuta ed Edmundo riuscirà a corregge la rotta di una squadra scivolata ormai al terzo posto e sconfitta anche nella finale di Coppa Italia dal Parma dell’ex Malesani. Una beffa, l’ennesima, in una stagione che poteva essere ma non è stata. Una squadra semplicemente bellissima, che per un insensato scherzo del destino saremo costretti a ricordare solamente come una meravigliosa incompiuta.
La Fiorentina del Trap: tre corse di una meravigliosa incompiuta
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