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Cronista accusato di complicità con i No Tav per aver fatto il cronista

La vicenda paradossale che sta vivendo Davide Falcioni: da testimone a imputato per essersi trovato sul luogo di un’azione No Tav

di Enrico Baldin

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Entrare in un’aula giudiziaria da testimone, uscirne da indagato. Anche questo può accadere in Val di Susa in tempi di lotte contro il progetto del TAV. E’quanto accaduto a Davide Falcioni, giornalista marchigiano di 32 anni, il cui caso si è evidenziato negli stessi giorni in cui Erri De Luca veniva scagionato dal tribunale di Torino dall’accusa di “istigazione a delinquere”. Falcioni nel 2012 si recò come inviato in Piemonte per svolgere la sua attività di reporter: da lì è iniziata la sua vicenda giudiziaria. Popoff ha sentito il protagonista di questa “storia di ordinaria follia”.

Falcioni, che cosa accadde nel 2012?

Stavo seguendo una manifestazione dei NO TAV: alcune decine di manifestanti si recarono nella sede della Geovalsusa, azienda impegnata nel progetto TAV. Non so come si presentarono, ma suonarono al citofono e gli fu aperto il cancello elettrico. Entrarono e io li seguii assecondando quella normale curiosità di giornalista. Dentro attaccarono uno striscione e accesero dei fumogeni dalle finestre, mentre fuori altri distribuivano volantini.

Vennero commessi atti di violenza?

No, io non ho visto violenza né verso persone né verso cose. All’inizio i dipendenti dell’azienda erano un po’ perplessi e tesi per quel numero ingente di persone che entrarono, la situazione per loro era parecchio inusuale. Poi però il clima si distese, anzi ricordo di conversazioni più che serene tra manifestanti e dipendenti. Il tutto durò un’ora circa.

E da qui alla sua comparsa in un’aula di Tribunale?

Io scrissi un articolo all’epoca per il giornale per cui lavoravo, ed in questo riportai anche la tranquillità con cui si svolsero i fatti. Quando dopo alcuni mesi appresi che 19 manifestanti erano stati accusati di danneggiamento e  violenza privata scrissi un altro pezzo in cui non feci altro che riportare ancora ciò di cui ero stato testimone quel giorno. Mi fu perciò chiesto dagli accusati di testimoniare al processo a loro carico, ed io diedi la mia disponibilità a riferire in aula ciò che vidi coi miei occhi.

E come accadde che si trovò da testimone ad accusato?

A novembre 2014, mentre in aula stavo rispondendo alle prime domande venni interrotto. Per bocca del pm si ravvisò che trovandomi nello stesso luogo dei manifestanti sarebbe stato giusto indagare anche su di me. Fu così che mi venne comunicato che sarei stato iscritto nel registro degli indagati. Mi pareva incredibile.

Poi?

La settimana scorsa è giunto dalla Procura di Torino l’avviso di chiusura indagini e mi è stata notificata l’accusa di “concorso in violazione di domicilio”. Una accusa che continua a suonarmi come inaspettata nonostante in quest’ultimo anno mi ero preparato al fatto che potesse arrivare.

Lo vede più come un problema giudiziario o come un problema giornalistico?

Tutti e due. Se passa questa accusa nei miei confronti significa che è implicito che un giornalista può solo scrivere le versioni ufficiali che ti forniscono di volta in volta i carabinieri o chicchessia; esercitare il diritto di cronaca, seguire una notizia documentandola fino in fondo a questo punto è diventato un problema. Ma così si ammazza l’informazione.

Che riflessioni ha fatto in questi giorni?

Proprio ieri pensavo che l’assurdo di questa vicenda sta anche nel fatto che se le cose stanno in questo modo, allora testimoniare ad un processo diventerà una cosa che è meglio evitare. Se queste sono le conseguenze per chi testimonia ad un processo, si crea uno stato di diritto fondato sull’omertà.

 

 

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