Torna a Roma un (cattivo?) maestro del ‘900. Doppia esposizione per un pittore unico e controverso
di Maurizio Zuccari
C’è sempre una sorta di prudérie ad affrontare il tema Balthus. E lui, se fosse ancora vivo, certo se la ghignerebbe da vecchio satiro, dietro ai vetri e le boiserie del villone svizzero di Rossinière. Sottobraccio a Setsuko, la sposa giapponese di 35 anni più giovane e tuttora vivente, ultima delle sue muse, magari occhieggiando una delle sue amate ninfette. Tra i pochi a resistere all’infamante accusa d’“orchismo”, ancora tabù in tempi di politicamente corretto, il pittore franco-polacco è a Roma con una doppia personale a cura di Cécile Debray, curatrice del Pompidou. Una duplice esposizione che giunge a un quindicennio dalla morte dell’artista controverso e geniale, tanto scandaloso quanto unico. Un “re dei gatti”, come amava definirsi, riconoscibilissimo, più che per gli interni e le scene di genere degli anni Trenta, per le giovani e giovanissime prese a modello per spunti saffici e onanistici, spesso accompagnate dall’immancabile felino. Un’arte, la sua, che a cavallo tra le due guerre e in anni a noi più recenti non è sfuggita alla denuncia d’essere degenerata, pornografica, un inno alla pedofilia – accusa costata la chiusura di una recente mostra in Baviera – ma è riuscita a superare gli scogli dell’ordinario per approdare all’eterno, facendone un (cattivo?) maestro del Novecento.
Il percorso artistico di Balthasar Klossowski de Rola, in arte Balthus (1908-2001), è illustrato con circa duecento opere tra quadri, disegni e foto provenienti da musei pubblici e collezioni private. Alle Scuderie del Quirinale prende corpo la retrospettiva con alcuni dei capolavori più noti – segnatamente: La strada, La camera e Il solitario, effigiato in catalogo e locandina – mentre a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia diretta dall’artista dal 1961 alla fine dei Settanta, è raccolta una selezione di opere degli anni romani. Tra cui la Camera turca, con Setsuko a far da modella, nell’omonimo abbaino ristrutturato dallo stesso Balthus, come le stanze da lui occupate che conservano ancora i suoi saggi di pittura alle pareti. Una camera turca, aperta per l’occasione, che con la vista spaziante sui tetti di Roma e i brillanti cromatismi scelti da Horace Vernet nell’800, a rievocare caldi piaceri ottomani, val la visita come e più della tela che qui torna per la prima volta.
Nato a Parigi da padre polacco e madre russa, entrambi pittori, Balthus trascorre un’infanzia mitteleuropea tra Berlino, Berna e Ginevra al seguito dei genitori presto separati, soggiornando più o meno stabilmente in Francia dagli anni Venti. Tra il primo viaggio in Italia, nel ‘26, e il soggiorno romano alla guida dell’accademia francese matura il suo personalissimo stile. Un impasto di metafisica e realismo, tradizione figurativa rinascimentale e statica enigmaticità nordica che ne costituiscono il tratto distintivo. Ma è soprattutto per il suo crudele erotismo, per dirla come l’amico Antonin Artaud (che tra i primi lo scoprì e ne parlò), che si caratterizza la cifra estetica. È un silenzio pietrificato, un piacere quasi onanistico quello che trasuda dalle sue tele, pregne di un surrealismo tagliente e maligno che ne distacca i tratti dai surrealisti doc. Dove ogni figura femminile, sia pure all’apparenza casta o insignificante, come Ragazza addormentata del ‘43, contiene una vena d’insopprimibile erotismo.
Ma più che questo, soggetto a prudérie d’accatto o facili j’accuse, più del pugno di capolavori in bellavista – quattro, cinque tele, il resto utile riempitivo – quel che vale è forse la discontinuità delle opere in mostra. Visi sproporzionati o malamente innestati ai corpi – vedi Nudo appoggiato, del ‘39 – o una versione della Strada antecedente alla più nota e rimaneggiatissima (coi segni ben visibili della cassata mano a palpeggiare la donna in primo piano che proprio non andava giù, ai tempi). Vedi il ritratto di Lawrence B, di un decennio più tardo, quasi modernamente astratto. O, ancora, gli echi guttusiani della Fanciulla assopita, tratteggiata nel pieno degli anni Cinquanta. O quelli, Baconiani, del Senza titolo in mostra, tra gli ultimi lavori. Dove donne e gatti, corpi e cose, si sfanno, come la vita che sfugge tra le mani dell’artista, e i colori colano dall’esistenza ormai conclusa alla vita dilà, all’eterno giudizio – pruriginoso o distaccato – dei posteri. Balthus, Scuderie del Quirinale e Villa Medici, Roma, fino al 31/1/2016, poi al Kunstforum di Vienna, da febbraio a giugno 2016. Info www.scuderiequirinale.it; www.villamedici.it. www.mauriziozuccari.net
l’articolo mi ha permesso di informarmi meglio su questo “pittore” – guai a chiamarlo artista – sulla sua vita, la sua pittura, i suoi quadri: il risultato è che non riesco proprio a provare né ammirazione, né trasporto, e ancor meno interesse per la sua opera, anzi direi che il sentimento che mi suscita è di profonda avversione, quasi di rabbia; son sempre più convinta che “l’arte non è uno specchio per riflettere il mondo ma un martello per forgiarlo”
(Majakovskij) … tutto il resto “è una sciocchezza” (Rimbaud) …